“Filosofia della violenza” di Lorenzo Magnani *
Prof. Lorenzo Magnani, Lei è autore del libro Filosofia della violenza edito da Mimesis: la violenza può essere trasformata in un oggetto autonomo di riflessione filosofica?
Perché si può affermare che nel linguaggio è insita una natura violenta?
La violenza non è solo quella palese (per esempio quella fisica o sanguinaria), ma è anche nelle cose, nelle strutture e nel “linguaggio”, che spesso, con fallacie, finzioni, inganno, distribuisce violenza, dissimulandola e dicendo “sono solo parole”. Lo squadrismo verbale può essere a sua volta foriero di altre violenze: lo si vede nel mobbing, nel bullismo, ma anche negli esiti sanguinari del linguaggio provocatorio dei politici. Si parla spesso della cultura dell’odio che è veicolata dal linguaggio e talora gli stessi esseri umani che parlano della necessità di evitare il linguaggio dell’odio lo fanno, senza accorgersene, proprio con il linguaggio dell’odio.
Come si distribuisce la violenza attraverso le fallacie?
Come dicevo la violenza non è solo fisica ma è nelle cose, nelle strutture e nel “linguaggio”, che spesso, con fallacie, dissimulazione, inganno, e con quello che in inglese si chiama efficacemente “bulshitting” (così diffuso nei media e presso i politici nonché presso i cosiddetti esperti, ecc.), distribuisce violenze a destra e manca, dissimulandole come cose non violente, solo parole. Lo squadrismo violento verbale è, come dicevo, a sua volta foriero di altre violenze, come si vede nell’esempio banale del passaggio dal mobbing verbale “gossiparo” al suo possibile esito omicida. Le fallacie sono errori di ragionamento, e come tali sono particolarmente esposte ad essere usate in quella che il matematico René Thom chiama intelligenza militare al fine di organizzare convincenti (anche se erronee) tematizzazioni morali che “giustificano” punizioni varie di coloro che disobbediscono o non si adeguano e che quindi mettono in pericolo quelle stesse regole morali e in ultima analisi la cooperazione che da esse è garantita.
Quale ruolo possono svolgere i mediatori morali nello scatenarsi della violenza strutturale?
Il potenziale violento che è parte costitutiva integrante di quelli che alcuni biologi evoluzionisti contemporanei chiamano nicchia cognitiva mostra anche la dimensione sottostante di violenza strutturale e simbolica, ovvero della violenza diffusa potenzialmente generabile e spesso generata da quelli che chiamo mediatori morali. La violenza strutturale è considerata come moralmente legittimata poiché esercita una funzione cruciale nelle attività di mantenimento della nicchia: un esempio semplice di mediatore è il crocefisso, per esempio in una nicchia cognitiva come una chiesa cristiana. Come mediatore morale rimanda alla dimensione etica della religione cristiana e quindi per esempio alla regola morale ama il prossimo tuo come te stesso, e come tale sostanzia e stabilizza la nicchia cognitiva in cui si trova. Tuttavia, se una persona lo indossa e viene visto in una circostanza sfavorevole da un terrorista che professa e difende un’altra religione, quello stesso oggetto diventa un potenziale mediatore di violenza, in quanto chi lo porta può essere ferito o addirittura ucciso.
Dobbiamo ricordare che quando genitori, poliziotti, insegnanti e altri agenti infliggono ed esercitano violenza, fisica o non visibile, “per ragioni morali e/o legali”, queste ragioni non eliminano il fatto che è stata perpetrata della “violenza”, e che essa non deve essere condonata oppure sottovalutata solo perché non è sempre percepita come tale (bolla morale) ed è invece vista come “qualcosa d’altro”, cioè come derivante da gesti morali. D’altra parte deve essere osservato che nel caso della violenza strutturale quegli agenti perpetranti violenza non agiscono certo quasi mai per conto proprio , ma per conto di più vaste istituzioni, siano esse politiche, sociali (come per esempio la famiglia), industriali, economiche o religiose: per l’appunto in quanto mediatori morali/violenti. -Tali istituzioni sostanziano la violenza strutturale non grazie ad agenti umani ma grazie a per l’appunto a “mediatori morali/violenti” di vario tipo (che nel caso estremo possono coincidere con esseri umani che hanno trasformato se stessi in quelli che potremmo definire artefatti socio-culturali mediatori di violenza, come nel caso del ruolo assunto dall’“agente di polizia” all’interno della violenza strutturale). La dimensione regolatrice della violenza strutturale è spesso diluita nella forma pervasiva della narrazione: le fiabe che sono raccontate ai bambini, i romanzi, le commedie, le opere teatrali e i film, sono tutte forme coinvolte nella diffusione di insegnamenti morali, economici o spirituali che comportano esemplificazioni di punizioni e violenze.
In che modo moralità “individuali multiple” possono scatenare violenze?
