In orbita il telescopio cacciatore di pianeti extraterrestri. «Non cerchiamo di trovare Et, ma la casa dove potrebbe vivere»
La Nasa alla ricerca della nuova Terra, parte Keplero
di Giovanni Caprara (Corriere della Sera, 07.03.2009)
MILANO - Per la ricerca di una nuova Terra attorno ad un’altra stella della nostra galassia Via Lattea forse è arrivato il momento tanto atteso. Salvo rinvii dell’ultimo momento, la Nasa ha lanciato questa notte da Cape Canaveral «Keplero», il primo cacciatore spaziale di pianeti extraterrestri. E’ un corposo osservatorio alto cinque metri che nasconde al suo interno un telescopio di 1,4 metri di diametro capace di convogliare la luce cosmica su una camera con 95 milioni di pixel, la più potente mai lanciata. Il tutto è stato studiato appunto per scovare intorno a stelle simili al Sole nuovi pianeti della dimensione del nostro globo azzurro sistemati nella «zona abitabile», cioè alla giusta distanza dalla stella madre per consentire un equo flusso di energia in grado di alimentare la vita. «Non speriamo di trovare Et - ha notato William Borucki del centro Ames della Nasa e coordinatore della missione - ma piuttosto la casa dove potrebbe vivere ». E questo sarebbe già un risultato straordinario. Ma l’impresa non sarà semplice.
Finora con i telescopi terrestri a partire dal 1995 si è già rilevata la presenza intorno ad altre stelle della galassia di 340 pianeti. Però nella quasi totalità sono dei giganti gassosi come Giove. Di qualcuno roccioso ci sono solo indizi e per le immagini, finora solo il telescopio orbitale Hubble è riuscito di recente a cogliere una traccia che aiuta poco gli astronomi.
Serviva proprio uno strumento concepito per l’ardua caccia e così la Nasa progettava Keplero investendo 600 milioni di dollari allo scopo di condurre il primo censimento dallo spazio di pianeti extrasolari. L’indagine riguarda solo una regione limitata della Via Lattea dove si possono scorgere le costellazioni del Cigno e della Lira, che hanno già attirato l’attenzione del cacciatori di pianeti. In questo territorio infatti hanno catturato da Terra quattro corpi «gioviani» che saranno utilizzati come campioni di riferimento per scovarne altri ma più piccoli. Il metodo sarà sempre lo stesso: cogliere una variazione nella luminosità della stella quando il pianeta le transita davanti.
Un altro metodo utilizzato da Terra con tutte le incertezze del tremolio atmosferico misura le anomalie nella posizione dell’astro causate dalla forza di gravità di un corpo che gli gira attorno.
Per conquistare qualche risultato Keplero punterà per tre anni e mezzo il suo occhio sull’obiettivo scandagliando ogni mezz’ora centomila stelle. Le probabilità di cogliere un pianeta della nostra taglia su un’orbita come quella terrestre è dell’uno per cento. Se tutto andrà come ipotizzato dagli scienziati il risultato finale dovrebbe portare alla scoperta di alcune centinaia di nuove terre. «Se invece Keplero non le troverà - aggiunge Borucki - vuol dire che i pianeti come il nostro sono davvero rari nell’universo e noi siamo forse gli unici». «Quando volavo sullo shuttle - ricorda l’ex astronauta e astrofisico Umberto Guidoni - sognavo di poter viaggiare verso un altro pianeta. Ora Keplero porterà almeno il nostro occhio».
C’è nell’Universo il libro della natura
Dal libro «Storia dell’astronomia» a cura di Michael Hoskin (Bur-Rizzoli) e appena ristampato, pubblichiamo un estratto della prefazione scritta da Margherita Hack
di Margherita Hack (Corriere della Sera, 07.03.2009)
Nel XIX secolo nasce l’astrofisica, la scienza che studia la natura fisica dei corpi celesti, la loro temperatura, densità, stato della materia, composizione chimica, le fonti dell’energia irradiata dalle stelle. La tecnologia atta ad affrontare questi problemi era nata all’inizio dell’800: era la spettroscopia, cioè l’analisi della luce bianca irradiata dalle stelle, scomponendola nelle sue componenti mono-cromatiche, ottenendo quello che si chiama lo spettro. Questo - per usare le parole di Galileo - era il libro aperto della natura. Ma bisognava imparare a leggerlo, e le chiavi per una completa lettura furono scoperte solo un secolo dopo, all’inizio del Novecento con la rivoluzione della fisica quantistica.
Un importante sviluppo tecnologico si ottenne alla fine dell’Ottocento con l’invenzione della fotografia. Prima di allora gli astronomi, che si preparavano all’osservazione di un corpo celeste o del suo spettro, dovevano invece abituare l’occhio all’oscurità, osservare, ricordare e con una debole luce disegnare quello che avevano visto; riabituarsi all’oscurità e ricominciare le osservazioni. Quindi un procedimento fortemente soggettivo, dipendente dalla memoria visiva e dall’abilità di disegnatore dell’astronomo. Con l’introduzione della fotografia le immagini erano ottenute in modo completamente oggettivo, e potevano poi essere studiate e misurate con calma a tavolino. Col primo grande telescopio moderno, il 2,50 metri di Monte Wilson si ottengono anche le prime importanti osservazioni di importanza cosmologica, che Edwin Hubble riassume nella sua legge: tutte le galassie si allontanano da noi con velocità proporzionale alla distanza, un’indicazione che l’universo è in espansione.
Nasce così la disputa fra i sostenitori delle due principali teorie cosmologiche: universo evolutivo o universo stazionario, disputa a cui pone fine nel 1965 la scoperta della radiazione fossile a 3 gradi assoluti. Intanto Karl Janski scopre casualmente, all’inizio degli anni Trenta, che la Via lattea emette onde radio, e si comincia a capire che il cielo studiato fino ad allora, attraverso la sola osservazione della luce, ci mostra un aspetto molto parziale dell’universo.
Col lancio dello Sputnik, il 7 ottobre 1957 ha inizio l’era spaziale e un decennio dopo i telescopi in orbita attorno alla Terra ci mostreranno l’aspetto dell’universo a raggi X e nell’ultravioletto, radiazioni che la nostra atmosfera assorbe completamente. Si progettano i grandi telescopi della nuova generazione, resi possibili dai progressi dell’elettronica e dell’informatica, si moltiplicano i telescopi in orbita e le sonde che vanno a scrutare da vicino i pianeti del sistema solare, o addirittura che scendono sulla superficie di Venere, di Marte e infine sul lontano satellite di Saturno, Titano. Si scoprono nuovi pianetini oltre Plutone e centinaia di pianeti extrasolari, in orbita cioè attorno a stelle diverse dal Sole, e ci si interroga sulla probabilità di vita nell’universo.
Questo libro ci accompagna a rivivere la meravigliosa avventura dell’umanità, dai primi passi incerti del neonato alla corsa dell’atleta maturo, utilizzando come strumento tutti i campi della fisica che possiamo sperimentare nei nostri laboratori, per leggere il libro della natura.