La conferenza stampa del Ct dopo l’eliminazione ad opera della Spagna "Due rigori sbagliati non cambiano il giudizio che resta positivo"
Donadoni: "Mai pensato a dimissioni
Con Abete 10 giorni per decidere"
Lippi è dietro l’angolo ma lui non demorde: "Lo spirito del gruppo era quello giusto"
dal nostro inviato VALERIO GUALERZI *
BADEN (Austria) - Gli uomini contano più dei giocatori, lo spirito del gruppo è più importante dei risultati e alla fine "il tempo è il medico migliore". L’arrivo di Lippi sulla panchina della Nazionale è sempre più dietro l’angolo, ma Roberto Donadoni per trarre un bilancio della sua esperienza preferisce indossare i panni del filosofo piuttosto che quelli del tecnico. Per questo rimane convinto di non avere nulla da rimproverarsi e coltiva la speranza che la Federazione possa rivedere quella che appare ormai una scelta scontata: il suo esonero e il ritorno del ct campione del mondo. "L’accordo con il presidente Abete - spiega Donadoni - prevede dieci giorni per riflettere, poi si vedrà. Non sono preoccupato, quello che ci siamo detti rimane". Una sorta di tempo supplementare che però difficilmente gli basterà per segnare un gol in contropiede.
All’indomani dell’eliminazione dall’Europeo, l’allenatore vira tutti i ragionamenti sul lato umano dell’avventura conclusa prematuramente. E vista sotto questa ottica l’esperienza, dice, "è stata straordinaria". "Quanto hanno fatto i ragazzi - aggiunge - mi rimarrà sempre dentro, devo ringraziarli". "Ho visto le lacrime di qualcuno, ho visto i loro volti dopo la sconfitta. Mi ha fatto capire di non aver sbagliato la scelta degli uomini e questo - prosegue - sotto il profilo umano è stata un’enorme gratificazione".
Rimane il fallimento segnato da un’uscita di scena dopo appena quattro partite e senza aver mai disputato una gara convincente fino in fondo. Ma non è questo, spiega il tecnico, il metro di giudizio su cui valutare gli avvenimenti. "Non ho mai pensato alle dimissioni - prosegue - non capisco cosa significhi parlarne, l’idea non mi è mai passata per l’anticamera del cervello". E il ragionamento, insiste Donadoni, sarebbe stato lo stesso anche con risultati diversi. "Se fossi arrivato in finale, ma con lo spirito del gruppo sbagliato, con un rapporto diverso con tutto il contesto, ne avrei tratto le conseguenze - sottolinea - non sarebbe certo bastata la conquista della finale a farmi cambiare idea".
I rapporti umani innanzitutto, insomma. E da questo punto di vista il commissario tecnico si dice tranquillo anche per quanto riguarda la relazione con la Federcalcio. Non è vero, spiega, che la Figc lo ha lasciato solo, senza mai difenderlo veramente, lasciando sempre la porta aperta a un cambio in corsa ad appena pochi giorni dalla firma del rinnovo contrattuale per un secondo biennio. "Il presidente Abete è una persona che mi piace, come qualità umane e carattere mi rivedo in lui - dice l’allenatore - Nella sua come nella mia natura ci sta il fatto di sottolineare le cose che non vanno e di dare per scontate quelle che vanno". L’essere poi uscito di scena ai rigori non fa che rafforzare le convinzioni di Donadoni. "Non possono essere due tiri sbagliati da De Rossi e De Natale a farmi cambiare il giudizio su quanto fatto sin qui - aggiunge il ct - altrimenti in questo modo il mio esistenzialismo andrebbe ramengo". Ma chissà se anche Abete è un esitimatore di Sartre.
* la Repubblica, 23 giugno 2008.