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EU-ANGELO E COSTITUZIONE . "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4. 1-8). «Et nos credidimus Charitati...»!!!!

FAMIGLIA CRISTIANA METTE I PUNTINI SULLE "I" E INVITA A NON CONFONDERE L’ETERNO PADRE (DEUS CHARITAS) DELL’ITALIA CON IL "PADRETERNO" DI "FORZA ITALIA". E SOLLECITA LA POLIZIA A PRENDERE LE IMPRONTE DEI FIGLI E DEI NIPOTINI DI BERLUSCONI, MARONI, E DEI PARLAMENTARI - a cura di Federico La Sala

’’Il centrodestra non ha fatto ancora i conti con le leggi razziali. Per loro la dignità dell’uomo vale zero’’.
mercoledì 13 agosto 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Berlusconi "permetterebbe che agenti di polizia prendessero le impronte dei suoi figli o dei suoi nipotini? Oggi - argomenta Famiglia cristiana - con le impronte digitali, uno Stato di polizia mostra il volto più feroce ai piccoli rom, che pur sono cittadini italiani. Perché non c’é la stessa ostinazione nel combattere la criminalità vera in vaste aree del Paese?". Anche la proposta di togliere la patria potestà ai genitori rom non piace e viene considerata "una forzatura del (...)

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> FAMIGLIA CRISTIANA METTE I PUNTINI SULLE "I" E INVITA A NON CONFONDERE L’ETERNO PADRE (DEUS CHARITAS) DELL’ITALIA CON IL "PADRETERNO" DI "FORZA ITALIA". ---La Giustizia ha tanti occhi e tante orecchie. Si discute da millenni se sia più importante l’udito o la vista. C’è chi l’ha rappresentata con la benda sugli occhi, in modo da garantire l’uguaglianza di trattamento a chi è ricco e a chi è povero, ai potenti e ai miserabili. Oggi la Giustizia italiana apre tutti i suoi occhi per guardare i bambini zingari mentre chiude gli occhi e si tura le orecchie davanti ad alcuni potenti (di Adriano Prosperi, Perché zingari ed ebrei sono vittime predestinate. Il volto banale della xenofobia).

martedì 1 luglio 2008


-  Perché zingari ed ebrei sono vittime predestinate Il volto banale della xenofobia

di Adriano Prosperi (la Repubblica, 01.07.2008)

Rilevare le impronte ai bambini degli zingari è una misura razzista. Le proteste del ministro che le propone e dei molti che silenziosamente o rumorosamente le approvano ci mettono davanti al volto autentico del razzismo. Che non è quello mostruoso e abnorme che ci piace immaginare per nostra tranquillità: è quello pulito e rispettabile di tanti buoni padri di famiglia amanti della natura, dei cani e dei bambini, bene intenzionati nei confronti dell’umanità, decisi a isolare, rieducare o sopprimere le frange irregolari, sporche, malate, deformi. Una parola dal suono e dal significato benevolo riassume tutto questo: eugenetica. Basta visitare musei e centri di ricerca nelle capitali della scienza medica tedesca per trovarci davanti ai documenti lasciati negli anni dalla volontà di selezionare e migliorare la specie umana. Eppure, come da sempre accade quando si parla di zingari, ebrei e altre vittime predestinate del razzismo, chi propone o difende certe misure non vuole che lo si definisca razzista.

Ma la storia può aiutare a togliergli qualche illusione. Anche a un esame rapido e superficiale emerge che le misure scientifiche applicate al corpo umano sono una cosa diversa e recente, che spicca nel percorso millenario delle barriere di artificiali differenze alzate tra "noi" e "gli altri". All’inizio ci furono quelle linguistiche. Sono l’esito più antico del tentativo di porci al di sopra di altri gruppi umani: "noi" parliamo, "gli altri" farfugliano, balbettano sillabe incomprensibili. Per questo li abbiamo chiamati "barbari". Poi ci furono le barriere religiose: con l’avvento in Europa del cristianesimo come religione universale e obbligatoria, gli "altri" sono diventati gli "infedeli" se al di là dei nostri confini, gli "eretici" o i "giudei" se all’interno. Bisognò individuarli per impedire loro di contaminarci: le mura dei ghetti e un panno giallo sul cappello o una stella di David per gli ebrei, una tunica nera coi diavoli dipinti sopra per gli eretici. Se l’eretico o il giudaizzante finiva sul rogo, l’abitello restava appeso in luogo sacro a perpetuare la memoria e l’infamia. Oggi ne rimane qualcuno nei musei, documento di un passato lontano.

