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Mondo

Riassunto della crisi subprime - del prof. Andrea Crobu ("Legalità e Giustizia", Verona)

martedì 11 novembre 2008 di Emiliano Morrone
Northern Rock, nazionalizzata 17 febbraio 2008
La prima corsa agli sportelli della storia delle banche britanniche da 150 anni
Solo il 27% dei fondi proviene da depositi dei clienti: ben il 73% proviene da prestiti a breve termine contratti sul mercato finanziario.
Mutui al 120%
Bear Stearns, comprata da J.P.Morgan
16 marzo 2008
Il suo valore è precipitato da 20 miliardi a 236 milioni $
Esposta con (...)

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> Riassunto della crisi subprime (2008) - 2018: Lehman poteva essere salvata ma il club Goldman Sachs e la politica l’hanno sacrificata. Regalandoci 10 anni di sofferenze (di Giovanni Pons).

giovedì 27 settembre 2018

Lehman poteva essere salvata ma il club Goldman Sachs e la politica l’hanno sacrificata. Regalandoci 10 anni di sofferenze

di Giovanni Pons (Business Insider - Italia, 14/9/2018 - ripresa parziale.)

Che cosa abbia significato il fallimento di Lehman Brothers per l’economia mondiale e quindi per tutti noi, lo spiegano bene alcuni grafici pubblicati in questi giorni da Bloomberg a corredo di un pezzo intitolato “The Global Economy is still feeling the Lehman Fallout 10 years later“. La più profonda recessione dalla Grande Depressione in poi ha costretto le banche centrali a inondare di liquidità i mercati con la conseguenza che i bilanci delle stesse banche centrali sono esplosi. Il livello delle attività e passività ha raggiunto i 500 trilioni di Yen alla Bank of Japan, superato i 4 trilioni di dollari alla Fed e i 4 trilioni di euro alla Bce. Livelli che faranno fatica a essere ridotti nei prossimi anni. Allo stesso tempo i governi hanno dovuto reagire con stimoli fiscali o con misure di austerità con il risultato che i debiti pubblici sono più alti oggi che nel 2007, con il rischio implicito che un rialzo dei tassi di interesse possa innescare nuove frenate per le economie.

Di più. Dopo il picco negativo della recessione 2009-2010 le economie sono rimbalzate ma i tassi di crescita degli anni successivi sono apparsi moderati, soprattutto in rapporto agli stimoli fiscali e monetari profusi da governi e banche centrali. Dal punto di vista dell’occupazione il mondo ha circa 25 milioni di occupati in meno rispetto al 2007. E anche se il tasso di disoccupazione americano è sceso preoccupa l’alto tasso di disoccupazione giovanile, soprattutto in paesi come la Grecia e l’Italia. Mentre i salari sono rimasti contenuti in gran parte dei paesi del G7.

L’ambiente di tassi quasi a zero ha invece beneficiato il settore privato, l’unico che può definirsi vincente negli ultimi dieci anni, con utili societari in forte crescita che si sono riflessi in un costante aumento delle quotazioni borsistiche. E anche i prezzi degli immobili si sono ripresi in quasi tutto il mondo dopo il crollo del 2008-2009.

Che tutto ciò sia dovuto al fallimento di Lehman Brothers del 15 settembre 2008 è forse esagerato sostenerlo ma è chiaro che quell’evento è stato in grado di scatenare una serie di reazioni a catena che fino ad allora era difficile immaginare.

Detto questo a 10 anni di distanza, e viste le conseguenze economiche che abbiamo appena elencato, è opportuno chiedersi se allora fu fatto tutto il possibile per evitare il disastro e se no, di chi sono state le colpe.

I primi imputati sono sicuramente i manager della Lehman Brothers che in epoca di tassi bassi hanno spinto il bilancio della banca a girare oltre 20 volte il suo patrimonio netto acquistando alcuni asset immobiliari che si sono rivelati tossici. E queste responsabilità sono state messe bene in evidenza dalla Commissione d’inchiesta (Financial crisis inquiry commission) riportata dal bell’articolo di Walter Galbiati su Repubblica.it di mercoledì 12. Il fatto è le commissioni d’inchiesta governative si basano in gran parte sulle deposizioni dei protagonisti e nessuno di questi è andato mai a dichiarare che avrebbe potuto fare qualcosa di più o qualcosa di diverso per evitare lo sciagurato fallimento. Salvare Lehman Brothers era diventato impossibile sia per la condotta del suo management sia perché un intervento diretto del governo in quella direzione attraverso l’impiego di soldi pubblici era visto negativamente dal Congresso e al pari di un incentivo per tutte le altre banche a continuare le stesse pratiche rischiose (moral hazard) tanto qualcuno alla fine sarebbe intervenuto a togliere le castagne dal fuoco.

