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PIANETA TERRA. CON DANTE ("DUE SOLI"), OXFORD INSPIRES: "TRE CORONE" ..... A SCUOLA DA "FRATE SOLE" (FRANCESCO D’ASSISI)!!!

LO SPIRITO DELL’ EUROPA. "BUOI AL GUADO" AD OXFORD, "CERVI ALLA FONTE" DELLA "SAPIENZA" DI ROMA. TRACCE PER UNA SOLA GRANDE FESTA: "LA LUCE SPLENDE NELLE TENEBRE" DELL’INVERNO. E per proseguire il comune cammino "eu-ropeuo" - a cura di Federico La Sala

AL DI LA’ DEI FONDAMENTALISMI LAICI E RELIGIOSI: UNA SECONDA RIVOLUZIONE COPERNICANA
martedì 11 novembre 2008 di Maria Paola Falchinelli
OXFORD. Etimologia. Ford è il guado in inglese: Ox-ford è il guado dei buoi.
ROMA. Fontana dei Libri (Via degli Staderari)*


(per leggere gli art., cliccare sul rosso)
NATALE 2008, LA SAPIENZA DI OXFORD: "LA LUCE SPLENDE NELLE TENEBRE" (Gv 1. 5)!!!
"CHRISTMAS": FESTA DELLA LUCE D’INVERNO - NATURALE E SOPRANNATURALE.
Al di là degli equivoci e della cecità delle varie gerarchie religiose
RIPENSARE L’ EUROPA!!!
CHE COSA SIGNIFICA ESSERE (...)

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> LO SPIRITO DELL’ EUROPA. ---- Oggi sappiamo che la divisione degli uomini in "razze" non è giustificata e che la "purezza genetica" nella realtà non esiste. Ma sappiamo anche che sull’incontro tra "diversi" si fonda la forza della vita e della cultura e sono state modellate le più grandi civiltà (di Luca e Francesco Cavalli-Sforza- e di Massimo Livi Bacci).

domenica 16 novembre 2008

Nella storia di Obama il vigore degli ibridi

Oggi sappiamo che la divisione degli uomini in "razze" non è giustificata e che la "purezza genetica" nella realtà non esiste. Ma sappiamo anche che sull’incontro tra "diversi" si fonda la forza della vita e della cultura e sono state modellate le più grandi civiltà

di Luca e Francesco Cavalli-Sforza (la Repubblica, 16.11.2008)

Ciò che ci dà più speranza nell’elezione di Barack Obama è che questo grande Paese, che più di mezzo secolo fa ci ha liberato da Hitler, sia anche riuscito a cancellare una delle sue vergogne più gravi: il secolare sfruttamento e disprezzo dei neri. Solo quarant’anni fa negli Stati Uniti la legge ha riconosciuto e imposto la parità di diritti civili. Da noi è prevista dalla Costituzione: eppure, lo immaginate qui un presidente di origine senegalese o keniota, pronipote di uno schiavo?

Resta naturalmente il terribile pericolo che uno dei tanti matti sfrutti un’altra debolezza del sistema americano: l’antica quanto ferrea convinzione dei pionieri che il cittadino debba essere libero di procurarsi qualunque arma ritenga necessaria. La sopravvivenza di questo costume, che mantiene pazzescamente elevata la frequenza di omicidi negli Usa, ha dato occasione a diversi maniaci di uccidere, nel secolo scorso, politici e militanti molto simili a Obama per colore, progetto politico e fascino.

Questa elezione porta anche a riflettere su un fatto importante: Obama è un "ibrido", è cioè il risultato di un incrocio fra due "razze" diverse, un meticcio. Fra gli aristocratici, quando la nobiltà era "di sangue", si diceva anche "bastardo", parola poi diventata un insulto generico.

Oggi sappiamo che la divisione della specie umana in razze non è giustificata. La prova più semplice è che chi vuole farlo non riesce a mettersi d’accordo: le classificazioni vanno da due a trecento razze. Darwin lo aveva già notato, e ne aveva indicato il motivo: la variazione che si osserva da una "razza" all’altra è praticamente continua, oltre che molto piccola. Questo non è vero per gli animali e le piante domestiche, in cui l’identità e la "purezza" genetica di una linea prodotta artificialmente hanno anche, spesso a ragione, un valore economico. Proprio in campo applicato, però, si è scoperto quasi un secolo fa che l’ibrido, anziché soffrire di uno svantaggio, ha maggiore vitalità e valore economico rispetto alle "linee pure" o "razze pure" che sono state incrociate per produrlo.

La "purezza genetica" nella realtà non esiste, con eccezioni molto speciali. Se con "purezza" si intendono individui tutti geneticamente identici fra loro, la si può produrre a volontà solo in specie capaci di riprodursi per via asessuata, come è vero di molte piante e di qualche animale, ma non dell’Uomo, dove solo i gemelli identici sono geneticamente uguali: per il resto, la diversità genetica fra individui di una stessa popolazione, qualunque essa sia, è molto più grande di quella fra due qualsiasi popolazioni del mondo.

