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"Meditate che questo è stato" (Primo Levi)

SHOAH - STERMINIO DEL POPOLO EBRAICO. 27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA - LEGGE 20 luglio 2000, n. 211, DELLA REPUBBLICA ITALIANA - a cura del prof. Federico La Sala

domenica 10 dicembre 2006 di Emiliano Morrone
Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
In data 20 luglio 2000 è stata promulgata dal Presidente della Repubblica, dopo l’approvazione della Camera dei Deputati e del Senato, la seguente legge:
Art. 1.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (...)

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> SHOAH - STERMINIO DEL POPOLO EBRAICO. 27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA - --- Le voci dalla memoria (Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana). Le iniziative per il 27 gennaio.... La nuova didattica voluta dalla Regione Toscana. Oltre 250 i progetti.

domenica 18 gennaio 2009


-  Le voci dalla memoria

-  Le iniziative per il 27 gennaio,
-  Giornata del Ricordo della Shoah

di Gian Guido Vecchi (Corriere della Sera 18.01.2009)

Furono novemila gli ebrei italiani deportati nei campi di concentramento, quasi tutti ad Auschwitz-Birkenau. Per 15 anni lo storico Marcello Pezzetti è andato alla ricerca degli ultimi sopravvissuti e li ha convinti a ridestare nella loro mente le immagini di un viaggio agghiacciante: 105 testimonianze in presa diretta, delle quali ha lasciato intatto il sapore dialettale della gente comune e perfino alcuni accenti ironici paradossali. Ne è venuto fuori un libro, edito da Einaudi, unico nel suo genere che rende ancor più sconvolgente la realtà dell’Olocausto. Eccone alcuni stralci.

Marcello Pezzetti s’accende una sigaretta e mostra la scatola dei cerini, «non uso accendini né altro, porto sempre con me questi, e sa perché? Per Martino Godelli. Lui lavorava alla Rampa di Auschwitz-Birkenau, dove si fermavano i vagoni e avveniva la selezione verso il gas e i crematori: la Shoah è là». Sfoglia rapidamente le pagine, «ecco cosa dice Godelli: "Sapevo quando era un trasporto italiano, perché vedevo i cerini per terra. I cerini ce li hanno solo gli italiani, non esistono in nessun’altra parte del mondo. Allora mi allontanavo...”».

Bisogna vederlo, Marcello Pezzetti, mentre alza lo sguardo dal libro cui ha dedicato quindici anni e centocinque interviste, «Il libro della Shoah italiana», le lacrime agli occhi. È forse il massimo esperto al mondo di Auschwitz, storico del centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano (Cdec), tra l’altro insegna al Master di Roma Tre e allo Yad Vashem, è stato consulente di Spielberg e Benigni, è direttore del museo della Shoah che si sta costituendo a Roma, è autore con Liliana Picciotto del film «Memoria», nel ’99 ha scoperto la prima camera a gas nazista dove sorgeva una villetta di contadini polacchi. Sa tutto. Ma ora dice: «Non lo immaginavo neanche. Per me non è stato facile. Anche adesso è insopportabile. Racconto Auschwitz attraverso i loro occhi. Ed è peggio di quanto si possa credere. Molto peggio».

Nessun libro di storia, in nessun Paese, ha mai raccontato la Shoah così. E nessun romanzo. Lo stesso Primo Levi stava ad Auschwitz III e non vide mai Birkenau, il cuore della Shoah: Birkenau, «il bosco delle betulle», il campo di sterminio dove morirono un milione e 300 mila persone, di cui 1 milione e 100 mila ebrei. Il primo convoglio dall’Italia vi giunse il 23 ottobre ’43 da Roma, dopo la retata del 16 ottobre: su 1.020, tornarono 16 uomini e una donna. Dei 45 mila ebrei italiani ne vennero deportati un quinto, circa novemila, quasi tutti qui. E ora questo libro raccoglie le voci degli ultimi centocinque sopravvissuti, rintracciati per quindici anni in giro per il mondo, sessanta donne e quarantacinque uomini intervistati e filmati. Nel frattempo molti sono morti. Gran parte di loro non aveva mai raccontato. «Questo è un pezzo d’Italia. La gente non se ne rende ancora conto. Per questo non ho messo filtri: i romani parlano in romanesco, i triestini in triestino... Per la prima volta ci sono anche gli ebrei italiani di Rodi».

Una narrazione collettiva che si fa epos. Le testimonianze sono state scomposte e raccolte per argomenti: il mondo «prima», la vita quotidiana, il rapporto col fascismo uguale a quello degli altri italiani, e poi le leggi razziali, l’occupazione, Fossoli e la deportazione, Auschwitz e gli altri campi di sterminio, il ritorno, il dolore muto e i sensi di colpa. «Non c’è il lieto fine. Non c’è».

