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Sul filo del messaggio evangelico, di Gioacchino da Fiore, Francesco d’Assisi e Dante Alighieri....

PAVEL FLORENSKIJ. LE PORTE REGALI - ICONOSTASI. Una recensione di Michele Dolz di una nuova e più completa versione dell’opera del pensatore russo - a cura di Federico La Sala

domenica 27 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] Giuseppina Giuliano appronta una nuova versione in base alla ricostruzione integrale del testo russo di Iconostasi
pubblicato nel 1994. Sì, perché quest’opera, che l’autore non vide mai stampata, è un singolare puzzle di vari testi, a loro volta soggetti a una non facile storia critica. Per la prima volta in Italia, quindi, quel che si può ritenere il vero e completo scritto di Florenskij. Non solo: le ultime edizioni critiche russe delle altre
opere del pensatore permettono di (...)

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> PAVEL FLORENSKIJ. LE PORTE REGALI - ICONOSTASI. ---- "NON DIMENTICATEMI"... Ricordiamo anche i grandi teologi della Chiesa orientale dei quali conosciamo così poco, come Pavel Florenskij e Sergei Bulgakov (di Carlo M. Martini).

lunedì 28 luglio 2008

POSTMODERNO

-  Il rischio della fede contro le illusioni dell’edonismo e dell’individualismo che oggi trovano terreno fertile specie tra i giovani.
-  Il cardinal Martini riflette sulle nuove sfide della Chiesa cattolica

Quale cristianesimo nel mondo

di Carlo Maria Martini *

Che cosa posso dire sulla realtà della Chiesa cattolica oggi? Mi lascio ispirare dalle parole di un grande pensatore ed uomo di scienza russo, Pavel Florenskij, morto nel 1937 da martire per la sua fede cristiana: «Solo con l’esperienza immediata è possibile percepire e valutare la ricchezza della Chiesa». Per percepire e valutare le ricchezze della Chiesa bisogna attraversare l’esperienza della fede.

Sarebbe facile redigere una raccolta di lamentele piena di cose che non vanno molto bene nella nostra Chiesa, ma questo significherebbe adottare una visione superficiale e deprimente, e non guardare con gli occhi della fede, che sono gli occhi dell’amore. Naturalmente non dobbiamo chiudere gli occhi sui problemi, dobbiamo tuttavia cercare anzitutto di comprendere il quadro generale nel quale essi si situano.

UN PERIODO STRAORDINARIO NELLA STORIA DELLA CHIESA

Se dunque considero la situazione presente della Chiesa con gli occhi della fede, io vedo soprattutto due cose.

Primo, non vi è mai stato nella storia della Chiesa un periodo così felice come il nostro. La nostra Chiesa conosce la sua più grande diffusione geografica e culturale e si trova sostanzialmente unita nella fede, con l’eccezione dei tradizionalisti di Lefebvre.

Secondo, nella storia della teologia non vi è mai stato un periodo più ricco di quest’ultimo. Persino nel IV secolo, il periodo dei grandi Padri della Cappadocia della Chiesa orientale e dei grandi Padri della Chiesa occidentale, come San Girolamo, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino, non vi era un’altrettanto grande fioritura teologica. È sufficiente ricordare i nomi di Henri de Lubac e Jean Daniélou, di Yves Congar, Hugo e Karl Rahner, di Hans Urs von Balthasar e del suo maestro Erich Przywara, di Oscar Cullmann, Martin Dibelius, Rudolf Bultmann, Karl Barth e dei grandi teologi americani come Reinhold Niebuhr - per non parlare dei teologi della liberazione (qualunque sia il giudizio che possiamo dare di loro, ora che ad essi viene prestata una nuova attenzione dalla Congregazione della Dottrina della fede) e molti altri ancora viventi. Ricordiamo anche i grandi teologi della Chiesa orientale dei quali conosciamo così poco, come Pavel Florenskij e Sergei Bulgakov.

Le opinioni su questi teologi possono essere molto diverse e variegate, ma essi certamente rappresentano un incredibile gruppo, come non è mai esistito nella Chiesa nei tempi passati. Tutto ciò è avvenuto in un mondo carico di problemi e di sfide, come la ingiusta distribuzione delle ricchezze e delle risorse, la povertà e la fame, i problemi della violenza diffusa e del mantenimento della pace. È poi particolarmente vivo il problema della difficoltà di comprendere con chiarezza i limiti della legge civile in rapporto alla legge morale. Questi sono problemi molto reali, soprattutto in alcuni Paesi, e sono spesso oggetto di differenti letture che generano una dialettica anche molto accesa.

A volte sembra possibile immaginare che non tutti stiamo vivendo nello stesso periodo storico. Alcuni è come se stessero ancora vivendo nel tempo del Concilio di Trento, altri in quello del Concilio Vaticano Primo. Alcuni hanno bene assimilato il Concilio Vaticano Secondo, altri molto meno; altri ancora sono decisamente proiettati nel terzo millennio. Non siamo tutti veri contemporanei, e questo ha sempre rappresentato un grande fardello per la Chiesa e richiede moltissima pazienza e discernimento.