Ma prendere le impronte digitali è cosa diversa. Sir Francis Galton, il grande scienziato inglese cugino di Darwin e autore di un’opera fondamentale sulla classificazione delle impronte digitali (Fingerprints, 1892), non era razzista. Credeva nella scienza e nelle possibilità di sviluppo dell’intelletto umano. E tuttavia il metodo della rilevazione delle impronte trovò la sua prima applicazione nel 1897 in un’area dove la civiltà occidentale era decisa a modificare una cultura diversa: lo usò un ufficiale di polizia inglese nel Bengala. Dunque fin dall’inizio un metodo nato nell’ambito della ricerca scientifica fu usato su di un popolo dominato dall’Occidente e divenne lo strumento poliziesco per l’identificazione dei criminali.

Da allora le tecniche di misurazione dei corpi e di individuazione delle differenze dalla cosiddetta "normalità" si sono prestate all’impiego in funzione della selezione delle "razze" buone e dell’eliminazione di quelle "cattive". Come ha spiegato il maggiore storico del razzismo moderno, George Mosse, nel mondo contemporaneo il razzismo tende a diventare il punto di vista della maggioranza. È un modo di vedere le cose che si è impadronito di idee di uomini di scienza non razzisti e le ha usate per imporre l’ideale di rispettabilità borghese e di moralità della classe media, fatto di pulizia, onestà, serietà morale, duro lavoro e vita familiare. Chi si distacca da quell’ideale è considerato un diverso, un essere pericoloso, un criminale in potenza. La sua esistenza è un attentato alla salute del corpo sociale, quell’individuo collettivo, quella entità gigantesca, preziosa, di cui siamo le membra e che siamo tenuti a proteggere. Se si può isolare scientificamente la diversità - ecco il sogno del razzista - il pericolo si può eliminare. Perché criminale si nasce, non lo si diventa. Come scrisse nel 1938 un avvocato tedesco destinato a grande fortuna, Hans Frank, «la biologia criminale, o teoria della delinquenza congenita, indica l’esistenza di un nesso tra decadimento razziale e tendenze criminali». Ecco perché bisogna portare il bambino figlio di zingari davanti alla macchina che registrerà le sue impronte digitali. La sua è una razza degenerata, decaduta, dedita al nomadismo, all’alcoolismo, al furto. Lui non lo sa, ma noi sì. Prima o poi quella traccia schedata dalla polizia (o dai vigili? a loro la risposta) si rivelerà utile. L’occhio della legge non lo perderà di vista.

Già, l’occhio. La Giustizia ha tanti occhi e tante orecchie. Si discute da millenni se sia più importante l’udito o la vista. C’è chi l’ha rappresentata con la benda sugli occhi, in modo da garantire l’uguaglianza di trattamento a chi è ricco e a chi è povero, ai potenti e ai miserabili. Oggi la Giustizia italiana apre tutti i suoi occhi per guardare i bambini zingari mentre chiude gli occhi e si tura le orecchie davanti ad alcuni potenti. È un fatto nuovo e originale. Si prendano dunque le impronte digitali agli zingari e ai loro bambini. Nelle linee della mano le zingare hanno letto per secoli il nostro destino, ora è venuto il tempo di leggere e decidere il loro. Quanto ai bambini, ci dicono che è per proteggerli. Non per tutti sarà possibile: quella bambina a cui fu messa in mano una bambola esplosiva le dita non ce le ha più.


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