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CRITICA DELL’ ECONOMIA POLITICA E DELLA TEOLOGIA. IL DOLLARO ("IN GOD WE TRUST") E LA CROCE ("DEUS CARITAS EST"): TUTTO A "CARO-PREZZO" ("CARITAS")!!!

EVADERE DALLE IDEE VECCHIE!!! CON MARX E KEYNES, OLTRE. Un’indicazione e "una premessa... di civiltà" - di Federico La Sala

KEYNES. La difficoltà non sta nelle idee nuove, ma nell’evadere dalle idee vecchie, le quali, per coloro che sono stati educati come lo è stata la maggioranza di noi, si ramificano in tutti gli angoli della mente
sabato 20 settembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
UN’ESORTAZIONE *
Questo libro è diretto principalmente ai miei colleghi economisti [...] l’economia ortodossa è in difetto, l’errore va trovato non nella sovrastruttura, che è stata eretta con grande cura di coerenza logica, ma nella poca chiarezza e generalità delle premesse [...] La composizione di questo libro è stata per l’autore una lunga lotta di evasione, e tale dev’esserne la lettura per la maggioranza dei lettori affinché l’assalto dell’autore su di loro abbia successo: una lotta (...)

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> EVADERE DALLE IDEE VECCHIE!!! CON MARX E KEYNES, OLTRE. ---- A lezione dal vecchio Keynes (di Pierfranco Pellizzetti).

domenica 16 gennaio 2011

A lezione dal vecchio Keynes

di Pierfranco Pellizzetti *

La recente riedizione degli scritti di John Maynard Keynes (Sono un liberale?, Adelphi Editore) non è di certo un’operazione-nostalgia; semmai un intervento profilattico delle idee, altamente meritorio. Soprattutto di questi tempi, in cui la fauna che si definisce “liberale” risulta ben diversa dal gentiluomo British che rivoluzionò il panorama intellettuale e politico del proprio tempo, dimostrando che la libertà non è tale se non come costruzione del futuro. Con malcelata insofferenza da parte di chi non era (è) capace di capire (o ammettere) che una libertà rivolta al passato è altra cosa: si chiama conservatorismo.

Questo vale in particolare per il nostro Paese, dove impera una spaventosa confusione terminologica (regolarmente creata ad arte), per cui a parlare di libertà sono per lo più “liberaloidi” o “anarco-liberisti”. Confusione che concorre a immiserire il dibattito pubblico. Infatti, non basta farsi crescere barbette risorgimentali e inforcare occhialini tondi per atteggiarsi a cavouriani, come magari piacerebbe a Piero Ostellino. Forse sarebbe più appropriato ricordare “il libera Chiesa in libero Stato” e la lotta contro il potere temporale del papa di Camillo Benso di Cavour; nella certezza che lo statista piemontese - a differenza del “liberaloide” Ostellino - mai avrebbe apprezzato un Silvio Berlusconi che abbatte l’Ici per il patrimonio ecclesiastico e finanzia la scuola confessionale, mentre manda a ramengo quella pubblica.

Lo stesso vale per gli “anarco-liberisti”, barricati nelle aule bocconiane e nelle stanze di via Solferino (sede milanese del Corriere), oppure emigrati carichi di risentimenti negli States. Perché non basta la prosopopea meneghina o il linguaggio insultante d’Oltreoceano per spalmare una patina di novità sulla battuta del mercante secentesco Legendre: laissez-nous faire.

Infatti Keynes dichiarava “la fine del laissez-faire” già nel 1926. Perché aveva capito in anticipo che la filosofia de “l’avido è bello” era una pericolosa scempiaggine, come recenti crisi finanziarie hanno confermato; senza che i propagandisti di Mani Invisibili, rivelatesi anchilosate, abbassassero la cresta. Perché a questi signori mancano sia la virtù della misura, sia la mentalità ironica/autoironica che scorrono ancora potenti nelle antiche pagine keynesiane. La misura di riconoscere che l’economia non è la padrona della nostra vita; semmai una scienza sui generis, magari limitrofa al genere letterario. L’ironia di mettersi costantemente in gioco, sostenendo che “dobbiamo inventare una saggezza nuova. Nel frattempo, se vogliamo fare qualcosa di buono, dobbiamo apparire eterodossi, problematici, pericolosi e disobbedienti”. Ancora Keynes, annata 1926.

Difficile pensare che questo propugnatore di tesi “problematiche e pericolose” avrebbe sottoscritto l’affermazione “io sto con la Fiat di Marchionne”, si sarebbe schierato contro legalità e giudici. A differenza di tanti liberaloidi e liberisti, magari sedicenti di sinistra.

Reperto antiquario, il nostro Keynes? Certo un “grande inattuale”, in tempi dominati dall’arroganza; che si fa plutocrazia in politica (dal conflitto di interessi come norma della nuova costituzione materiale alla compravendita sistematica di parlamentari), economicismo dappertutto (col privilegio a scapito della stessa democrazia). Al contrario, un esempio prezioso. Se percepiamo nell’aria le prime note di una musica nuova sulle corde della saggezza ritrovata. La saggezza di due idee intrise di libertà alla maniera keynesiana: il vero problema è quello di “escogitare politiche e strumenti per controllare il funzionamento delle forze economiche, così che non interferiscano in maniera intollerabile con l’idea di che cosa sia appropriato e giusto nell’interesse della giustizia sociale”; lo Stato resta ancora l’unico spazio in cui si può esercitare plausibilmente la solidarietà. Alla faccia di Bossi e di altri spregiatori da operetta dialettale dell’unità nazionale. E di chi tiene loro bordone.

* Il Fatto Quotidiano, 15 gennaio 2011


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