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EV-ANGELO = BUONA NOVELLA. DIO È AMORE (Charitas) non MAMMONA (Benedetto XVI, "Deus CARITAS est", 2006) ED "EU-*CARESTIA*"!!!

MONSIGNOR RAVASI, MA NON È POSSIBILE FARE CHIAREZZA? SI TRATTA DELLA PAROLA FONDANTE E DISTINTIVA DELLA FEDE CRISTIANA!!! DIO È AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! - Una nota di Federico La Sala

Ha dimenticato l’esortazione di Papa Wojtyla ("Se mi sbalio, mi corigerete")?!
mercoledì 5 novembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
IL NOME DI DIO, SENZA GRAZIA ("CHARIS")! L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"
KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E VENNE) RIDOTTO IN STATO DI MINORITA’ DAL GIUDIZIO FALSO E BUGIARDO ("SECUNDA PAULI").


CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE (...)
DEUS CHARITAS EST
(1Gv 4. 1-8). (...)

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> MONSIGNOR RAVASI, MA NON E’ POSSIBILE FARE CHIAREZZA? ----- Dio e Platone. Monsignor Gianfranco Ravasi diventa cardinale (di Maurizio Chierici).

sabato 20 novembre 2010

Dio e Platone

Monsignor Gianfranco Ravasi diventa cardinale

Dall’amore per la filosofia alla Bibbia elettronica

di Maurizio Chierici (il Fatto, 20.11.2010)

La voce di uno dei cardinali che il Papa incorona è il filo che lega Gianfranco Ravasi a milioni di persone. Per vent’anni la sua Bibbia elettronica è entrata in ogni casa: radio e Tv, giornali e conferenze prenotate con lunghe attese. Senza contare i libri per avvicinare i lettori al cammino dei profeti. “Ho scelto la divulgazione attirandomi le critiche di chi non era d’accordo perché la divulgazione è un piano inclinato: può finire nelle sabbie dell’ovvietà. Ma mi ha permesso di realizzarmi come uomo e sacerdote. Se mi fossi chiuso nei libri, sarei ancora molto timido”.

Tempo fa, il monsignore che presiedeva la Biblioteca Ambrosiana raccontava come la vocazione lo avesse raggiunto. Non un innamoramento improvviso. Quando era bambino segue il nonno sulla collina sopra il suo paese della Brianza. Dormono in una baracca per lavorare appena il cielo rischiara. “E al tramonto nella valle passa un treno. Il fischio del treno mi fa capire il senso lacerante e violentissimo della inconsistenza delle cose. Il treno sparisce. Resta la striscia di fumo. Avevo cinque anni, la sensazione mi segue nel tempo; diventa elemento sotterraneo e capitale della vocazione. Il bisogno di scoprire nell’inconsistenza del reale, il senso del fine. Di natura sono pessimista, sento lo sfaldarsi della realtà. Ormai grande ricordo quel fischio e quel treno che se ne andavano come la vita. Emozione che invitava a capire perchè certe cose siano destinate a svanire. Adulto, le ritrovo nella Recherche, Proust e la memoria del passato sulla quale galleggiano foglie morte. Per me è il contrario: diventa l’invito alla permanenza”. Nessun albero degli zoccoli, eppure il nonno e il suo campo riaffiorano in una dimensione fantastica. Si chiamava Giovanni, non era il padre della madre. Solo lo zio. “Ne percepivo il fascino della sicurezza”.

E POI la madre: “Rappresentava la genialità. Non dormiva per sfogliare libri. Ma la cosa che ancora mi accompagna è quel camminare con la mano nella mano del nonno. Non raccontava fiabe. Spiegava cose e persone che incontravamo per strada. Spiegava perché i meno fortunati alla domenica bevono e imbestialiscono e com’è la vita quando si nasce diversi. Spiegava come può presentarsi il potere. Era l’unico a tener testa al signorotto del paese a proposito dell’arroganza sui terreni. Succedeva attorno alla collina chiamata Colle di Brianza; Brianza cattolica e tradizionalista che respirava con distrazione il flusso di Milano”.

