La Bibbia e la guerra di Rumsfeld
di Marina Mastroluca *
Succede, quando ci si ritrova un’amministrazione formata da falchi teocon, convinti di aver arruolato Dio dalla propria parte. Fa discutere negli Stati Uniti la notizia che l’ex segretario alla difesa Donald Rumsfeld fosse solito corredare i fascicoli dei suoi briefing al presidente George Bush con citazioni della Bibbia. Questo accadeva nel corso della guerra all’Iraq, quella missione che troppo facilmente Bush junior aveva dato per compiuta e che è ancora una grana per la Casa Bianca di Obama.
Mappe di guerra e brani del Vecchio Testamento. Cose così: «Le loro frecce sono affilate, i loro archi sono tesi. I zoccoli dei loro cavalli sono come selce, le ruote dei loro carri sono come vortici». Dal Libro del profeta Isaia, accanto l’immagine di un soldato Usa in preghiera. Altro briefing, altra copertina. Stavolta con Saddam Hussein e la scritta dalla prima epistola di Pietro: «È la volontà di Dio che tu possa zittire attraverso le buone azioni le parole ignoranti dei folli».
La Bibbia per illustrare l’andamento delle operazioni militari - e suggerire, salmi alla mano, gli estremi di una supervisione divina sul teatro di guerra: così andavano le cose, secondo quanto ha riferito il magazine Usa GQ. E non ci si stupisce più di tanto che il presidente Bush abbia dovuto correggersi dopo aver chiamato la sua guerra al terrore una «crociata».
Allora c’era stata una levata di scudi da parte di numerosi Stati musulmani. Molto peggio sarebbe avvenuto però - e questo era il timore dei funzionari dell’amministrazione - se si fosse venuto a sapere delle citazioni della Bibbia. «L’effetto sarebbe stato lo stesso delle rivelazioni su Abu Ghraib», ha confidato una fonte riservata a GQ. Tanto che persino un membro dello staff presidenziale, un musulmano, se ne era sentito personalmente offeso.
A volere la Bibbia in primo piano nei briefing sarabbe stato il generale Glen Shaffer, direttore dell’intelligence militare, che rispondeva a Rumsfeld. E ora che è tutto alle spalle, c’è il tempo di concedersi qualche polemica a ritroso sulla stampa, a futura memoria.
«Mi chiedo che cosa sia peggio: un segretario alla Difesa che cita il Vecchio testamento per aggiornare i progressi dell’invasione di un Paese musulmano o un segretario alla Difesa che pensa che questo servirà a migliorare la conoscenza e l’esperienza del suo presidente», è la livida considerazione di Andrew Sullivan sull’Atlantic Monthly.
Per Frank Rich, columnist del New York Times, Rumsfeld «ha giocato cinicamente la carta della religione per sedurre e manipolare un presidente abituato a citare frequentemente la Bibbia». E c’è di più. «L’azione del segretario alla Difesa non è stata solo viscida, ha comportato anche dei rischi per la sicurezza nazionale. Se ci fosse stata una fuga di notizie su questo collage di messaggi in odor di Crociata e immagini di guerra, avrebbe rinforzato l’apocalittico timore del mondo musulmano sul fatto che quella americana fosse una guerra di religione».
* l’Unità, 19 maggio 2009