Ogni capitolo ha una brevissima scheda storica, poche righe. Poi la parola passa alle vittime. Voci che non offrono risposte facili. C’è la Chiesa indifferente e la Chiesa che aiuta. Gli italiani che salvano e i delatori, con nomi e cognomi. La «spontanea umanità di un popolo d’antica civiltà», come scriveva Hannah Arendt, e le miserie del nostro Paese.

Soprattutto c’è il racconto polifonico dall’interno di Birkenau. Cose mai lette: come le parole di Mengele sulla Rampa, l’inganno osceno del «campo di riposo» per i «vecchi» («dai 40, 45 anni»), quelli con l’aria malata, le donne con i bambini o incinte, «o anche così, senza nessun motivo »: tutti nelle camere a gas. E poi i Krematorium, gli «esperimenti» medici, il Kinderblock dei bimbi, l’orrore quotidiano del campo. «Questo te la fa vivere, la storia. Tu la vivi, la storia. È pazzesco ma è così». È un libro che toglie il sonno e dal quale non ci si può staccare. Un libro che va letto. Anche se si piange. Anche se talvolta, incredibilmente, si ride fra le lacrime per lo spirito dei sopravvissuti. In questa pagina riportiamo alcune voci, una goccia del mare.

Ma tra i tanti c’è una persona di cui parlare: il più piccolo ebreo deportato dall’Italia, figlio di Marcella Perugia, che nacque al Collegio militare di Roma il 17 ottobre 1943, all’indomani del rastrellamento del ghetto e il giorno prima della partenza. Forse non arrivò neppure a Birkenau. Forse entrò nella camera a gas con la mamma. È rimasto senza nome. Il libro è dedicato a lui.

LE ORIGINI

«Siamo romani, di generazione in generazione. Io sono nato a Panico, cioè a dire a Vicolo delle Vacche. Era niente di meno che la casa appresso dove abitava papa Pio XII. Io, la generazione mia, abbiamo una discendenza di duemila anni... sono duemila anni che sono ebreo, e romano!» (Leone Di Veroli)

«Mio padre era medico e mio nonno era un giurista che proviene da Parenzo. Io frequentavo solamente ebrei di un ceto borghese, ma piuttosto alto». (Ottaviano Danelon)

(A Rodi) «Eravamo sei sorelle e un fratello. Parlavamo lo spagnolo, perché noi deriviamo dall’Inquisizione della Spagna». (Rosa Levi)

«Credevo soltanto in Dio fortemente, ma istruzione nun c’ho avuta. Se ci voleva cinque, dieci lire al giorno per mangiare, come potevo studiare l’istruzione? Mio padre era religioso, che il sabato nun lavorava pure, perché è peccato lavorare il sabato. Lavoravo io». (Raimondo Di Neris)

(A Biella) «Pensa, non avevi i regali di natale, a natale!» (Luciana Nissim)

(A Trieste) «Andavamo in tempio, ma no jerimo tanto inteligenti quela volta. L’ebraico no me ’ndava in testa: ciapà tante bachetàde, mama mia! Non me ’ndava e non me ’ndava, che Dio me pardoni! (Rachele Mustacchi)

«Premetto: nella via dove ero io ci adoravano; a scuola, invece, dicevano che noi avevamo ammazzato Gesù Cristo». (Romeo Salmoni)

I RAPPORTI COL FASCISMO E LE LEGGI RAZZIALI

«Ero in un collegio nazionale a Tivoli. Fui avanguardista, avevo anche i gradi, smontavamo e montavamo il fucile, la mitragliera, facevamo i campi Dux e che altro... ero un fanatico del passo romano, di quella camicia nera! Nacqui e vissi in regime». (Eugenio Sermoneta) «Io fui tolto dalla scuola Metastasio di Roma. E così è stato e così fu, come diceva il faraone. Tanta amarezza, perché nun esiste che l’altri andavano a scuola e io no». (Giacomo Moscato)

«Mi ricordo il discorso di Trieste di Mussolini, ero sotto il palco, dove c’è guardia del corpo, tutti neri, e subito davanti era la milizia universitaria. In quel momento uno dietro dice: «Butì fora Levi!» E questo qui chi era? Un carissimo amico! Quando ho inteso, ho detto: «Basta, qui siamo finiti!». (Italo Dino Levi)

I CATTOLICI

«C’avevo du’ sorelle. Dopo il 16 ottobre le hanno portate al convento di San Pancrazio, a Monteverde. Le hanno vestite da monaca e si son salvate». (Raimondo Di Neris) «Aspettavamo che succedesse qualche cosa, perché eravamo sotto il naso del Vaticano e il gruppo era composto di donne e bambini, perché i omini, chi s’era dato ai partigiani, chi s’era nascosto. Essendo tutte donne e bambini, aspettavamo la voce del Vaticano». (Settimia Spizzichino)