Ma preferisco accantonare almeno per il momento questo genere di problemi e considerare piuttosto la nostra situazione pedagogica e culturale con le conseguenti questioni collegate all’educazione e all’insegnamento.

UNA MENTALITÀ POSTMODERNA

Per cercare un dialogo proficuo tra la gente di questo mondo ed il Vangelo e per rinnovare la nostra pedagogia alla luce dell’esempio di Gesù, è importante osservare attentamente il cosiddetto mondo postmoderno, che costituisce il contesto di fondo di molti di questi problemi e ne condiziona le soluzioni.

Una mentalità postmoderna potrebbe essere definita in termini di opposizioni: un’atmosfera e un movimento di pensiero che si oppone al mondo così come lo abbiamo finora conosciuto. È una mentalità che si distacca spontaneamente dalla metafisica, dall’aristotelismo, dalla tradizione agostiniana e da Roma, considerata come la sede della Chiesa, e da molte altre cose.

Il pensare postmoderno è lontano dal precedente mondo cristiano platonico in cui erano dati per scontati la supremazia della verità e dei valori sui sentimenti, dell’intelligenza sulla volontà, dello spirito sulla carne, dell’unità sul pluralismo, dell’ascetismo sulla vitalità, dell’eternità sulla temporalità. Nel nostro mondo di oggi vi è infatti una istintiva preferenza per i sentimenti sulla volontà, per le impressioni sull’intelligenza, per una logica arbitraria e la ricerca del piacere su una moralità ascetica e coercitiva. Questo è un mondo in cui sono prioritari la sensibilità, l’emozione e l’attimo presente. L’esistenza umana diventa quindi un luogo in cui vi è libertà senza freni, in cui una persona esercita, o crede di poter esercitare, il suo personale arbitrio e la propria creatività.

Questo tempo è anche di reazione contro una mentalità eccessivamente razionale. La letteratura, l’arte, la musica e le nuove scienze umane (in particolare la psicoanalisi) rivelano come molte persone non credono più di vivere in un mondo guidato da leggi razionali, dove la civiltà occidentale è un modello da imitare nel mondo. Viene invece accettato che tutte le civiltà siano uguali, mentre prima si insisteva sulla cosiddetta tradizione classica. Oggi un po’ tutto viene posto sullo stesso piano, perché non esistono più criteri con cui verificare che cosa sia una civiltà vera e autentica.

Vi è opposizione alla razionalità vista anche come fonte di violenza perché le persone ritengono che la razionalità può essere imposta in quanto vera. Si preferisce ogni forma di dialogo e di scambio per il desiderio di essere sempre aperti agli altri e a ciò che è diverso, si è dubbiosi anche verso se stessi e non ci si fida di chi vuole affermare la propria identità con la forza. Questo è il motivo per cui il cristianesimo non viene accolto facilmente quando si presenta come la ’vera’ religione. Ricordo un giovane che recentemente mi diceva: «Soprattutto, non mi dica che il cristianesimo è verità. Questo mi dà fastidio, mi blocca. È diverso che dire che il cristianesimo è bello...». La bellezza è preferibile alla verità.

In questo clima, la tecnologia non è più considerata uno strumento al servizio dell’umanità, ma un ambiente in cui si danno le nuove regole per interpretare il mondo: non esiste più l’essenza delle cose, ma solo l’utilizzo di esse per un certo fine determinato dalla volontà e dal desiderio di ciascuno.

In questo clima, è conseguente il rifiuto del senso del peccato e della redenzione. Si dice: «Tutti sono uguali, ma ogni persona è unica». Esiste il diritto assoluto di essere unici e di affermare se stessi. Ogni regola morale è obsoleta. Non esiste più il peccato, né il perdono, né la redenzione e tanto meno il «rinnegare se stessi». La vita non può più essere vista come un sacrificio o una sofferenza.

Un’ultima caratteristica della postmodernità è il rifiuto di accettare qualunque cosa che sa di centralismo o di volontà di dirigere le cose dall’alto.

In questo modo di pensare vi è un «complesso anti-romano». Siamo ormai oltre il contesto in cui l’universale, ciò che era scritto, generale e senza tempo, contava di più; in cui ciò che era durevole e immutabile veniva preferito rispetto a ciò che era particolare, locale e datato. Oggi la preferenza è invece per una conoscenza più locale, pluralista, adattabile a circostanze e a tempi diversi.

Non voglio ora esprimere giudizi. Sarebbe necessario molto discernimento per distinguere il vero dal falso, che cosa viene detto con approssimazione da ciò che viene detto con precisione, che cosa è semplicemente una tendenza o una moda da ciò che è una dichiarazione importante e significativa. Ciò che mi preme sottolineare è che questa mentalità è ormai dappertutto, soprattutto presso i giovani, e bisogna tenerne conto.

