Inviare un messaggio

In risposta a:
IL CONFLITTO DI INTERESSI E L’OFFESA PIU’ GRANDE: RUBARE IL NOME DELL’ITALIA PER FARNE UN PARTITO...

D’Alema rivolge un «consiglio amichevole» a Silvio Berlusconi .... gridiamo insieme, di fronte al Presidente della Repubblica e dell’intero Parlamento: Forza Italia!!! Un buon test ... di democraticità personale e istituzionale, per entrambi - a cura di Federico La Sala

Il Lodo Alfano è una «leggina» volta a bloccare in modo sbrigativo e rozzo ... Io non sono contrario alle manifestazioni di piazza, ma quello che le distingue le une dalle altre è quanto in quelle manifestazioni si dice.
giovedì 10 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Massimo D’Alema non usa mezzi termini, intervenendo in Aula alla Camera sul complesso degli emendamenti al ddl sulla sospensione dei processi nei confronti delle alte cariche dello stato e rivolge un «consiglio amichevole» a Silvio Berlusconi: «Rinunci a questa leggina ed affronti il giudizio per accuse che ha sempre respinto. Lo faccia a testa alta e lasci che il Parlamento affronti con strumenti idonei, nel clima di confronto auspicato anche da noi e che è stato compromesso da (...)

In risposta a:

> D’Alema rivolge un «consiglio amichevole» a Silvio Berlusconi .... gridare insieme: Forza Italia!!! ---- Via libera dalla Camera al Lodo Alfano (Adnkronos).

venerdì 11 luglio 2008

IL COMMENTO

L’urlo del populismo

di GAD LERNER *

LA pasquinata di martedì pomeriggio in Piazza Navona non basterà a smontare un’idea nefasta ma ricorrente. L’idea che l’Italia di Berlusconi conceda spazio efficace solo a leadership alternative di natura ugualmente antipolitica e populista. A guidare l’opposizione, cioè, nel paese in cui politica e televisione tendono a coincidere, e perfino il gossip diviene strumento di potere, sarebbero predestinati Antonio Di Pietro e Beppe Grillo, Sabina Guzzanti e Marco Travaglio. I coraggiosi, gli unici che le cantano chiare, evasi finalmente dalla gabbia del "politically correct".

Delusa ogni speranza di partecipazione democratica alla vita dei partiti, i cui dirigenti ci credono talmente poco da preferire blindarsi in fondazioni tecnocratiche, la passione politica dovrebbe giocoforza trasmutarsi in ghigno furioso per comunicare - orribile metafora, non a caso in voga - con la "pancia" del paese.

Se il premier è un attempato signore espertissimo in soubrettes e attrici esordienti, non sarà una rivolta di professioniste dello spettacolo lese nella loro dignità a metterlo in difficoltà, ma piuttosto un altro seduttore che dopo aver frequentato pure lui i bagaglini televisivi, da bordo del suo trattore, gli scaraventa addosso la parola magnaccia. Dando la stura a quel che ne seguirà: in fondo, non sono stati forse Berlusconi e Bossi a introdurre la licenza nel linguaggio istituzionale? Perché dovremmo essergli da meno?

A chi già si era già allontanato dalla militanza, constatata l’impossibilità di incidere sulle decisioni politiche, viene offerto il ruolo di mero consumatore di spettacolo: tra una presentazione di libri, uno show al Palasport e un raduno di piazza, al massimo potrà improvvisarsi fans, o seguace di un raggruppamento dalla leadership insostituibile, bisognosa solo di voti e di un plebiscito ogni tanto.

Piazza Navona serve così a capire che anche nell’indignazione più che giustificata contro le norme "ad personam", gli attacchi alla magistratura, i tentativi di ricatto esercitati sul Quirinale, al populismo d’opposizione riesce impossibile manifestare un volto del tutto diverso dal populismo di governo. Perché nel populismo possono fronteggiarsi leadership alternative, ma le matrici culturali non si differenziano: dal maschilismo all’ostilità nei confronti del diverso, dal disprezzo per le istituzioni a una visione caricaturale dei "poteri forti".

Prendiamo l’ultimo mostro generato dall’intreccio italiano fra televisione e potere, cioè il luogo fatidico con cui gli oratori di Piazza Navona intrattengono un rapporto di amore-odio. A partire di lì, la cosiddetta pornopolitica ha definitivamente imposto come senso comune una visione oltraggiosa dell’universo femminile diviso in due: le cortigiane pronte a offrirsi come merce; e le consorti mute per analoga convenienza. Non a caso ciò si è verificato nel paese occidentale che detiene i record della rappresentanza politica più maschile e della tv più guardona. C’è da stupirsi se in Piazza Navona gli avversari di Berlusconi hanno riproposto il suo medesimo stereotipo maschilista?

La corrività si manifesta altrettanto sulle politiche della sicurezza. Come dimenticare che nell’ottobre 2007 fu Beppe Grillo il primo ad aizzare i suoi seguaci contro "l’invasione dei romeni", sostenendo che in Italia non c’era posto per loro e che meglio avremmo fatto a respingerli con una (impossibile) moratoria? Il distinguo culturale nei confronti delle norme discriminatorie varate dal governo contro gli immigrati e i rom è rimasto così sullo sfondo, impopolare, troppo poco maneggevole per chi preferisce esibire sintonia con i gorgoglii della famigerata "pancia".

Ben più redditizio gli è parso additare al popolo l’esistenza di un non meglio precisato partito unico nel quale combinerebbero affari insieme tutte le altre forze parlamentari, con la complicità del Quirinale. Deformazione grottesca del sistema, cui peraltro viene contrapposto un fronte degli onesti che - guarda caso, come sempre nel linguaggio antipolitico - rifugge alle categorie di destra e di sinistra. C’è da scommettere che anche la più recente invenzione del populismo governativo - lotta senza quartiere contro l’odiosa e misteriosa "speculazione" - diventerà presto terreno di contesa fra opposti demagoghi.

La modesta riedizione 2008 dei girotondi non si prefigge più un ricambio dei dirigenti della sinistra, come sei anni fa. Immagina semmai di costruire, con i girotondini professionalizzati come dirigenti politici, una leadership alternativa a Berlusconi sul suo stesso terreno, per quando Berlusconi non ci sarà più. E’ un disegno velleitario, ma a preoccuparmi è il suo retropensiero implicito. Quasi che l’arretratezza strutturale e culturale del paese imponessero una sorta di adeguamento, o di rassegnazione. Tra il cinico e lo scettico, in troppi hanno smesso di credere alla possibilità di un antidoto democratico, e si stanno convincendo che l’Italia sia in grado di ascoltare solo le voci licenziose o infuriate del populismo.

* la Repubblica, 11 luglio 2008.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: