Caro Biagio,
c’è una canzone, cui sono molto legato, di quell’"amico fragile" che Fernanda Pivano definiva il più grande poeta del Novecento. Con la storia d’"un trentenne disperato", precisa che "chi non terrorizza si ammala di terrore". Meditandola, non ho inteso se dalle nostre parti c’è un terrore che viene da palazzo - che si esprime nell’immagine del piatto inferno florense, nonostante il candore quieto della neve - oppure se la paura è imposta dal regime delle onorate, che scorazzano, scoraggiano e correggono cogli AK-47 e i bazooka per le blindate. Comunque, è un’arena tremenda, altro che il programma nazional-popolare di Giletti! E’ un continuo muoversi di ioni, doppie palle e pallettoni; una politica che rispecchia e traduce il celeberrimo motto di Hobbes: "Homo homini lupus". Qui, da noi, la società è bloccata, monitorata, guidata, condotta verso la fine, la distruzione, l’oblio. Ogni tanto, qualcuno si ristora in un casello, si ferma a una stazione (come alla Via Crucis), inebriandosi per non pensare. Qualche volta, il passeggio del contrappasso funge perfino da evasione. Ma non si sfugge a quel disegno di vertice che prevede lo sterminio, la cancellazione d’un popolo con l’assistenza, l’emigrazione e la promessa d’un vantaggio, un favore, un piacere. San Giovanni in Fiore si ghettizza da sola: Da Hollywood al cemento inferriato della parte alta. La sua gente è sfiduciata, rassegnata, complice. Noi possiamo solo incidere la nostra furiosa reazione su pagine in rotativa, su pagine elettroniche, su pagine immaginarie. Ma tutto resterà come sempre: un gioco diabolico, cinico, perverso. Mi vengono i brividi, mentre scrivo. E il cuore si riempie di rabbia sconfinata.
emiliano