Leggi speciali
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 27 maggio 2008)
Disse una volta il primo ministro inglese Margareth Thatcher: «La società non esiste». Simile l’impostazione del "pacchetto sicurezza", all’origine di quella "politica militarizzata" sulla quale ha richiamato l’attenzione Giuseppe D’Avanzo. Ma, inviato a Napoli con un ruolo a metà tra il Fassbinder di Germania in autunno (dove la madre del regista invoca un dittatore "buono e giusto") e il Tarantino di Pulp Fiction ("Il mio nome è Wolf, risolvo problemi"), il sottosegretario Bertolaso ha subito dovuto fare i conti proprio con la società, ha dovuto mettere tra parentesi gli strumenti autoritari e si è incontrato con i sindaci, i rappresentanti dei partiti e persino con i rappresentanti dei terribili centri sociali.
Non è il caso di fare previsioni sull’esito di questa partita difficilissima. Registriamo uno scacco della logica militare, ma non lasciamoci fuorviare da un episodio e consideriamo con attenzione il nuovo modello di governo della società affermato con il "pacchetto". È accaduto qualcosa di nuovo, che mette alla prova i principi della democrazia e dello Stato costituzionale di diritto, ponendo l’eterna questione del modo in cui si può legittimamente reagire ad emergenze difficili senza travolgere quei principi. La storia è piena di queste vicende, molte delle quali hanno provocato trasformazioni che, in modo duro o "soffice", hanno alterato la natura della democrazia.
Un punto è indiscutibile. È nato un diritto "speciale", fondato su una sostanziale sospensione di garanzie fondamentali. Una duplice specialità. Da una parte riguarda il territorio, poiché ormai in Campania vige un diritto diverso da quello di altre regioni. Dall’altra riguarda le persone, perché per lo straniero vige un diritto che lo discrimina e punisce in quanto tale, anche per comportamenti per i quali la sanzione penale è chiaramente impropria e sproporzionata o ingiustificatamente diversa da quella prevista per altri soggetti che commettono lo stesso reato.
Colpisce la contemporaneità di provvedimenti che sembrano collocare nella categoria dei "rifiuti" sia le cose che le persone, la spazzatura da smaltire e l’immigrato da allontanare. E tuttavia una distinzione bisogna farla, non per attenuare la gravità di quanto è avvenuto, ma per analizzare ciascuna questione nel modo più adeguato. L’emergenza rifiuti in Campania ha una evidenza tale, una tale carica di pericolosità anche per la salute, da rendere indifferibili provvedimenti urgenti. Ma l’insieme delle nuove regole fa nascere un modello che produce una "eccedenza" autoritaria inaccettabile.
In Campania, in materia di rifiuti, è stato cancellato il sistema del governo locale. Le aree individuate per la loro gestione sono dichiarate "di interesse strategico nazionale", con conseguente militarizzazione e attribuzione al sottosegretario Bertolaso della direzione di tutte le autorità pubbliche: a lui vengono subordinati "la forza pubblica, i prefetti, i questori, le forze armate e le altre autorità competenti", con una concentrazione di potere assoluto davvero senza precedenti. Un accentramento di potere si ha anche per la magistratura, con la creazione di una superprocura per i rifiuti, con la centralizzazione dell’esercizio dell’azione penale e dello svolgimento delle indagini preliminari. La stessa logica accentratrice è alla base dell’attribuzione al solo giudice amministrativo di tutte le controversie riguardanti la gestione dei rifiuti, anche per le "controversie relative a diritti costituzionalmente garantiti". Vengono creati nuovi reati, per il semplice fatto di introdursi in una delle aree "militarizzate" o per l’aver reso l’accesso "più difficoltoso": una formula, questa, di così larga interpretazione che può risolversi in inammissibili restrizioni di diritti costituzionalmente garantiti, come quello di manifestare liberamente.
