l’Unità 11.10.2008
Napolitano: nessuna forzatura sul Parlamento E sulla crisi: niente allarmismi, più etica nelle banche. Allerta sul diffondersi del pregiudizio razzista
di Marcella Ciarnelli
STABILIRE REGOLE di comportamento etico nelle banche. Ribadire la scelta della democrazia parlamentare. Cogliere il rischio che l’intolleranza e la xenofobia sconfinino nel razzismo. Salvare il pluralismo dell’informazione. Parla a tutto campo il presiden te della Repubblica nella “Giornata dell’informazione”, celebrata nel giorno in cui l’Osservatore Romano anticipa l’intervista fatta a Giorgio Napolitano dopo la visita di Benedetto XVI al Quirinale diffusa anche dalla Radio e dalla Tv Vaticana.
In un momento di crisi economica grave come quello attuale il monito del Capo dello Stato va a chi le notizie le diffonde e che «non deve alimentare un allarmismo che in questo campo può diventare fattore di aggravamento» della situazione ma, innanzitutto, a chi deve coniugare «logiche di mercato e principi solidali».
La crisi delle banche e delle Borse dimostra che «si debbano stabilire delle regole, delle regole di comportamento, anche di comportamento etico, all’interno delle istituzioni di governo dell’economia». Già una settimana fa, in occasione dell’incontro con il Papa, il Presidente aveva fatto riferimento alla «corrosiva» mancanza di etica in politica ed economia.
Ma il Capo dello Stato ha anche voluto chiarire, ancora una volta, il suo pensiero sulle possibili ipotesi di riforme istituzionali, logica conseguenza, o almeno tale sembrerebbe, di una Costituzione che negli anni è andata mutando. Nessun dubbio per Napolitano che la scelta della democrazia parlamentare va ribadita perchè senza confronto in Parlamento si rischia di lasciare la strada giusta e «finire in un vicolo cieco». Ma senza dimenticare che «va portato fino in fondo l’impegno che venne soltanto anunciato nell’Assemblea costituente: introdurre, cioè, correttivi che garantiscano la stabilità dell’esecutivo, la capacità di governo di chi ha ricevuto la maggioranza e, nello stesso tempo, però garantiscano contro ogni degenerazione parlamentaristica di vecchio stampo, un efficace, incisivo ruolo legislativo, di indirizzo e di controllo del Parlamento». La velleità della riscrittura globale della Costituzione è «appunto una velleità» come dimostra una lunga «esperienza di tentativi infruttosi» che «non portano da nessuna parte». Bisogna, invece, ripartire da indicazioni concordi «scaturite dal Parlamento anche in modo piuttosto concorde al termine della passata legislatura» e portare avanti «delle ipotesi di riforma mirata, di riforma parziale nel senso di rafforzare le autonomia regionali e locali nell’ambito di uno Stato nazionale che deve mantenere fortemente la sua unità ma superando persistenti vizi di centralismo e burocratizzazione».
Il presidente parla ai giornalisti italiani nella loro giornata, quella dedicata a tutti i vincitori di premi e a tutti quelli che quotidianamente si misurano con la professione. In prima fila ci sono i genitori di Ilaria Alpi e la moglie e il figlio di Miran Hrovatin, giornalisti Rai trucidati a Mogadisco perchè credevano nel loro lavoro. Riceveranno una medaglia d’oro in memoria del loro sacrificio. Ci sono anche i vertici delle organizzazioni di categoria, il sottosegretario all’Editoria, Paolo Bonaiuti. E tante facce note, direttori, “firme” storiche come Vittorio Zucconi e Miriam Mafai. È commosso il ricordo di Italo Moretti.
Gli argomenti si affollano. Ritorna il presidente sul rischio che il «pregiudizio razzista» dilaghi nel nostro Paese e loda la «Carta di Roma». Richiama il diritto-dovere dell’informazione ma anche il rispetto delle indagini, della privacy e della dignità delle persone.
«L’autovigilanza è la strada maestra da seguire, anche per non dover poi giustificare misure coercitive che possono mettere a rischio la libertà di informazione». Si augura che finalmente, davanti agli spiragli di questi giorni, si arrivi a firmare il contratto dei giornalisti scaduto da quasi quattro anni.
Ed infine, sulla scia della disponibilità espressa dal sottesegretario Bonaiuti, ecco l’invito «preoccupato» a «non comprimere il pluralismo» riducendo i fondi a quei giornali che parlano a nome di «chi non è rappresentato in Parlamento» pur nella consapevolezza che sacrifici vanno fatti in nome del bene comune e degli impegni presi con l’Europa.
Il sondaggio
Sale all’82% la fiducia nel Presidente
Decreti: la maggioranza li accetta solo per casi urgenti
Accade che dopo lo tsunami dell’antipolitica gli italiani sembrino diposti ad «un’apertura di credito» verso le istituzioni. Il gap rispetto al 2006 non è stato ancora colmato. E per ora solo una tendenza avverte Nando Pagnoncelli, direttore dell’Ipsos, che parla forte di recenti sondaggi riservati che indicano però che qualcosa sta cambiando. Il Paese, oggettivamente in preda a molteplici difficoltà, riscopre una fiducia nelle istituzioni che sembrava persa per sempre.
Quella che fa da traino su tutte è la Presidenza della Repubblica. Il trend è positivo dal giugno del 2007. Il 78 per cento ripone fiducia nel Quirinale. E Giorgio Napolitano arriva all’82 per cento raccogliendo anche consensi in quegli elettori di centrodestra i cui partiti di riferimento non lo avevano votato al momento dell’elezione. Un anno fa era al 70 per cento. Per quanto riguarda seconda e terza carica dello stato la situazione è cambiata dopo il voto anche grazie alla sensazione che la semplificazione del quadro politico potesse consentire ai due rami del Parlamento di lavorare meglio. Nel Senato ha fiducia il 51 per cento mentre la Camera si ferma al 49. La situazione si ribalta nei numeri legati alle persone: Gianfranco Fini viaggia sul 54 per cento mentre Renato Schifani è fermo al 36 per cento. Al di là del singolo dato sembra che ci sia «un crescente bisogno di punti di riferimento». E su questo influisce certamente la crisi economica che potrebbe indurre ad un confronto che «deve avere un perimetro ben preciso».
Dal dialogo all’inciucio il passo può essere breve. «Ma la crisi potrebbe essere un’opportunità...».Verrebbe da chiedersi, a questo punto, e tenendo presente che la presidenza del Consiglio per la gente non è un’istituzione ma una persona, cioè Berlusconi, come possa accadere che proprio mentre chi governa dichiara apertamente di voler in tutte le occasioni possibili superare il confronto parlamentare puntando alla via breve dei decreti legge cresca questa voglia di istituzione.
Il sondaggio non è temporalmente coincidente con le dichiarazioni di Berlusconi. Ma resta il fatto che la maggioranza realativa del campione, il 41 per cento, si dice disponibile ad essere governata per decreto solo in casi urgenti e motivati. Il 28 per cento che giudica il Parlamento troppo lento mostra più disponibilità. Il 25 per cento dice mai. «Non credo che l’iter legislativo sia chiaro a tutti gli italianima risultato evidenti due dati: gli italiani vogliono leggi più rapide ma anche che il Parlamento sia rispettato».m. ci.