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EU-ANGELO E COSTITUZIONE . "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-16). «Et nos credidimus Charitati...»!!!!

LA VITTORIA DEL POPULISMO E GLI OPERAI NELLA VIGNA DEL SIGNORE, IL SIGNORE DEL PARTITO-FATTORIA DI "FORZA ITALIA". Una lezione di apologia (laica e religiosa) del "Dio-Mammona" (Benedetto XVI, "Deus caritas est", 2006) di Gianni Baget Bozzo - a cura di Federico la Sala

lunedì 28 luglio 2008 di Maria Paola Falchinelli


Berlusconi, il volto e il vuoto
di GIANNI BAGET BOZZO (La Stampa,26/7/2008).
Dal ‘94 ad oggi le elezioni politiche, e persino quelle regionali e locali, sono state vissute come un referendum pro o contro Berlusconi. Il volto di una persona è diventato il messaggio: un fatto singolare nella democrazia, che ha indotto a spiegare Berlusconi come il frutto di un potere personale, delle sue proprietà televisive, del suo carattere di comunicatore e (...)

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> LA VITTORIA DEL POPULISMO E GLI OPERAI NELLA VIGNA DEL SIGNORE, IL SIGNORE DEL PARTITO-FATTORIA DI "FORZA ITALIA". ---- Il corpo mitico di re Silvio. Una maschera istrionica, pura esteriorità come privata dell’anima (di Filippo Ceccarelli).

venerdì 20 febbraio 2009


-  Un libro ricostruisce come Berlusconi ha creato la propria icona

-  Il corpo mitico di re Silvio

-  L’ossessione per la sua immagine

-   Una maschera istrionica, pura esteriorità come privata dell’anima
-  In quei ritratti, dagli antichi ai più recenti, si coglie l’essenza della sua personalità
-  "Ci ho messo la faccia e ho vinto" potrebbe essere la sua insegna
-  In quella fisicità così esibita si nasconde l’arcano del potere e del comando

di Filippo Ceccarelli (la Repubblica, 19.02.2009)

«Ci ho messo la faccia e ho vinto» ha detto l’altro giorno il presidente Berlusconi. Ecco, di solito le fatiche degli autori, come quelle dei giornalisti, non fanno notizia, ma rispetto al mistero glorioso della faccia del Cavaliere si rende indispensabile un’eccezione, tanto più davanti a un testo debitamente illustrato che dischiude prospettive a loro modo sconvolgenti: Il corpo del capo, appunto, di Marco Belpoliti (Guanda, 157 pagine, 12 euro).

Le fatiche di Belpoliti non riguardano tanto le parole, ma l’immane ricerca di reperti e fotografie per così dire primigenie del Cavaliere, un lavoro di scavo dentro archivi, cassetti, magazzini e mitologie che per qualche tempo ha reso questo poliedrico intellettuale un appassionato archeologo del berlusconismo visivo, o meglio della sua autorappresentazione ottica, psichica, magica e quindi pure elettorale. Perché in quelle prime, antiche immagini scampate dai rastrellamenti di Miti Simonetto, che acquistava a caro prezzo ogni istantanea che potesse danneggiare il Signore di Arcore, è custodito l’antefatto e forse anche il segreto della più straordinaria storia di potere degli ultimi settant’anni.

Intuizione fulminante. E davvero già allora, anzi meglio di oggi si coglie in quei ritratti � espressioni, acconciature, pose, vestiti, particolari, sfondi - «una esagerata volontà» di essere presente nell’album di famiglia degli italiani. Si coglie in quel giovanotto un istinto, «a tratti perfino diabolico», di pensarsi in rapporto al pubblico. Una totale determinazione, «una forza di megalomania altamente efficace» che fin dagli anni Settanta porta quel rampante costruttore milanese a riflettersi negli sguardi altrui come in uno specchio, attivando dispositivi a un livello assai profondo, suscitando comportamenti che solo lui, poi, è in grado di sfruttare.

Non si ha un’idea delle leggende iconografiche che accompagnano il primo Berlusconi: apocrifi, falsi, foto ritoccate, attribuzioni incerte, a torso nudo come l’ha fatto vedere Mamma Rosa in tv, oppure modello della pubblicità (liquori, gelati): forse è lui, forse no, forse è un fotomontaggio, magari da lui stesso messo in circolo per qualche ermetica, ma funzionale strategia mediatica. Comunque Belpoliti è risalito alle fonti, ai fotografi, quelli che per primi hanno "visto" e sentito l’incantesimo di un consenso che è anche fisico, quella maschera di simpatia istrionica e di pura esteriorità come privata dell’anima, come un fantasma che già abita dentro ciascuno e grazie a quella disumana alterità si attiva.