Ecco, forse oggi si può dire che far fallire Lehman si è rivelato demenziale; per dare un segnale contro il moral hazard ed evitare di mettere sul piatto 20 o 30 o anche 40 miliardi di soldi pubblici si è èreferito entrare nel tunnel dei 10 anni successivi fatti di recessione, disoccupazione, bassi stipendi, esplosione delle quotazioni di Borsa ma anche delle diseguaglianze. Ne valeva la pena? Credo di no.

Al tempo stesso la teoria che non si poteva fare altrimenti fa acqua da tutte le parti. Ecco alcuni elementi che mostrano come le autorità avrebbero potuto intervenire per tempo per evitare il collasso.

1) Fin dall’inizio del 2008 Lehman è stata al centro di un fortissimo attacco speculativo, di quelli che piacciono tanto alla cultura liberista dei mercati con la manina invisibile che aggiusta tutto da sola. Tuttavia non erano i famigerati titoli subprime a creare problemi, questi infatti erano assicurati con credit default swap presso Aig (come lo erano quelli delle altre grandi banche d’affari, da Goldman a Merrill Lynch). I problemi arrivavano dai titoli MBS (come spiega bene Ken Fischer in un articolo apparso il 12 settembre su Il Sole 24 Ore), ovvero i titoli garantiti da ipoteca, che Lehman non aveva interesse a vendere poiché continuavano a pagare gli interessi. Purtroppo la regola FAS 157 della contabilità Usa imponeva di fare il ‘mark to market’ di questi titoli, ed essendo gli MBS illiquidi le successive svalutazioni avevano via via eroso il capitale della Lehman. Almeno un paio di hedge fund molto aggressivi giocavano su questa debolezza buttando giù il titolo Lehman e spargendo sul mercato voci catastrofiste sui buchi di bilancio della quarta banca d’affari americana.
-  Nel libro di Andrew Ross Sorkin “Too big to fail” (De Agostini) si adombra addirittura il fatto che gli hedge fund che shortavano il titolo Lehman erano sollecitati da Goldman Sachs, la principale rivale. Le vendite allo scoperto sono state frenate dalle autorità solo all’inizio di settembre quando il Tesoro nazionalizzò Fannie Mae e Freddy Mac, i due istituti che erogavano crediti ipotecari. Ma prima nè la Sec, mè la Fed nè il Tesoro americano mossero un dito per alleviare quella carneficina.

      • WASHINGTON, 12 settembre 2018. L’ex presidente della Fed Ben Bernanke, l’ex segretario del Tesoro Timothy Geithner e l’ex segretario del Tesoro Hank Paulson rispondono alle domande al Brookings Institution a una conferenza su: “Rispondere alla crisi finanziaria globale: Ciò che abbiamo fatto e perché lo abbiamo fatto”. (Foto di Win McNamee/Getty Images)

2) Nel giugno 2008 Lehman chiede alla Federal Bank di New York, allora guidata da Tim Geithner, di concedere loro l’autorizzazione a diventare una Bank holding company, uno status che avrebbe permesso alla Lehman di accedere in caso di bisogno al supporto del fondo per l’assicurazione sui depositi in quanto banca commerciale. Geithner negò questa autorizzazione sostenendo che avrebbe inviato al mercato un “messaggio sbagliato”, cioé favorevole al moral hazard. Non avrebbe, a suo parere, fermato la speculazione, anzi l’avrebbe sollecitata perché gli operatori avrebbero pensato che in ogni caso c’è un compratore di ultima istanza.

Queste circostanze sono confermate sia dal libro di Ross Sorkin, sia dall’articolo che Scott Freidheim, ex Chief administrator officer di Lehman, ha scritto qualche giorno fa per il Financial Times e che Business Insider Italia ha pubblicato l’8 settembre scorso. Le argomentazioni di Geithner appaiono di corto respiro rispetto alla gravità della situazione che si stava creando intorno ai mercati e infatti le stesse sono velocemente passate in secondo piano quando la Fed di New York ha concesso a Goldman Sachs e Morgan Stanley di diventare holding company giusto una settimana dopo la dichiarazione di fallimento della Lehman.

