Con Agamben nel mare di Pulcinella dove il mondo non affoga
Mettendo in discussione il primato della prassi ricorda che vi è ancora politica al di qua o al di là dell’azione
di Angelo Guglielmi (La Stampa, 04/12/2015)
Nel 1789 La Repubblica marinara di Venezia, dopo secoli di autonomia e di progresso, morì, arrendendosi vilmente ai francesi di Bonaparte Tra i pittori allora operanti nella città vi erano Gianbattista Tiepolo (padre) e Giandomenico (figlio) e entrambi nella triste occasione si impegnarono in due (uno per ciascuno) corposi cicli di dipinti, disegni, incisioni dedicati a Pulcinella. L’uno (il padre) per denigrare e mettere in burla l’ignominia dei veneziani, l’altro (il figlio), che pure era indignato, trattò lo stesso tema (il titolo del suo ciclo è: Pulcinella ovvero divertimento per li regazzi ) con mano più lieve ma non solo per distinguersi dal padre e nemmeno perché d’animo più lieto.
Secondo Giorgio Agamben è perché era più bravo del padre (testimone Roberto Longhi), aveva una testa più fine e non gli era bastevole valorizzare il piglio della beffa. Così il ciclo di Giandomenico oltre l’illustrazione delle tavole è un sostanzioso studio sul personaggio Pulcinella, invero lo studio è di Giorgio Agamben che, inseguendo le tracce lasciate da Giandomenico, evidenzia per noi con dovizia di acume la complessità e particolarità di Pulcinella anche rispetto alle altre maschere della Commedia dell’Arte.
Che cosa ha di particolare Pulcinella? Certo come Arlecchino, Pantalone e gli altri incarnano altrettanti «tipi comici» evidenziati dalla maschera (ciascuno ha la sua) che indossano e con la quale recitano tutte le parti in commedia..
Ma dove sta la specificità di Pulcinella? Sì, anche Pulcinella come le altre maschere vive il personaggio che interpreta ma nel contempo ne prende le distanze e, facendosi discosto, si guarda guardare, e quel che guarda gli è indifferente o meglio lo ha già dimenticato. E’ come se, nota Agamben, «un filosofo gli fosse sempre accanto, muto testimone della sua vita».
Il modo di esprimersi di Pulcinella è «la goffaggine» non la parola, e la «goffaggine» non è una azione, è un gesto del corpo. Ma - sostiene Agamben - Pulcinella «non è, per questo, un impolitico» giacché «mettendo in questione il primato della prassi, ricorda che vi è ancora politica al di qua o al di là dell’azione». «Di qui la sua attualità, ogni volta che la politica attraversa una crisi decisiva - per Giandomenico, la fine dell’indipendenza di Venezia nel 1787, per noi l’eclisse della politica e il regno dell’economia planetaria».
Comunque (non scherziamo) la riflessione (filosofica o no) è estranea a Pulcinella. Pulcinella «non sceglie» e «non vuole», la sua caratteristica più evidente è «l’abulia». E per fortuna! Che disgrazia se avesse dovuto andare dietro agli arzigogoli della filosofia così contraddittori che se uno dice sì un altro (o lo stesso) dice no. Per esempio quando si sono impelagati nella differenza tra apparenza e sostanza hanno corso il rischio di sistemare la sostanza (la necessità) nell’esse (nell’essere) e l’apparenza nell’operare (nel fare). Finendo per giustificare quel che è accaduto a Auschwitz e ieri come oggi il pregiudizio sui diversi (ebrei, zingari, neri) colpevolmente giudicati per quel che sono e non per quel che fanno. Ma Pulcinella non c’entra con tutto questo, anche se lui che è nato a Napoli dice che a Napoli «’o mare nun se vede».
Ma come dargli torto, se il mare (come gli sta dicendo il filosofo che gli sta accanto) «non è altro che un infrangersi di una onda contro l’altra», e «quella che adesso è passata e le altre infinite che seguono...sono quelle che sono e, tuttavia, restano inconcluse, inconcludenti, possibili...». E Pulcinella illuminandosi conclude: «Ammén et requie matrerna! Aggio capito; je song’ o’ mare, song’ o’ mare...». E lo abbiamo capito anche noi.