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"DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo Maria Martini). E L’AMORE (Deus CHARITAS est) NON E’ MAMMONA (Benedetto XVI, "Deus CARITAS est", 2006)!!!

IL PADRE NOSTRO E’ AMORE NON MAMMONA. ROBERTA DE MONTICELLI URLA "BASTA" A MONS. GIUSEPPE BETORI, A BAGNASCO, E ALLA CHIESA CATTOLICA. L’abiura di una cristiana laica - a cura di Federico La Sala

lunedì 6 ottobre 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] C’è ancora qualcuno che ancora pretenda sia degna del nome di morale una scelta fondata sull’autorità e non nell’intimità della propria coscienza? “Non siamo per il principio di autodeterminazione”, dichiara mons. Betori, e lo dichiara a nome della chiesa italiana. Ma si rende conto, Monsignore, di quello che dice? Amici, ve ne rendete conto? E’ possibile essere complici di questo nichilismo? Questa complicità sarebbe ormai - lo dico con dolore - infamia [...]
L’"UOMO (...)

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> IL PADRE NOSTRO E’ AMORE NON MAMMONA. ROBERTA DE MONTICELLI URLA "BASTA" --- La legge di Dio e quella dell’uomo (di Roberta De Monticelli)

venerdì 6 febbraio 2009

La legge di Dio e quella dell’uomo

di Roberta De Monticelli (la Repubblica, 25 gennaio 2009)

Caro Direttore,

"Nessuna legge umana può andare contro le coscienze costringendoci a commettere atti che sono in grave contrasto con i nostri convincimenti più profondi" Così il Cardinal Poletto in una recente intervista su "Repubblica". Questo è un principio importantissimo, ed è la ragione per la quale, di fronte a questo terribile rischio, la nostra età adulta ci ha resi consapevoli della necessità di distinguere fra religione, morale e diritto. Questa distinzione è uno degli strumenti che abbiamo trovato per evitare che le coscienze possano cadere soggette all’arbitrio del potere, quando è (diabolicamente) legittimato dal nome di Dio, che non è mai quello di Cesare se dobbiamo credere al vangelo.

Le distinzioni però vanno prese sul serio. Allora fermiamoci sulla prima: quella fra diritto e morale. In questione è la necessità di una legge sul testamento biologico, improrogabile necessità che il caso Englaro ha così dolorosamente messo in luce, dando un senso profondo e luminoso alla tenacia di questo nostro concittadino. Perché dove mai sarebbe il sia pur minimo dubbio sul da farsi dopo tanti anni, se la volontà di Eluana fosse scritta a chiare lettere. Ma allora bisogna dirlo, che una legge dello Stato in queste discipline permette e non obbliga, dunque certo non si sostituisce all’ultimo giudizio della coscienza morale individuale, ma ha al contrario il preciso scopo di non sostituirvisi.

Questo è il fondamento della distinzione fra diritto e morale: non certo il relativismo della morale, ma la circostanza che l’ultima parola della coscienza personale non può essere scritta in forma di legge di uno Stato, in tutti i casi in cui non c’è consenso universale sull’illiceità morale di determinati comportamenti. Dove questo consenso non c’è, o non c’è ancora, legittima può essere ogni battaglia - nichilistica invece la negazione della verità. Ogni legge che tutela una libertà civile, per definizione, non "costringe" nessuno a fruire del diritto che accorda: e nichilistico è negare questa verità, come sembra fare purtroppo il cardinal Poletto e come fece la gerarchia della chiesa al completo quando fu lanciata la campagna "non si vota sulla vita", giocando purtroppo sull’ignoranza popolare della distinzione fra permettere e costringere. Infine, per i casi in cui una legge che tuteli una libertà civile possa, nella sua applicazione, confliggere con la coscienza morale di qualcuno, c’è indubbiamente la possibilità dell’obiezione di coscienza. Cosa ben diversa (e non è nichilistico negare anche questa distinzione?) dall’ingiunzione dell’autorità politica che minaccia sanzioni economiche a chi sia disposto ad applicare un una legge.

Ma poiché le distinzioni vanno prese sul serio, il ragionamento non è ancora finito. C’è anche la seconda distinzione, quella fra religione e morale. Supponiamo che una persona si trovi in una situazione analoga a quella in cui si trovò Piergiorgio Welby. E che, a differenza di lui, compia una scelta di completo e fiducioso abbandono, una scelta che addirittura prescinde dalla difesa della propria dignità e dall’eticamente sacrosanto desiderio di morire in pace.

Questa può ben essere la scelta sublime di un uomo di fede, può ben essere una scelta d’amore. Ma ci sarebbe cosa più abominevole dell’ipotesi che questo amore sia imposto (e per via di legge) da un uomo a un altro uomo? Qualcosa di più religiosamente nichilistico che trasformare una grazia in un dovere? Non è appunto l’abissalità di questi consensi, di questi affidamenti supremi, come è ogni atto di fede (il sacrificio di Abramo, per esempio, o quello di Cristo!), a esigere la più gelosa, la più imprescrittibile, la più silenziosa ultima libertà che una coscienza ha di consentirvi o no? Le distinzioni vanno prese sul serio, perché dove non c’è logica non ci può essere verità, e dove non c’è più verità non c’è più né morale, né diritto, né religione. Ma solo nichilismo. Non "pietoso", però, come quello che Dostoevskij attribuiva al Grande Inquisitore. Impietoso piuttosto, e soprattutto - se verità è un nome di Dio - empio.


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