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Antropologia e Costituzione. Quale missione per gli architetti?

ARCHITETTURA E DEMOCRAZIA. A margine del Congresso mondiale e della Biennale di Venezia, un intervento-appello di Franco La Cecla - a cura di Federico La Sala

mercoledì 2 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Non si tratta di fare il processo agli architetti, si tratta però di farli finalmente parlare dello specifico del loro lavoro di cui devono rispondere ai cittadini. Oggi non esiste da nessuna parte un lavoro sulla fortuna di certe opere architettoniche. Gli architetti si sbarazzano dell’opera alla consegna, e non ne sono più responsabili, mentre è allora che l’opera entra nella sua funzione pubblica. Cosa sono le case, le università, gli edifici pubblici, i musei di Gregotti, Purini, (...)

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> ARCHITETTURA E DEMOCRAZIA. --- "L’empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze". Nota di Gabriele Neri

domenica 21 giugno 2015

Percepire gli spazi

Il cervello architettonico

di Gabriele Neri (Il Sole-24 Ore, Domenica, 21.06.2015)

Harry Francis Mallgrave, L’empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze, Raffaello Cortina Editore, Milano, pagg. 298, € 28,00

«Il fatto che percepiamo (e quindi concepiamo) l’ambiente costruito tramite l’intero nostro corpo (e non semplicemente i nostri sensi o il nostro cervello) può sembrare una cosa del tutto ovvia, ma per formazione gli architetti tendono a pensare agli edifici come a oggetti astratti». È questa una delle considerazioni alla base del libro di Harry Francis Mallgrave, intitolato L’empatia degli spazi. Architettura e neuroscienze, dedicato a che cosa accade dentro di noi quando guardiamo, percorriamo, viviamo un edificio, un’opera d’arte o un oggetto di design.

Mallgrave, docente all’Illinois Institute of Technology, spiega come grazie alle più recenti tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale - ad esempio la risonanza magnetica funzionale - sia possibile mappare le aree coinvolte nel processo percettivo visivo, ricavando informazioni interessanti sulla nostra reazione all’architettura. Prima che da un punto di vista razionale, facciamo infatti esperienza di un edificio emotivamente, attraverso risposte fisiologiche immediate e inconsce. Secondo alcuni studi, la vista di un edificio innesca i ricettori degli oppioidi (le endorfine prodotte dal corpo) nel cervello, producendo un diverso grado di piacere a seconda della sua gradevolezza: piacere massimo davanti a una fila di case pittoresche, minimo di fronte a un edificio per uffici in acciaio e vetro. Tale deduzione, per alcuni scontata, ha un risvolto fondamentale: le persone gradiscono o meno un edificio non per preferenze personali, ma secondo precise ragioni neurologiche. La “bellezza” non sarebbe così un concetto astratto, bensì - secondo alcuni biologi - il risultato di precisi impulsi elettrici e chimici.

Altri studi porterebbero a dividere gli ambienti costruiti in due categorie: quelli che promuovono l’attività parasimpatica e inducono un rilassamento, e quelli che invece stimolano l’attività simpatica e il consumo di energia. La Galleria Nazionale di Mies van der Rohe a Berlino, con la sue linee regolari e classiche, sarebbe «una tranquilla architettura parasimpatica»; all’opposto la Filarmonica di Scharoun, con le sue superfici sghembe, «è eccitante in tutte le accezioni del termine» e produrrebbe un’iperattività della mente. Importanti riflessioni sono poi ricavate dalla scoperta dei “neuroni specchio”. Quando guardiamo un’architettura il nostro cervello si attiva - in maniera precognitiva - simulando i movimenti che quegli spazi riescono a evocare. Si instaura perciò una relazione profonda tra essere umano e ambiente fisico, che rimanda al noto concetto di Einfühlung (empatia) sviluppato da Robert Vischer nel 1873.

Domanda: come possono influire queste scoperte e ipotesi sulla progettazione? In primo luogo, se tali esperimenti rafforzano il ruolo dell’emozione nei nostri processi di comprensione del mondo e degli edifici in cui viviamo, per Mallgrave dovremmo ridimensionare tutte quelle eccessive «astrazioni concettuali prive di ogni risonanza corporea» che hanno dominato le recenti teorie architettoniche. Gli architetti, infatti, «hanno indirizzato i loro sforzi verso l’”intelletto”, ignorando il più ampio dominio ambientale del corpo/mondo» e senza considerare che mente, corpo, ambiente e cultura sono connessi tra loro a livelli diversi.

Nonostante vi siano architetti attenti a questa dimensione emotiva e multisensoriale - ad esempio Peter Zumthor, legato a una concezione artigianale del costruire - secondo Mallgrave molti di essi oggi inseguono soltanto immagini fotogeniche, e non invece «un ambiente sensibile al benessere umano e alle inclinazioni sensoriali». Uno dei colpevoli sarebbe il computer, che impedisce ai progettisti di «tornare alle cose reali del mondo», tagliando il legame neurologico tra la testa e la mano. «Quando la testa e la mano divorziano - ha scritto Richard Sennet - è la testa a soffrirne».

Come sottolinea Mallgrave - che mescola biologia, psicologia, filosofia, storia dell’architettura, antropologia e neuroscienze con estrema chiarezza - siamo solo all’inizio di un campo d’indagine immenso e sfaccettato. Sono ancora pochi gli esperimenti direttamente riferiti alla percezione neurologica dell’architettura, la quale avviene attraverso stimoli e condizionamenti difficilmente schematizzabili. I risultati attesi nei prossimi anni potrebbero tuttavia essere di grande impatto per i progettisti che volessero prenderli in considerazione. «Il fatto che le tecniche di visualizzazione cerebrale possano catturare sullo schermo i “brividi lungo la schiena” che potrebbero verificarsi durante l’ascolto di un improvviso di Schubert o l’ingresso in una cattedrale medievale indica che vi sono molte possibilità in tal senso».


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