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"Meditate che questo è stato" (Primo Levi)

SHOAH - STERMINIO DEL POPOLO EBRAICO. 27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA - LEGGE 20 luglio 2000, n. 211, DELLA REPUBBLICA ITALIANA - a cura del prof. Federico La Sala

domenica 10 dicembre 2006 di Emiliano Morrone
Istituzione del "Giorno della Memoria" in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti.
In data 20 luglio 2000 è stata promulgata dal Presidente della Repubblica, dopo l’approvazione della Camera dei Deputati e del Senato, la seguente legge:
Art. 1.
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (...)

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> 27 GENNAIO: GIORNO DELLA MEMORIA - LEGGE 20 luglio 2000, n. 211 --- Un «appello morale». Il decreto fiscale spazza via il sostegno dello Stato per perseguitati politici e razziali, oltre che per i pensionati di guerra.

lunedì 29 ottobre 2018

Via le pensioni agli ebrei vittime delle leggi razziali e ai perseguitati dal fascismo per motivi politici

di Andrea Carugati (La Stampa, 29.10.2018)

Il decreto fiscale spazza via il sostegno dello Stato per perseguitati politici e razziali, oltre che per i pensionati di guerra. Un taglio da 50 milioni al Fondo istituito al ministero dell’Economia, con effetto immediato.

E così, a ottant’anni esatti dalle leggi razziali, la maggioranza giallo-verde taglia gli assegni previsti fin dal 1955 per chi aveva subito la persecuzione fascista perché di religione ebraica o per le idee politiche. Assegni di modesta entità, circa 500 euro al mese, destinati a persone nate prima del 1945, dunque sopra i 70 anni. Si tratta di alcune migliaia di cittadini, che rischiano di non vedere già gli assegni di novembre e dicembre. Persone che hanno avuto diritto a questo vitalizio come «gesto riparatore» per aver perso il lavoro o il diritto di andare a scuola dopo il 1938, o perché costretti a fuggire all’estero.

La decisione è contenuta in un allegato al decreto fiscale, insieme ad altri tagli che riguardano il sostegno alle famiglie e alle imprese. Una sforbiciata che rientra nella spending review che il governo ha attuato per fare cassa e trovare le coperture per la manovra. Ma che colpisce per il suo valore simbolico. Anche perché - questo il fondato timore dell’Unione delle comunità ebraiche italiane - non si tratterebbe di una riduzione dell’assegno, ma di una vera e propria cancellazione. La legge varata nel 1955 porta il nome del senatore comunista Umberto Terracini, e per circa trent’anni ha riguardato prevalentemente i perseguitati politici. Poi, dal 1986, grazie a un intervento della Corte costituzionale, nella commissione governativa che eroga gli assegni è stato inserito anche un rappresentante delle Comunità ebraiche. Da allora l’accesso a questo istituto si è diffuso anche tra gli ebrei italiani, sia quelli che hanno vissuto gli anni delle persecuzioni sia -in via indiretta- i coniugi e gli orfani con un reddito annuo sotto i 17 mila euro.

Una procedura non semplice. Gli aventi diritto devono fare domanda alla commissione e documentare gli atti persecutori che li hanno colpiti, come ad esempio le lettere delle scuole che li hanno esclusi dopo il 1938. Documenti vecchi di decenni e difficili da reperire.

Tra gli ebrei italiani la notizia ha suscitato un forte sconcerto. La presidente dell’Ucei Noemi Di Segni ha scritto al premier Giuseppe Conte, al ministro dell’Economia Giovanni Tria e al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, che ha la delega per i rapporti con le confessioni religiose e per le attività dedicate alla memoria. Di Segni ha anche chiesto di poter essere sentita dalla commissione Finanze del Senato che da oggi esaminerà il decreto fiscale.

L’obiettivo di questo «appello morale» è arrivare a un ripensamento da parte della maggioranza, almeno in fase di esame parlamentare del decreto. C’è tempo infatti fino a Natale prima della definitiva conversione in legge. E per evitare che partano le raccomandate in cui lo Stato informa i perseguitati che, dal 2018, non si sente più in dovere di riparare l’immenso danno che hanno subito. Neppure con un piccolo assegno.


Vergogna firmata a San Rossore

Le leggi razziali fasciste sono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi applicati a partire dal 1938, con l’obiettivo di colpire soprattutto la minoranza ebraica residente in Italia. Benito Mussolini le annunciò il 18 settembre di quell’anno durante un comizio a Trieste; il 5 settembre, il re Vittorio Emanuele III aveva firmato la prima legge in difesa della razza nella tenuta regia di San Rossore, a Pisa.

