STASERA ITALIA-ROMANIA
QUELLA STRETTA DI MANO SUL CAMPO VERDE
di UMBERTO FOLENA (Avvenire, 13.06.2008)
È una vigilia tragica, da dentro o fuori, da ultima spiaggia, da estremo sacrificio e bla bla? È una vigilia normale, da tante che ne abbiamo vissute di simili. Ma Italia-Romania, alle 18 di stasera a Zurigo, non sarà una partita di calcio ’normale’. Troppo spesso i romeni sono entrati in cronaca, negli ultimi mesi, perché possa esserlo.
Potrebbe essere una festa, come sempre dovrebbero essere le partite di calcio, anche quando gli sfidanti sono acerrimi rivali o hanno conti in sospeso. Il duello viene ritualizzato, ridimensionato, ricondotto a un fatto simbolico in cui lo sconfitto perde soltanto una coppa e sa che prima o poi potrà avere la rivincita. Nei migliori dei casi è una festa, come quando a sfidarsi sono, a fine anno scolastico, professori e alunni, genitori e studenti, perfino scapoli e ammogliati.
Potrebbe e dovrebbe essere una festa da seguire tutti insieme nei bar e nelle piazze, casacche azzurro cielo noi e giallo limone loro, allegramente mescolati in un tripudio cromatico. Sarebbe perfino l’occasione per chiederci scusa. E di scuse da farci ne avremmo a iosa. Loro, i romeni, per i pochi connazionali che sono venuti in Italia non per lavorare ma per arraffare. E soprattutto noi italiani, che mentre i romeni (non solo loro, s’intende) svolgono le mansioni che noi non abbiamo voglia di fare, contribuendo alla ricchezza del nostro Paese, abbiamo preso a trattarli con aperta diffidenza, facendo di tutta l’erba un fascio perché discernere con intelligenza pare sia diventato un esercizio irrisorio, da buonisti e ingenui (tra gli ingenui buonisti pare che i cattolici siano larga maggioranza).
La cronaca, sempre lei, sottolinea i crimini commessi da cittadini romeni; evita però con cura di enfatizzare i crimini commessi dagli italiani nei confronti dei romeni. E se ieri un editoriale in prima pagina sul Corsera andava gagliardamente contro corrente, di eccezionale eccezione si è trattato. Invece dovremmo dire: bentornati, amici romeni, voi latini dell’est, orgogliosi delle vostre radici. Forse lavoriamo troppo di fantasia, ma pur sempre di discendenti dei legionari romani (e di orgogliosi daci) si tratta. Scommettiamo che un’attenta analisi del Dna scoverebbe più latinitas nell’attaccante di Calinesti, che di nome fa Adrian come l’imperatore, che nel terzino di Savona che potrebbe marcarlo e di nome fa Christian, o dell’ala nata a Tandil, Argentina? Il nostro mitico Rino Gattuso da Corigliano Calabro non c’entra, lui è Magna Grecia doc. Ascolti Mutu (l’Adrian di cui sopra), Chivu, Codrea e Contra mettere in fila congiuntivi e articoli (perfino ’lo’ davanti a pn, gn ed esse impura), osservi i loro volti larghi da antico romano, e ti convinci che i romeni sono gli immigrati perfetti, i cugini, quelli con cui legare più facilmente. Invece ne stiamo facendo carne da rotativa per alimentare insicurezza a tutto vantaggio delle polemiche di basso profilo e dell’informazione un tanto al chilo.
Quando gli azzurri e i gialli si stringeranno la mano, stasera alle 18 (se la stringeranno? Ma sì che se la stringeranno!) ci piace pensare che rappresenteranno entrambi i nostri popoli. Il risultato conta poco. Conta giocare. Conta il grande fatto simbolico e catartico. Una grande sfida sul prato verde per liberarci di veleni, rancori e paure. Allora avremmo vinto entrambi.