Gli individui agiscono spesso in base a quelle che chiamerei “morali multiple” e variabili: al mattino di fronte a una certa situazione si segue la morale religiosa e si agisce di conseguenza (per esempio punendo con violenza la figlia musulmana che non si è coperta il volto o ha il fidanzato cristiano); al pomeriggio invece di fronte a un’altra situazione si segue la morale civile che punisce con la violenza legittima della legge; alla sera di fronte a un’ulteriore nuova situazione si segue la morale dell’onore (che contrasta con le prime due, delle quali non ci si ricorda però minimamente), che comporta invece, per esempio, la violenza della vendetta privata. A ogni livello di questa variabile moralità individuale (che pure si informa a moralità collettive riconosciute e condivise da molti), l’esercizio della stessa protegge dal rendersi conto della violenza delle conseguenze: è una condizione cognitiva che io definisco “bolla morale”, concetto che ho già citato in passaggi precedenti.
Che nesso esiste tra religione, moralità e violenza?
La religione, nel mentre spinge, come tutti sanno, verso il “meglio” grazie al suo profondo portato morale, può ahimè pervertirsi, diventando agente di punizioni e violenze contro i membri del proprio gruppo che trasgrediscono le regole o contro i seguaci di altre religioni. Ho detto prima che la moralità e la violenza sono fortemente intrecciate. Questo aspetto è identicamente presente nel caso della religione: religione e violenza sono molto intrecciate. La religione infatti, trovandosi a svolgere, prima fra tutte le creazioni culturali dell’umanità, il ruolo di “vettore di moralità”, e quindi di “promotore di moralità”, come tale è caratterizzata dalla presenza della “punizione” (più o meno violenta) e del “conflitto (più o meno violento) con moralità avverse”.
Desidero anche aggiungere che anche una struttura complessa insieme astratta e concreta come la democrazia è oggetto di possibile violenza, per esempio ad opera del neoliberismo (e della sua devastazione di ogni equilibrio prezioso del capitalismo economico). Questo tema è nel libro collegato all’analisi del presente drammatico tendenziale passaggio dalla democrazia all’oclocrazia, già descritto da Polibio, dove osceni carismatici di turno che ingannano demagogicamente il popolo, coltivando e diffondendo tutte le debolezze e miserabilità del popolo stesso (e trascurandone invece le virtù), generano un impoverimento di tutti, e quindi anche dello stesso “oclos”: è proprio quello che stiamo vedendo ogni giorno.
Per concludere, il libro vuole incoraggiare ad aumentare la nostra “conoscenza” sulla violenza, come tema sia filosofico che cognitivo. Data l’importanza della violenza nel comportamento umano, lo studio di questo argomento aiuta a mantenere un focus intellettuale sugli impegni morali e sulle loro conseguenze, sperabilmente anche al di là della comunità strettamente intellettuale e accademica. Violenza, danni e aggressioni sono così pervasivi della vita di tutti i giorni, che non è facile immaginare di vivere senza incappare in essi. Gli attacchi violenti che sferriamo verso gli altri esseri umani, gli animali e la natura dipendono da complicati meccanismi biologici e cognitivi, che fondamentalmente si intrecciano con il ruolo della moralità. Le persone dunque possono fare uso di diverse “morali” come armi violente, sia per azioni difensive che aggressive.
Come già dicevo, riconoscere la nostra “condizione” di “creature violente” e aumentare la conoscenza circa la nostra capacità di nuocere, vuol dire accettare la nostra responsabilità e sperare di riuscire ad individuare quei “firewall” cognitivi che possono aiutarci a prevenire la violenza. Nikolaj Gogol era già perfettamente consapevole che la nostra conoscenza, la nostra inclinazione e la nostra sensibilità verso il bene sono sempre indissolubilmente legate alla conoscenza, inclinazione e sensibilità verso il male. Capire la violenza grazie alla filosofia non significa perdonarla o giustificarla, e - forse - può essere di aiuto, ad esempio, ad evitare di cadere in una situazione violenta.
Come dicevo, considerare il male violento dal punto di vista della “moralità” dei colpevoli - dove la violenza appare chiaramente come giustificata
da “valori” - può aiutare a cogliere la violenza come un evento quasi ineluttabile e comune, che non può essere ignorato. Devo segnalare al lettore che per tentare di capire la violenza da un punto di vista filosofico hp dovuto cercare di sopprimere i suoi miei giudizi morali, guadagnando così una nuova consapevolezza metamorale circa la condizione umana. Lo spettacolo della violenza umana mi ha insegnato (e spero insegni a tutti) qualcosa di più sul come conviverci e come monitorarla, grazie all’attività del “conoscerla” meglio nella sua struttura e nelle sue funzioni.
Lorenzo Magnani, filosofo, epistemologo e scienziato cognitivo, è professore ordinario di Filosofia della scienza presso l’Università di Pavia e direttore del Computational Philosophy Laboratory del Dipartimento di Studi Umanistici. Ha lavorato in USA, Cina e altri paesi EU, e realizzato più di 400 pubblicazioni nel campo della filosofia, della logica e delle scienze cognitive. Dirige la collana Studies in Applied Philosophy, Epistemology and Rational Ethics (SAPERE), dell’editore Springer. È membro dell’International Academy for the Philosophy of the Sciences (AIPS).
* Fonte: Letture.org