Viene da chiedersi se mai Berlusconi leggerà questo libro, e se rivedrà queste immagini che documentano la mostruosa vocazione di un imprenditore che prima di tutti ha compreso che il potere degli spettacoli inesorabilmente si commuta nello spettacolo del potere. Giuseppe Pino, un grande delle foto di musica, lo riprende mentre fa il gesto di Fonzy. Mauro Vallinotto lo immortala sul primo predellino della sua carriera e poi fondatore di utopiche città del sole.

Alberto Roveri, che a distanza di trent’anni ricorda con ammirazione l’entusiastica disponibilità del soggetto davanti all’obiettivo, gli ha acchiappato al volo una fantastica aria tra il furbo e lo strafottente, qualcosa che in ultima analisi confessa l’essenza del potere: «Vi ho fregato, perciò fidatevi di me».

Il primo fotografo ufficiale del Cavaliere è Evaristo Fusar. A lui si devono dei significativi ritratti nei quali Berlusconi, quasi per scherzo, entra nel ruolo del gangster fascinoso, con Borsalino in testa e sigaretta accesa tra le dita, alla Alain Delon. Giustamente Belpoliti suggerisce di guardare sempre le mani del Cavaliere: non le vedi, eppure ci sono, stanno là dove meno te le aspetti, immobili in un corpo in movimento, emblemi arrivati chissà da quale realtà, le dita come ganci sulle spalle della prima moglie, regina vaporosa. Nell’elegante, irreale bianco e nero di Fusar la star sta per farsi re e poi idolo. Ha poco più di quarant’anni, ma già ritocca a matita e con l’aerografo i suoi ritratti, nasconde calvizie, alleggerisce il naso. E presto cambierà anche fotografo.

Nel libro ci sono tesori d’interpretazione "alta" e complessa, a partire da Jung a Debord, poi i grandi della sociologia europea e americana, naturalmente Kantorowicz, e Simmel, Baudrillard, Meyrowitz, Goffman, Morin, Bauman, quindi Calvino, Pasolini. Ma gli spunti sono parecchi, da Susan Sontag a un romanzo di Franco Cordelli, studi sul sorriso, i capelli, il travestitismo, le mummie, la civetteria, certe immagini di Philip Dick, fino a Andy Warhol che utilmente, secondo l’autore, si sarebbe esercitato sul Cavaliere e i suoi colori (rosa e azzurro) e che per un soffio non l’ha conosciuto, a Milano, durante l’esposizione sull’Ultima cena.

Perché forse solo a partire dal corpo, così come avviene con un altro grande capo italiano, Mussolini, ci si avvicina al nucleo più misterioso, al grumo indicibile del comando, qualcosa che ha a che fare con l’ambiguità della vita, con il transito nel tempo e nei cervelli, un’«accelerazione nel nulla», un «arcano spiazzamento», un’«alterità segreta», androgina, una doppia natura maschile e femminile di cui il corpo-icona è la più abbagliante testimonianza.

E allora certo le veline, le battute galliste, ma la bandana sembra il fazzoletto di una contadina e intreccia passi di danza come una pin-up, il Cavaliere, nell’istantanea di un altro importante fotografo, Giorgio Lotti, cui è in pratica appaltato il corredo iconico del "fotoromanzo" elettorale Una storia italiana, favola per adulti, capolavoro di intimità costruita, rivelata, poi coscientemente tradita in nome della sua missione ormai incarnatasi alla guida dell’Italia.

Così, quando i ritocchi fotografici non bastano più, c’è la dieta, la ginnastica, la corsa rituale con i seguaci alle Bermuda; e poi c’è il primo, poi il secondo trapianto di capelli e i lifting (molti, in realtà, a partire dagli anni ottanta) che gli danno l’immobilità plastificata del pupazzo: ma vivente, altroché! Sullo sfondo si profila - ed è ormai cronaca - la più evidente lotta berlusconiana per l’immortalità, un presente indifferenziato e senza tempo. Esito come s’immagina del tutto illusorio, al di là di ogni umano pronostico. Ma intanto Berlusconi la faccia ce la mette, e continua a vincere. E allora tanto vale appassionarsi alla questione del suo corpo, se non altro perché ne va del destino di tutti.


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