Con queste norme la popolazione ebraica fu gradualmente estromessa dai diritti sociali e civili: insegnanti, impiegati e dirigenti della pubblica amministrazione furono licenziati; gli studenti vennero esclusi dalle scuole e si stabilì il divieto, per tutti gli ebrei, di sposare persone “di razza italiana”. Le leggi impedivano anche agli imprenditori discriminati di possedere aziende con più di 100 dipendenti, oltre che di avere la proprietà di terreni e fabbricati che superavano certe dimensioni. Le leggi razziali, precedute, come contesto culturale, dal Manifesto della Razza, restarono in vigore fino al 1944.

* Il Fatto, 29.10.2018


Gli studenti di Pisa ricostruiscono le vite dei prof ebrei nel ’38

La Sant’Anna e la Normale si sono messe alla ricerca della memoria perduta: i venti docenti cacciati da Mussolini per la difesa della “razza ariana” nei lavori degli allievi di oggi

di Giorgio Meletti (Il Fatto, 29.10.2018)

Giulio Racah è un genio della fisica. Nel 1937, a 28 anni, va in cattedra all’Università di Pisa. Scrive al rettore Giovanni D’Achiardi: “Di famiglia toscana, e attaccato alle glorie della tradizione toscana, mi sento particolarmente fiero della nomina”. Pochi mesi dopo D’Achiardi lo sospende dall’insegnamento “ai sensi” del Regio Decreto 5 settembre 1938, n. 1390 “sulla difesa della razza”. Racah si crede fiorentino ma il fascismo lo classifica ebreo. Se ne va alla Hebrew University di Gerusalemme con quattro lettere di raccomandazione firmate da (in ordine alfabetico): Niels Bohr, Albert Einstein, Enrico Fermi e Wolfgang Pauli.
-  Il ministro dell’Istruzione Giuseppe Bottai festeggia la bonifica degli atenei: “Da questa improvvisa amputazione né la scienza, né l’insegnamento soffriranno; rapidamente i vuoti saranno colmati, forze tenute lontane fino ad oggi avanzeranno finalmente sulla strada sgomberata”.

Prima gli ariani? Sì, ma dura poco. Dopo la guerra il nuovo rettore Augusto Mancini chiede a Racah di tornare. Riceve un fermo no: “Il mio posto di lavoro è oggi qui, per cooperare alla ricostruzione del Paese che mi accoglieva a braccia aperte nel 1939”.

La memoria è spietata e necessaria. La storia di Racah è stata ricostruita da Simona Grazioli, studentessa di biotecnologie alla Scuola Superiore Sant’Anna. Michele Emdin, docente di cardiologia, ha proposto agli studenti della Sant’Anna e della Normale di studiare la storia dei venti professori ebrei che nel 1938 furono cacciati da Pisa: “I protagonisti ormai vengono a mancare e dobbiamo trasferire il testimone del ricordo ai giovani, in particolare agli allievi delle due scuole di eccellenza”. Sotto la guida degli storici professionisti Michele Battini, Barbara Henry e Ilaria Pavan, gli studenti si sono sottoposti a una terapia maieutica, scoprendo il senso spaventoso del razzismo dalle proprie indagini anziché da un professore. E riproponendo - in una intensa giornata di studio voluta dalle tre Università pisane - il variopinto mosaico di una storia vergognosa.

Purtroppo è tornato di attualità il bisogno di rimarcare che gli ebrei, come gli immigrati, non sono alieni. Michele Pajero, studente di scienze politiche, ricorda che Piero Sraffa (l’amico di Antonio Gramsci a cui si deve il salvataggio dei Quaderni del carcere), già nel 1932 cominciava a sentire una brutta aria: “Oggi, o si è ebrei, o non lo si è - non c’è via di mezzo”. Primo Levi ha consolidato il concetto: “Se non ci fossero state le leggi razziali e il lager, io probabilmente non sarei più ebreo, salvo che per il cognome. Invece questa doppia esperienza, le leggi razziali e il lager, mi hanno stampato come si stampa una lamiera”.