La madre era cresciuta nella casa di uno zio senza figli: “Idealmente ceduta”. Monsignore che sorride: civiltà degli affetti contadini. Sposa Paolo Ravasi, antifascista perseguitato, mai un posto vero perché rifiuta la tessera. L’Italia va in guerra, lo mandano in Sicilia a fermare gli americani: prima linea, carne da cannone. Ma il ribelle riempie il fucile di cemento. Non vuole sparare. Diserta e torna camminando. Quando arriva il bambinolorifiuta.Nonsopporta che la vita a tre, con la madre e il nonno, venga turbata dalla presenza di chi non conosce. Comincia la scuola, a Merate, ospite di due zie, maestre alla Gozzano, zitelle molto pie. Ogni tanto torna a casa; solo ogni tanto. Le distanze avevano misure diverse. Quindici chilometri dalla mamma, un’eternità.

Comincia la seconda vocazione, sempre col libro in mano: De Amicis e Cuore e la fantasia di Verne. Le zie influiscono nelle scelte: ginnasio al seminario di Seveso, ambiente che gli sembrava triste. “Quelle relazioni inamidate coi superiori e devozioni richiamate dal suono dei campanelli e nuovi compagni così diversi dagli amici gioiosi della scuola di prima. C’erano anche le ragazze...”.

Al liceo scopre una spiritualità di altro tipo. Primo amore, Platone. Divora i libri che gli suggerisce il professor Cipolla: Gian Franco Contini e l’amore per scrittori stranieri qualche volta proibiti: Camus. Ricorda a memoria brani di Goethe e sei dialoghi di Platone in greco.“Bastava sfogliarli una volta e si fissavano nella memoria. Avevo questa fortuna”.

Divide il tempo con due compagni di corso: Sandro Magister e Umberto Galimberti: “Hanno probabilmente sentito la frattura di un ambiente che non li favoriva e sono usciti”. Magister continua gli studi teologi alla Cattolica; sceglie di fare il giornalista all’Espresso. Galimberti è il filosofo allievo di Severino. Il loro addio al seminario diventa l’allarme sulla possibile frattura tra fede e cultura. “Ma il credere e il mio comprendere andavano di pari passo. Non concepisco l’integralismo religioso; non condivido un cattolicesimo autosufficiente”.

Voleva fare il professore, latino e greco. Colombo (insegnante che diventerà cardinale a Milano) non è dell’ idea: lo indirizza alle scienze bibliche. Comincia l’altra vocazione. Si innamora delle lingue morte, l’ebraico lo incanta. Lingua povera perché esprime la poesia della Bibbia “riuscendo a dire Dio in modo bello con appena 5.750 vocaboli. Il greco classico ne ha 40 mila, l’italiano 150 mila, l’inglese 500 mila”. Dedica una parte importante “all’invito dell’esegesi per andare al di là del versetto e scoprire quanto insegna la tradizione talmudica dove ogni parola ha 70 volti”.

PRIMI passi del giovane prete col talento delle lingue. Ormai ne parla tante: lingue dei nostri giorni, compreso il fiammingo. Si immerge nelle scritture dimenticate: siriaco, aramaico, etiopico, samaritano. Arriva la terza vocazione: raccontare alla gente le emozioni del viaggio tra spirito e parole per evitare il pericolo “di diventare studioso da laboratorio e professore in cattedra”.

Divide il tempo negli incontri con tre tipi di persone: chi lo ascolta per fede, chi discute alla ricerca del piacere letterario, chi contrasta per convinzione atea con il rigore drammatico di una religione negata, ma che sfugge e deve inseguire. Preferisce gli atei (“purtroppo rimasti in pochi...”) agli indifferenti: “Incolori, inodori, insapori. Appagati e non inquieti”.

Il Papa intellettuale gli affida la presentazione del suo Gesù di Nazareth. Lo voleva vescovo ad Assisi, ma i vescovi di Ruini hanno detto no. Lo ha chiamato a governare la cultura della Chiesa e con la rapidità di un lombardo indaffarato Ravasi apre porte trascurate. L’incontro con la modernità, il rapporto con gli artisti, l’elogio della bellezza . Chi ha sempre parlato con la gente non sopporta l’isolamento dei Sacri Palazzi.


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