3) In molti, nella concitata estate del 2008, temevano che i numeri scritti nei bilanci di Lehman non fossero veritieri, che le sue attività fossero sopravvalutate. Anche il presidente della Fed Ben Bernanke durante le sue audizioni davanti alla Commissione avanzò questo tipo di dubbi e questo fatto di certo non facilitò le trattative che Lehman stava conducendo con gruppi che avrebbero dovuto entrare nel suo azionariato. Tra la speculazione di mercato che buttava giù il titolo, le voci messe in giro ad arte e i dubbi sulla realtà dei suoi bilanci, Lehman era oggettivamente un facile bersaglio per tutti, il vaso di coccio da sacrificare.

Ancora, le varie autorità e istituzioni non si occuparono mai di alleviare questa tensione: per Hank Paulson, segretario al Tesoro, Geithner, Bernanke, c’era sempre una urgenza superiore a quella di Lehman da risolvere, tranne nel week end finale quando ormai era troppo tardi. La beffa è che tre diverse inchieste sui conti di Lehman svolte nei dieci anni successivi, inclusa una effettuata dalla Sec, hanno concluso che il bilancio della banca era regolare. Se a ciò si aggiunge che il 5 marzo 2014 Tony Lomas, il partner di Price Waterhouse che dal settembre 2008 ha gestito la procedura di fallimento della Lehman Brothers International Europe (cioé la filiale londinese della banca americana), ha dichiarato che le banche, gli hedge fund e i gestori dei fondi avevano recuperato il 100% della liquidità che detenevano presso la filiale europea di Lehman, e che anche dopo aver pagato tutti i creditori non garantiti nel bilancio della LBIE sarebbero rimasti 5 miliardi di avanzo, lo stupore è ancora più alto.

La capogruppo americana, invece, sino a quel momento aveva garantito un rimborso del 27% dei crediti, percentuale che sarebbe salita successivamente fino al 40%. Dunque dei 613 miliardi di passività che aveva la Lehman al momento del collasso, solo meno di 100 non erano coperti da titoli o dal capitale della banca e dunque sarebbe bastato un aumento di capitale da 20-30 miliardi per non mandare tutto a rotoli e senza far perdere un dollaro al contribuente. Con un po’ di calma i titoli illiquidi sarebbero stati portati a scadenza senza registrare perdite a bilancio e gli immobili commerciali avrebbero trovato dei migliori compratori. Con il default, invece, le banche concorrenti di Lehman hanno potuto sfamare la loro avidità lanciandosi in aste al ribasso sugli asset sottostanti ai titoli derivati di Lehman, come prevedono le regole ISDA, amplificando in questo modo le perdite della società in liquidazione.

      • LONDON - SEPTEMBER 15: Tony Lomas, partner di Price Waterhouse Coopers, parla con i giornalisti nella sede di Lehman Brothers a Canary Wharf il 15 September 2008, appena dopo l’annuncio che l’investment bank americana aveva chiesto la protezione dai creditori. (Foto di Cate Gillon/Getty Images)

Ecco cosa dichiarò Lomas al termine della procedura di liquidazione: “LBIE non era insolvente dal punto di vista patrimoniale, ma sotto il profilo del cash flow poiché la sua casa madre negli Stati Uniti collassò. Il braccio Uk della Lehman aveva 3 miliardi di dollari di pagamenti da fare la mattina del crollo ma non aveva cash a disposizione”. Quei 3 miliardi erano infatti stati ‘spazzati’ via il venerdì 12 settembre dalla casa madre newyorkese nel disperato tentativo di evitare la bancarotta. Ma il risultato fu che anche la filiale londinese fu costretta a dichiarare il fallimento.

4) Hank Paulson all’epoca era il potente segretario al Tesoro strappato dal presidente Bush jr. alla Goldman Sachs, la più potente banca d’affari di Wall Street, per servire il paese nella sua amministrazione. Non era certo il primo caso di un prestigioso banchiere che veniva preso in prestito dalla politica per svolgere ruoli difficili e che richiedono alte competenze. E la situazione in cui si è trovato Paulson non è certo delle più augurabili, di qualsiasi uomo o banchiere si tratti. Ma è un fatto che Paulson nello svolgere il suo lavoro si è circondato di altri uomini ex Goldman (ad esempio Ken Wilson e Dan Jesper), che Goldman era senza dubbio la più acerrima rivale di Lehman tra le grandi banche d’affari, che Paulson aveva un rapporto burrascoso con Dick Fuld, l’allora ceo di Lehman, e ottimo con Lloyd Blankfein, ceo di Goldman e che il susseguirsi e l’esito finale degli eventi getta più di un’ombra di sospetto sul fatto che Lehman sia stata lasciata rotolare volutamente verso l’abisso.