Naftoli Emdin, nonno di Michele, allontanato nel 1938 dal suo insegnamento di medicina legale, se l’è studiato Vincenzo Castiglione. Originario di Gomel (nell’attuale Bielorussia), si forma a San Pietroburgo, si ammala di tubercolosi, cerca di spostarsi a Mosca ma gli viene vietato perché è ebreo, finisce al sanatorio di Nervi e poi a Pisa dove si laurea in medicina, si sposa con una ragazza toscana e insegna all’Università. Il 5 settembre 1938 Vittorio Emanuele III firma la prima delle leggi razziali nella tenuta di San Rossore, appena fuori Pisa. Emdin deve spiegarle a Ruben di 15 anni e Rafael di 13, due ragazzi pisani e però ebrei. Scrive ai figli una lettera sulla paura, sulla dignità e sulla loro patria, l’Italia:

      • “Non vorrei che questo smarrimento e questa angoscia lasciasse in voi quel senso d’inferiorità ch’è così molesto, doloroso e dannoso e che potrebbe pregiudicare la regolarità e la dirittura del vostro cammino su quella via della vita che per noi è sempre stata difficile e che ora minaccia ad essere ancora più difficile in Italia per la vostra generazione (...) Dignità ci vuole e non il rancore, forza e non l’odio (sono i deboli quelli che si fanno comandare dal solo odio) (...) Camminate sulla vostra strada (...) amando chi vi ama, commiserando chi sputa su di voi la sua bava velenosa, ripagando con riconoscenza ed affetto la Terra che vi ha dato i natali e gli uomini che vivono accanto a voi, anche se oggi li dicono di razza differente”.
        -  Emdin cerca di rifugiarsi in America ma non ci riesce e vivrà gli anni della guerra praticamente alla macchia. Ma quasi gli è andata bene, e invecchierà a Pisa.

Le leggi razziali non sono state solo una questione di cattedre universitarie tolte alla razza inferiore e date a professori ariani che non le restituiranno neppure dopo la caduta del fascismo. La squadra del cardiologo Emdin (tra loro anche Silvia Barbiero, Chiara Borrelli, Lorenzo Mangone e Giorgio Motisi, con Davide Guadagni dell’Università di Pisa in regia) ha fatto i conti con la storia di Bruno Paggi, grande chirurgo originario di Scansano (Grosseto), che lascia a Pisa moglie e sette figli e vive per dieci anni in Venezuela commerciando carburanti.

Lo studente Alberto Aimo ha ricostruito la tragica parabola di Ciro Ravenna. Le leggi razziali lo abbattono alla vigilia del cinquantesimo compleanno. Originario di Ferrara, come molti ebrei è anche un buon fascista. Ha partecipato da volontario alla Grande Guerra. Dal 1924 è professore ordinario e direttore della prestigiosa Scuola agraria pisana, dal 1932 è iscritto al Partito nazionale fascista. È anche abbonato sostenitore del giornale pisano Idea fascista. Chiede di limitargli le restrizioni delle leggi razziali per i suoi meriti di guerra e di buon fascista oltre che per le indubbie benemerenze scientifiche. Ma la contabilità fascista gli mette in conto l’essere celibe e senza prole. Torna a Ferrara dove campa con lezioni private e insegnando nelle scuole ebraiche. Il 15 novembre 1943 viene arrestato dalla polizia di Salò.

All’inaugurazione dell’anno accademico 1945-46 il rettore Mancini dedica a Racah, Kristeller, Ravenna e gli altri il pensiero imbarazzato di un corpo docente pavido, compattamente pavido sulla scia del suo guru accademico, Gentile: “Un ricordo particolare, poiché di essi, quasi vitandi, non era lecito parlare, è dovuto a quei colleghi che furono allontanati dall’insegnamento per motivi razziali”. Furono materialmente allontanati dai colleghi. Comunque Mancini cerca notizie di Ravenna e in pochi mesi le ottiene. Il sindaco di Ferrara gli scrive che “il Prof. Ciro Ravenna e familiari sono stati deportati in Germania e del Professore non si hanno avuto più notizie”. Pisa ha dedicato a Ciro Ravenna una stradina periferica. Sotto il suo nome, su un targa arrugginita, c’è scritto “agronomo”. Sulla memoria c’è molto da fare. Siamo solo all’inizio.


Gentile: il pavido tentativo di salvare Paul Kristeller

Alle preoccupazioni del 28enne tedesco già fuggito dal nazismo il professore replicava: “Vi esorto a non pensarci troppo”. Ma gli dispiaceva

di G. Me. (Il Fatto, 29.10.2018)

“Carissimo, ho parlato giorni addietro a Gabetti di un valentissimo giovane, il Dott. Cristaller [sic] che accetterebbe volentieri un lettorato tedesco in Italia. (...) È ebreo, ma appoggiatissimo da Heidegger, di cui è allievo”. È il 2 ottobre 1933, mancano cinque anni alle leggi razziali ma - con buona pace del partito “non volevano ma Hitler...” - essere ebreo in Italia è già un dannato problema.