Ma voglio aggiungere una cosa. Forse questa situazione è migliore di quella che esisteva prima. Perché il cristianesimo ha la possibilità di mostrare meglio il suo carattere di sfida, di oggettività, di realismo, di esercizio della vera libertà, di religione legata alla vita del corpo e non solo della mente. In un mondo come quello in cui viviamo oggi, il mistero di un Dio non disponibile e sempre sorprendente acquista maggiore bellezza; la fede compresa come un rischio diventa più attraente. Il cristianesimo appare più bello, più vicino alla gente, più vero. Il mistero della Trinità appare come fonte di significato per la vita e un aiuto per comprendere il mistero dell’esistenza umana.

«ESAMINA TUTTO CON DISCERNIMENTO»

Insegnare la fede in questo mondo rappresenta nondimeno una sfida. Per essere preparati, bisogna fare proprie queste attitudini: Non essere sorpreso dalla diversità. Non avere paura di ciò che è diverso o nuovo, ma consideralo come un dono di Dio. Prova ad essere capace di ascoltare cose molto diverse da quelle che normalmente pensi, ma senza giudicare immediatamente chi parla. Cerca di capire che cosa ti viene detto e gli argomenti fondamentali presentati. I giovani sono molto sensibili ad un atteggiamento di ascolto senza giudizi. Questa attitudine dà loro il coraggio di parlare di ciò che realmente sentono e di iniziare a distinguere che cosa è veramente vero da ciò che lo è soltanto in apparenza. Come dice San Paolo: «Esamina tutto con discernimento; conserva ciò che è vero; astieniti da ogni specie di male» (1 Ts 5:21-22).

Corri dei rischi. La fede è il grande rischio della vita. «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt. 16,25). Tutto deve essere dato via per Cristo e il suo Vangelo.

Sii amico dei poveri. Metti i poveri al centro della tua vita perché essi sono gli amici di Gesù che ha fatto di se stesso uno di loro.

Alimentati con il Vangelo. Come Gesù ci dice nel suo discorso sul pane della vita: «Perché il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv. 6,33).

PREGHIERA, UMILTÀ E SILENZIO

Per aiutare a sviluppare queste attitudini, propongo quattro esercizi:

1. Lectio divina. È una raccomandazione di Giovanni Paolo II: «In particolare è necessario che l’ascolto della Parola diventi un incontro vitale, nell’antica e sempre valida tradizione della lectio divina che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l’esistenza» ( Novo Millennio Ineunte, N. 39). «La Parola di Dio nutre la vita, la preghiera e il viaggio quotidiano, è il principio di unità della comunità in una unità di pensiero, l’ispirazione per il rinnovamento continuo e per la creatività apostolica» ( Ripartendo da Cristo, N. 24).

2. Autocontrollo. Dobbiamo imparare di nuovo che sapere opporsi alle proprie voglie è qualcosa di più gioioso delle concessioni continue che appaiono desiderabili ma che finiscono per generare noia e sazietà.

3. Silenzio. Dobbiamo allontanarci dalla insana schiavitù del rumore e delle chiacchiere senza fine, e trovare ogni giorno almeno mezz’ora di silenzio e mezza giornata ogni settimana per pensare a noi stessi, per riflettere e pregare. Questo potrebbe sembrare difficile, ma quando si riesce a dare un esempio di pace interiore e tranquillità che nasce da tale esercizio, anche i giovani prendono coraggio e trovano in ciò una fonte di vita e di gioia mai provata prima.

4. Umiltà. Non credere che spetti a noi risolvere i grandi problemi dei nostri tempi. Lascia spazio allo Spirito Santo che lavora meglio di noi e più profondamente. Non cercare di soffocare lo Spirito negli altri, è lo Spirito che soffia. Piuttosto, sii pronto a cogliere le sue manifestazioni più sottili. Per questo hai bisogno di silenzio.

* IL TESTO E L’AUTORE

Pubblichiamo a lato un articolo del cardinale Carlo Maria Martini, già ospitato nel maggio scorso su America, settimanale fondato e diretto dai gesuiti degli Stati Uniti. Il testo è stato adattato da un discorso fatto dal presule al quarantaquattresimo Capitolo generale dell’Istituto dei Fratelli delle Scuole Cristiane a Roma il 3 maggio 2007. Arcivescovo emerito di Milano, Martini è nato a Torino il 15 febbraio 1927.

Entrato nella Compagnia di Gesù a soli 17 anni, è stato ordinato sacerdote il 13 luglio 1952. Nel 1958 ha conseguito la laurea in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana . Il 29 dicembre 1979 Papa Giovanni Paolo II lo ha eletto Arcivescovo di Milano, diocesi che ha guidato per oltre vent’anni.

Grande risonanza ha avuto la «Cattedra dei non credenti», iniziativa in favore di persone in ricerca della fede. Dall’11 luglio 2002, il cardinal Martini ha ripreso gli studi biblici, vivendo prevalentemente a Gerusalemme.

* Avvenire, 27/07/2008


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