A marzo 2008 Bear Stearns fu inglobata da Jp Morgan Chase con il beneplacito della Fed e i soldi del Tesoro americano, il primo week end di settembre Fannie Mae e Freddie Mac furono nazionalizzate dal Tesoro e nelle settimane successive al tracollo di Lehman la Aig (il più grande riassicuratore americano) fu salvata con 80 miliardi di soldi pubblici perché il suo bilancio conteneva credit default swap per centinaia di miliardi che assicuravano tutte le banche del sistema, a cominciare da Goldman e Merrill Lynch. Ma soprattutto ai primi di settembre Paulson e Geithner sollecitarono Kenneth Lewis della Bank of America a stracciare l’accordo che aveva già impostato con Dick Fuld e dirottare i suoi sforzi nel salvataggio di Merrill Lynch guidata da John Thain, banchiere che aveva lavorato per 10 anni a Goldman Sachs (dal 1989 al 1990 come capo della divisione mutui e dal 1999 al 2004 come presidente e co-Chief operating officer). Bofa nell’acquisizione valutò Merrill 29 dollari per azione, con un premio del 70% sul valore di Borsa di quel momento. Secondo i racconti di banchieri vicini alla situazione, nel momento in cui Lewis stava facendo l’accordo con Lehman, Thain, Paulson e Geithner si accorsero che se le valutazioni degli asset si fossero applicate anche agli attivi di Merrill, questa sarebbe fallita. E Merrill era più grande di Lehman e avrebbe provocato un danno ancora più esteso. Così decisero di salvare Merrill sperando che gli inglesi di Barclays si prendessero in carico Lehman, ma il governo britannico si oppose e il 15 settembre la banca precipitò. Fu un enorme errore, si dovevano salvare sia l’una che l’altra.

      • Il libro di Andrew Ross Sorkin: “Too big to fail”, De Agostini

5) Purtroppo l’aria che tirava a Washington in quei mesi drammatici soffiava per portare un agnello sacrificale al cospetto del mondo e dimostrare al popolo quanto era avida Wall Street. Le elezioni politiche erano previste a novembre e il fallimento dei repubblicani di Bush, ormai sotto gli occhi di tutti, stava spianando la strada al democratico Obama. Lo choc era funzionale a questo schema, ma nessuno aveva considerato cosa c’era sull’altro piatto della bilancia: se il prezzo da pagare è rappresentato da 10 anni di sofferenze per l’economia reale di tutto il mondo, forse si possono trovare altri modi più costruttivi per correggere le storture di Wall Street.

Lasciar andare Lehman al suo destino è stato il più clamoroso errore che la storia economica moderna ricordi. Ross Sorkin, nel suo informatissimo libro, riferisce di una cena riservata dell’agosto 2008 al tradizionale simposio di Jackson Hole offerta da James Wolferson appena diventato presidente della World Bank a cui, oltre a Bernanke, avevano partecipato due ex funzionari del tesoro, Larry Summers e Roger Altman, nonché Austan Goolsbee, advisor econmico di Barack Obama. Wolferson pose ai suoi ospiti due domande: la crisi creditizia di quei giorni sarebbe entrata nella storia come un capitolo o come una nota a piè di pagina? Tutti concordarono che probabilmente sarebbe stata una nota a piè pagina. Poi chiese: “Ci avviciniamo a un’altra Grande Depressione o sarà piuttosto un decennio perduto, come quello del Giappone?”. La risposta unanime degli ospiti fu che l’economia degli Stati Uniti avrebbe probabilmente sofferto una recessione prolungata come quella giapponese. Ma Bernanke, sorprendendo i presenti, sentenziò che nessuno dei due scenari rappresentava una possibilità reale: “Abbiamo imparato talmente tanto dalla Grande Depressione e dal Giappone che non accadrà nessuna delle due cose”, disse, sicuro di sè.

I fatti degli ultimi 10 anni ci dicono che nessuno, a quella cena, aveva le idee chiare su ciò che stava succedendo. E tutti noi ne stiamo pagando ancor oggi le conseguenze.


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