La prima volta che un’amica venne a trovarmi mi prudevano i palmi. Avevo 17 anni e andai a prenderla alla fermata dell’autobus in vespa. Era settembre. L’estate era agli sgoccioli, ma cambiava poco. Da queste parti le stagioni sono tutte uguali. Il tempo è definito solo dalla neve. Tanta in inverno. I pullman rossi che traghettano l’emigrazione, che partono colmi e tornano sonoramente vuoti, erano lì. C’erano centinaia di ventenni pronti a partire, e non seppi rispondere alla domanda di chi era venuta a trovarmi per la prima volta a San Giovanni in Fiore: "Ma cosa c’è? Una gita scolastica, oppure organizzata dalla chiesa?". Né una né l’altra, risposi grattandomi i palmi, e con lo sguardo basso. Poi accesi la vespa e la portai via. Un’emigrazione così violenta non si può spiegare. Una fine così certa non puoi cambiarla. A San Giovanni in Fiore la ’ndrangheta ha combinato più danni che nella locride. Questo nonostante negli ultimi otto anni siano state uccise "soltanto" tre persone, un’altra è sparita, probabile vittima di lupara bianca. Un’altra ancora pare essere deceduta per overdose. La società florense non s’è schiodata. Continua, convinta, a credere che la ’ndrangheta sia solo lupara ed estorsioni, e che tre omicidi e uno scomparso è comunque un buon risultato confrontato ai numeri partoriti dal crotonese, dalla sibaritide. Si accontenta. E vota. Continua a votare. La stampa locale è fatta da gente appassionata del mestiere, corrispondenti che fanno il loro onesto lavoro. Poi la scheggia impazzita c’è, esiste. E cambia lato come in un valzer austriaco, durante la notte bianca. L’emigrazione è ’ndrangheta. Ma è concetto difficile da far passare. Dio aiuti i florensi, direbbe qualcuno che non c’è più. Ma ancora mi prudono i palmi.
Biagio Simonetta
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