IL VIAGGIO

«Entrati nel vagone, abbiamo dato il posto vicino alle pareti alla gente anziana, perché potessero sedersi appoggiando la schiena; noi invece, i più giovani, ci siamo messi in mezzo. Di notte, ricordo che volevo andare da mia madre e non ci sono mai riuscita, perché per terra eran tutto corpi che cominciavano a gridare». (Elena Kugler)

«L’aria era irrespirabile, perché queste persone vecchie, fra cui una signora amputata, non riuscivano ad arrivare fino al buco per defecare, quindi c’erano escrementi dappertutto. Le feci... bisognava raccoglierle e portarle con un pezzo di legno in questo buco, ma rimaneva impregnato e quindi era una cosa paurosa». (Alessandro Kroo)

«Non direi che ci fosse la possibilità di scappare. Loro avevan detto: "Se qualcuno scappa, passeremo per le armi tutto il vagone!" Quindi c’era un controllo reciproco». (Luciana Nissim)

L’ARRIVO

«Siamo arivati ’a matina presso a Birkenau. Se vedevano migliaia in fila che andaveno, cantaveno canzoni che io nun capivo, andavano a lavorà ne le fabbriche. Poi se sentivano le urla dei cani e quando si sono aperti i vagoni... qualcuno cascava per tera, donne anziane, vecchi. Spartivano i bambini da le madri, il fratello dai fratelli, venivan divisi tutti. e noi ci presenro a bastonate e bisognava seguire il gruppo fino a l’entrata del campo». (Mario Spizzichino)


I giovani

La nuova didattica voluta dalla Regione. Oltre 250 i progetti. E un volume ricostruisce la mappa dei deportati

In Toscana l’antirazzismo è ora materia scolastica

di Marco Gasperetti (Corriere della Sera, 18.01.2009)

Materia nuova. Vecchio nemico da combattere. Con un pensiero forte: studiare il razzismo, come la matematica, l’italiano e la storia. Nelle scuole toscane la «nuova didattica» partirà quest’anno grazie a un progetto della Regione Toscana presentato in estate al meeting antirazzista di San Rossore nel triste anniversario delle leggi razziali promulgate a Pisa settanta anni fa. Non solo teoria e chiacchiere, ma prassi e soldi (5 milioni di euro), un piano pragmatico, insomma, per un’offerta formativa che può coprire il 20% dell’orario scolastico. Psicopedagogia dell’antirazzismo. «Con l’obiettivo di far crescere insieme conoscenze ed esperienze culturali diverse - spiega il presidente della Regione, Claudio Martini - e cancellare per sempre odiosi luoghi comuni ». Analisi del Dna alla mano, oggi gli scienziati sono uniti nell’affermare che la razza umana è unica, senza differenze. «È grazie anche a loro che nelle nostre scuole si insegnerà la non differenza razziale e si smentirà chi afferma il contrario - spiega Martini -. E poi si parlerà di dialogo e convivenza comune e della società multietnica. Che non è qualcosa di ineluttabile da subire, ma una grande risorsa. Anche per il nostro paese».

L’insegnamento nelle scuole non è un’iniziativa isolata. Su razzismo, xenofobia e intolleranza, la Toscana lavora da anni e quest’anno sono più di 250 le iniziative culturali ed educative in cantiere. Con uno sguardo al passato e alla memoria. E a quella strada ferrata che da Firenze porta ad Auschwitz. Da sei anni il «treno della memoria » accompagna ogni anno centinaia di studenti nel campo di sterminio nazista. E da sei anni i ragazzi raccontano di aver imparato da quel viaggio più di mille lezioni. Ha scritto Francesca, 16 anni: «In quel campo, tra le baracche e il filo spinato, la mia anima di adolescente è stata trafitta. Per sempre. Mai più, vi prego, mai più».

Si riparte il 25 gennaio. Stazione di Santa Maria Novella: 500 studenti, 100 insegnanti. Visite ai campi di Auschwitz-Birkenau, concerti nella sinagoga Tempel di Cracovia, incontri con i deportati. E poi l’evento più emozionante davanti al Memoriale, dove ogni studente pronuncerà il nome di una vittima del campo. «Non è solo un rito o una celebrazione - dice l’assessore all’Istruzione, Gianfranco Simoncini -. Il treno è una staffetta della memoria. Oggi ci sono questi ragazzi, domani ce ne saranno altri, tutti saranno uniti dallo stesso ricordo, dalle emozioni intense». Educazione del fare e del partecipare.

C’è anche una terza via alla lotta al razzismo: quella storica. Enzo Collotti, professore emerito di storia contemporanea all’Università di Firenze, tra i massimi esperti internazionali di nazismo, fascismo e Resistenza, ha realizzato con la Regione un lavoro sulla persecuzione e la deportazione degli ebrei dalla Toscana. Callotti è entrato negli archivi di Stato e ha pubblicato un’opera che non ha eguali. I suoi libri sono lì, pronti a essere consultati, oggi e per sempre. Un monumento all’antirazzismo, un inno alla tolleranza.


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