L’insieme di questi provvedimenti è impressionante. Nessuno, ovviamente, può spendere una sola parola a difesa di un sistema di governo locale assolutamente inefficiente. È essenziale, tuttavia, rimuovere anche le cause ambientali, camorristiche e affaristiche, che hanno accompagnato l’inerzia e la complicità degli amministratori locali: senza queste misure, il ritorno della mala amministrazione, magari in altre forme, rischia d’essere inevitabile e le misure prese rischiano di non funzionare (come si allenterà la presa camorristica sul trasporto dei rifiuti?). Inaccettabile, però, appare la manipolazione del sistema giudiziario. Il Governo si sceglie i magistrati che devono controllare le sue iniziative. Viene aggirato l’articolo 102 della Costituzione, che vieta l’istituzione di giudici straordinari o speciali. La garanzia dei diritti costituzionalmente garantiti è degradata. La legalità costituzionale è complessivamente incrinata.
Interrogativi analoghi pone l’altro diritto "speciale", riguardante gli immigrati. A parte l’inammissibilità di alcune scelte generali, contrarie ai principi costituzionali riguardanti l’eguaglianza e la stessa dignità delle persone, siamo di fronte a norme destinate a far crescere inefficienza e arbitri, a perpetuare un sistema che genera irregolarità. Si è sottolineata l’impossibilità di applicare le nuove misure senza far saltare il sistema giudiziario e carcerario. Tardivamente ci si è resi conto che si possono provocare sconquassi sociali, e si è detto che si porrà rimedio al problema delle badanti, distinguendo caso per caso. Ma sarà davvero possibile fare accertamenti di massa, controllare centinaia di migliaia di persone? E ha senso limitarsi alle badanti o è indispensabile prendere in considerazione anche colf e altre categorie di lavoratori altrettanto indispensabili, come hanno sottolineato molte organizzazioni, Caritas in testa? Provvedimenti giustificati con la volontà di ristabilire l’ordine, si rivelano fonte di nuovo disordine e ulteriori irregolarità.
Ma contraddizioni, difficoltà di funzionamento, smagliature, non possono far sottovalutare la creazione di un modello di governo della società che ha tutti i tratti della "democrazia autoritaria": centralizzazione dei poteri, abbattimento delle garanzie, restrizione di libertà e diritti, sostegno plebiscitario. Si affrontano questioni dell’oggi, ma si parla del futuro. Si coglie la società italiana in un momento di debolezza strutturale, e si modificano le condizioni dell’agire politico. Si lancia un messaggio che rafforza i pregiudizi e diffonde la logica della mano dura: non sono un caso le aggressioni romane a immigrati e gay. Qui è la vera riforma istituzionale, qui il rischio di uno strisciante mutamento di regime.
Un virus è stato inoculato nel sistema politico e istituzionale. Esistono anticorpi che possano contrastarlo? In democrazia, questi consistono nel Parlamento, nel ruolo dell’opposizione, nel controllo di costituzionalità, nella vitalità dell’opinione pubblica. Ma una ferrea maggioranza annuncia il Parlamento come luogo di pura ratifica delle decisioni del Governo. L’opposizione sembra riservarsi quasi esclusivamente "un potere di emendamento", che la mette a rimorchio delle iniziative del Governo. Molto lavoro attende la Corte costituzionale, come accade nei tempi difficili di tutte le democrazie.
I cittadini, l’opinione pubblica? Sulle capacità di reazione di un mondo reduce da una batosta elettorale si può sospendere il giudizio. Ma i disagi profondi e le insicurezze reali vengono ormai governati con l’accorta manipolazione dei sondaggi, con una presa diretta delle pulsioni sulla decisione politica, con una logica sostanzialmente plebiscitaria che li capitalizza a fini di consenso. Si imbocca così una strada vicina a quella che ha portato alla crisi di molte democrazie nel secolo passato. Certo, tempi e contesti mutano. L’Europa ci guarda e, per molti versi, ci garantisce. E tuttavia il populismo ci insidia tutti, sfrutta ogni debolezza della democrazia e dei suoi fedeli, ci consegna a logiche autoritarie. È una tendenza ormai irreversibile, come più d’uno ormai teme? O non bisogna perdere la fede, e cogliere proprio le occasioni difficili per continuare a lavorare sulla democrazia possibile?