Paul Oskar Kristeller ha 28 anni e ha lasciato la Germania: uno dei primi atti del nazismo è cacciare gli ebrei dall’Università. È un raffinatissimo studioso di filosofia. È ebreo ma bravo. Cinque anni dopo sarà bravo ma ebreo. Il professor Ernesto Codignola segnala il giovane al suo maestro Giovanni Gentile che se lo prende alla Scuola Normale di Pisa, di cui è direttore. Gentile è un fascista della prima ora, ministro dell’Istruzione e artefice della riforma della scuola. Un grande intellettuale che naviga nella dura realtà politica. Non condivide le teorie razziste ma tace. Aderirà alla repubblica di Salò e nel 1944 sarà ucciso da partigiani comunisti.

Kristeller, secchione patologico, a Pisa sembra felice. “Posso constatare, non senza commozione, che il suo paese mi dà un’ospitalità e un aiuto amichevole che mi ha rifiutato la mia propria patria”, scrive a Gentile, ma forse è solo diplomazia. Un collega della Normale, Luigi Baccolo, lo intuisce: “Tutti vedevamo nascere l’alba di una nova epoca, ma solo Kristeller vedeva il sangue di quell’alba”. Si prepara per Kristeller un nuovo esilio, e Laura Grazioli, studentessa di chimica alla Normale, ricostruisce la sequenza drammatica di paura e vigliaccheria.

Gentile incita Kristeller a ottenere la cittadinanza italiana, va a Roma per intercedere presso il Duce che gli dice no. Il 14 luglio 1938, viene pubblicato il Manifesto della razza. Kristeller è angosciato: “Sono parecchio preoccupato per ciò che leggo adesso sui giornali, Vi sarei grato di sentire il vostro parere in proposito”. Il filosofo dell’attualismo minimizza: “Vi esorto a non pensarci troppo”. Ma al vicedirettore della Normale Gaetano Chiavacci scrive: “Vedi come cresce la marea antisemita? Mi dispiace pel povero Kristeller”.
-  Ad agosto l’editore Sansoni respinge la monografia di Kristeller su Marsilio Ficino perché è arrivato il divieto di pubblicare autori ebrei. Chiavacci pone a Gentile la questione delle teorie razziali: “Dovremo assistervi passivi?”. Gentile risponde con l’attualismo. Il 29 agosto ottiene udienza da Mussolini, gli chiede di chiudere un occhio sul filologo ebreo. Si illude. Scrive trionfante: “Per intanto Kristeller non si tocca. Ho parlato anche con Mussolini”.

Ma arrivano le leggi razziali. L’8 settembre Gentile scrive al Duce: “Eccellenza, nel colloquio che lunedì scorso Vi compiaceste di accordarmi, mi diceste di non toccare a Pisa il Kristeller. Questi invece mi pare ricada sotto il decreto di ieri, che espelle dal Regno tutti gli stranieri di razza ebraica (...). Vi prego vivamente, per mia norma, di farmi sapere se posso o no trattenere, e nel caso positivo in che modo, questo povero diavolo come lettore di lingua tedesca nella Scuola Normale Superiore. Vogliate scusarmi. Vostro Giovanni Gentile”.
-  Gli risponde il sottosegretario all’Interno Guido Buffarini Guidi, pisano: “In relazione alla lettera da Voi diretta al DUCE in data 8 settembre u.s., Vi comunico che, giusta Superiori disposizioni, è stato consentito al Prof. Kristeller, israelita straniero, di risiedere in Italia fino alla scadenza del termine massimo stabilito dal R.D.L. 7.9.1938, n° 1381. Il DUCE, inoltre, ha disposto che al medesimo venga elargita la somma di L. 5000 per metterlo in condizione di sostenere più agevolmente le spese di trasferimento”.
-  Kristeller va in America. Gentile pensa alla Normale e cerca un docente che lo sostituisca. Scrive a Codignola: “Spero bene che non sia né israelita, né antinazista. Mi premerebbe avere un altro Kristeller, ma senza il punto nero che mi diede sempre tanto da fare”.
-  Kristeller se ne va col suo punto nero a insegnare alla Yale e alla Columbia. Morirà a 94 anni lasciandoci una negazione quasi beffarda dell’attualismo gentiliano: “Il passato resta reale anche dopo che è scomparso dalla scena. È compito dello storico tenerlo vivo e dare giustizia anche a sconfitti e dimenticati”.


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