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Pianeta Terra. Olimpiadi 2008....

LAGYELO. PECHINO 2008: PER IL TIBET, UNA PAROLA. Con una parola si può fare molto. Un appello di Reinhold Messner - a cura di pfls

Vorrei che tutti gli atleti ai prossimi Giochi di Pechino - o almeno tutti quelli che saliranno sul podio - pronunciassero questa parola.
martedì 8 aprile 2008 di Maria Paola Falchinelli
Si pronuncia «laghielo», si scrive «lagyelo». È una parola
tibetana. Significa «gli dei sono stati clementi».
Io mi sento tibetano, perché la mia cultura, come la
loro, vive di montagna. Anche Milarepa, che è stato
il più grande poeta della montagna, era tibetano.
«Lagyelo» è
la parola con cui festeggiavo i miei ritorni dalle cime dell’Himalaya.
Perché solo gli dei possono accettare che qualcuno
salga nel loro regno.
Vorrei che tutti gli atleti ai prossimi Giochi di Pechino - o almeno (...)

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> LAGYELO. PER IL TIBET, UNA PAROLA. Con una parola si può fare molto. Un appello di Reinhold Messner - --- Nuova presa di posizione del Dalai Lama. Troppe bugie sul Tibet. Il mondo crchi la verità.

lunedì 7 aprile 2008

IL DISCORSO

Nuova presa di posizione del Dalai Lama

-  "Troppe bugie, sul Tibet
-  il mondo cerchi la verità"
*

DAL 10 marzo di quest’anno stiamo assistendo a molteplici proteste e dimostrazioni in molte zone del Tibet - e perfino di studenti in alcune città della Cina - che rappresentano il punto di esplosione di un’angoscia fisica e psicologica provata per lungo tempo dai tibetani, nonché l’espressione di un profondo risentimento contro l’oppressione dei diritti umani del popolo tibetano.

Risentimento per la mancanza della libertà religiosa, per il tentativo di distorcere in ogni occasione possibile la verità. (...) L’uso delle armi e della violenza per reprimere e disperdere le manifestazioni pacifiche del popolo tibetano mi rattrista profondamente. Tali interventi hanno scatenato disordini in Tibet, hanno provocato molte vittime e moltissimi feriti, molteplici arresti. (...) Di fronte a questo io mi sento del tutto impotente. Prego per tutti i tibetani e i cinesi che hanno perso la vita.

Le recenti proteste in tutto il Tibet hanno non soltanto contraddetto ma anche fatto a pezzi la propaganda della Repubblica popolare cinese, secondo la quale ad eccezione di pochi "reazionari" la stragrande maggioranza dei tibetani vive una vita prospera e felice. Queste proteste hanno invece chiaramente evidenziato che i tibetani di tre province - U-tsang, Kham e Amdo - hanno le stesse aspirazioni e speranze. Inoltre hanno fatto comprendere al mondo intero che la questione tibetana non può più essere trascurata. (...) Il coraggio e la determinazione dei tibetani che hanno rischiato il tutto per tutto (...) sono molto ammirevoli e l’opinione pubblica internazionale ha compreso e sostenuto lo spirito di questi tibetani. (...)

Presidenti, primi ministri, ministri degli Esteri, Premi Nobel, parlamentari e cittadini preoccupati di ogni angolo del mondo stanno inviando un messaggio forte e chiaro alla leadership cinese affinché ponga immediatamente fine alla violenta repressione contro il popolo tibetano. Hanno incoraggiato il governo di Pechino a seguire una strada per raggiungere una soluzione reciprocamente vantaggiosa. Dovremmo creare l’occasione affinché i loro sforzi diano risultati positivi. So che siete provocati a ogni livello possibile, ma è importante che vi atteniate alla pratica della non-violenza.

Le autorità cinesi hanno fatto dichiarazioni menzognere contro di me e contro l’Amministrazione Centrale Tibetana, accusandoci di aver istigato e orchestrato gli avvenimenti in Tibet. È assolutamente falso: io ho ripetutamente lanciato appelli affinché un ente indipendente e internazionale si facesse carico di un’inchiesta approfondita per valutare quanto è accaduto. (...) Se la Repubblica Popolare Cinese ha in mano prove e testimonianze a supporto delle affermazioni fin qui fatte, dovrebbe renderle note al mondo intero. Fare dichiarazioni non supportate da prove non è sufficiente.

Per il futuro del Tibet, ho deciso di trovare una soluzione nell’ambito della Repubblica Popolare Cinese: dal 1974 sono rimasto fedele all’approccio reciprocamente vantaggioso della Via di Mezzo. Ormai il mondo intero lo conosce: significa che tutti i tibetani devono essere governati da un’amministrazione che goda di una significativa autonomia regionale e nazionale, con tutto ciò che questo comporta - autodeterminazione, piena responsabilità decisionale - tranne che per le questioni inerenti alle relazioni estere e alla difesa nazionale. Tuttavia, sin dall’inizio ho detto che i tibetani hanno il diritto di decidere il futuro del Tibet.

Ospitare i Giochi Olimpici quest’anno è motivo di grande orgoglio per il miliardo e duecento milioni di cinesi. Fin dall’inizio ho appoggiato la decisione di disputare le Olimpiadi a Pechino. La mia posizione è immutata. Credo che i tibetani non dovrebbero ostacolare in nessun modo i Giochi: ma è diritto legittimo di ogni tibetano lottare per la propria libertà e il rispetto dei propri diritti. D’altro canto, sarebbe inutile e non gioverebbe a nessuno se facessimo qualcosa che creasse odio nell’animo del popolo cinese. Al contrario: dobbiamo favorire la fiducia e il rispetto nei nostri cuori al fine di creare una società armoniosa, in quanto essa non può nascere sulla violenza e l’intimidazione.

La nostra lotta è contro alcuni esponenti della leadership della Repubblica Popolare Cinese e non con la popolazione cinese. Pertanto non dovremmo mai dare adito a incomprensioni o fare qualcosa che possa nuocere alla popolazione cinese. (...)

Se l’attuale situazione in Tibet dovesse perdurare, temo che il governo cinese possa esercitare ancora più forza e aumentare l’oppressione del popolo tibetano. (...) Ho ripetutamente chiesto alla leadership cinese di fermare immediatamente l’oppressione in ogni zona del Tibet e di ritirare i suoi soldati e le sue truppe armate. Se ciò desse risultati, consiglierei ai tibetani di interrompere le proteste.

Voglio sollecitare i miei concittadini tibetani che vivono fuori dal Tibet a essere quanto mai vigili. (...) Non dovremmo impegnarci in nessuna azione che possa anche minimamente essere considerata violenta. Perfino in presenza di provocazioni, non dobbiamo mai permettere che i nostri valori più preziosi e profondi siano compromessi. Credo fermamente che conseguiremo il successo seguendo la strada della non-violenza. Dobbiamo essere saggi, comprendere da dove nascono l’affetto e il supporto dimostrati senza precedenti per la nostra causa.

Infine, desidero ripetere ancora un’ultima volta il mio appello ai tibetani affinché pratichino la non-violenza e non si allontanino mai da questo cammino, per quanto grave possa essere la situazione.

(Discorso pronunciato ieri a Dharamsala, India. Traduzione di Anna Bissanti )

* la Repubblica, 7 aprile 2008


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