Il "vigore degli ibridi", come è chiamato, si nota in varia misura per molti caratteri studiati. La prima specie in cui lo si è scoperto è stato il granoturco: quello che si coltiva oggi è praticamente tutto ibrido. Il contadino è costretto a comprare ogni anno il seme e non può tenerlo da parte da un anno all’altro, ma ne ha chiaramente la convenienza. La pratica di produrre ibridi per uso commerciale è stata poi estesa a parecchie altre piante ed animali.

E nell’Uomo? In passato, il "divino" sangue reale non si doveva diluire: la pratica di sposarsi fra regnanti imparentati diffuse nelle famiglie reali europee alcune malattie ereditarie, come l’emofilia. Nell’antico Egitto e in altri reami vicini si affermò in più dinastie, nella speranza di perpetuare caratteri desiderabili, l’usanza di sposare fratello e sorella. È una pratica che provoca un’elevata incidenza di malattie ereditarie tra i figli, un aumento della mortalità e una diminuzione di fecondità che alla fine estinguono la "linea pura" che si formerebbe continuando così per parecchie generazioni. Non sorprendentemente, queste dinastie non durarono a lungo.

Oggi in più parti del mondo il matrimonio fra parenti molto stretti non è ammesso; però in altre, non meno numerose, le unioni fra consanguinei (anche cugini primi) raggiungono il cinquanta per cento di tutti i matrimoni. Anche questo diminuisce la fecondità e aumenta la mortalità, ma in misura assai più modesta. Qui però la vera ragione non è il desiderio di aumentare la purezza genetica, ma quello di non disperdere il capitale di famiglia.

È molto probabile che il "vigore degli ibridi" valga anche per l’uomo, almeno sul piano genetico. Il meticcio può avere uno svantaggio sociale, se il suo ibridismo viene riconosciuto, e quello fra popolazioni che provengono da continenti lontani è difficile da nascondere. Soprattutto là dove l’immigrazione da paesi distanti è rara, i tipi fisici insoliti si notano di più, e l’individuo "diverso" all’aspetto può colpire sfavorevolmente chi non vi è abituato. Ne nasce diffidenza, se non timore, dettato dall’ignoranza o da pregiudizi fuorvianti su quel che ci si può attendere da una persona superficialmente un po’ "diversa" da noi.

Un’ipotesi difficile da controllare, ma interessante da tenere presente, è che l’eccellenza intellettuale e spirituale dimostrata da Obama nella sua lunga e combattuta campagna presidenziale possa essere dovuta a "vigore degli ibridi". Non è il primo caso di uomo politico, meticcio di origine, eccezionalmente dotato. Martin Luther King è un esempio molto simile. Nelson Mandela, cui si deve una svolta storica in Africa del Sud, è un ibrido fra due "razze" africane parecchio diverse, entrambe nere, che entrambe godono di poca stima fra i razzisti (anche quelli africani, che pure sono numerosi). In Sud Africa vi sono due sole popolazioni antichissime, lì stanziate da decine di migliaia di anni: i Boscimani e gli Ottentotti (i loro veri nomi sono San e Khoi-Khoi). Mandela dev’essere per metà circa di origine ottentotta, e per il resto bantù, una popolazione che giunse in Sud Africa molto tardi,al termine di una lunga espansione, poche centinaia di anni fa.

Il vigore degli ibridi è dovuto a un fenomeno genetico chiamato "vantaggio degli eterozigoti": un’espressione tecnica che ha lo stesso significato, ma riferito alle singole unità di dna. Per comprendere di cosa si tratta risaliamo a Mendel, lo scopritore delle leggi dell’eredità biologica (1865), che eseguì decine di migliaia di incroci tra "linee pure" di piselli, studiando separatamente caratteri ben visibili e costanti, che non mostravano variazione tra individui della stessa linea, per esempio il colore e la forma dei semi o dei fiori, l’altezza del fusto e così via. Vide che nell’incrocio fra linee diverse compare nella prima generazione di solito soltanto il carattere di uno dei due genitori, per cui tutti gli ibridi di prima generazione sono eguali fra loro e eguali a uno solo dei due genitori. Cioè, se uno dei genitori ha fusto alto e l’altro ha fusto nano, tutti gli ibridi hanno fusto alto, ma il carattere fusto nano non è affatto scomparso e ricompare in proporzioni precise nei successivi discendenti, mostrando chiaramente che entrambi i genitori danno sempre un pari contributo ereditario ai figli.

Oggi chiamiamo dna il patrimonio ereditario, e sappiamo che è molto ricco nell’Uomo: ogni genitore contribuisce circa 3,3 miliardi di unità di dna, dette nucleotidi. I caratteri del tipo studiato da Mendel sono di solito prodotti da differenze, fra i due genitori dell’ibrido, in uno solo dei nucleotidi. Il carattere che Mendel chiamò "dominante" perché compare negli ibridi della prima generazione (il fusto alto rispetto a quello nano, per esempio) è sovente più utile all’organismo di quello dominato (che i genetisti chiamano "recessivo", cioè "che si nasconde").

Nella nostra specie, al livello che osserviamo nella vita quotidiana, la fisionomia esterna dell’individuo e parecchi aspetti del suo carattere sono almeno in parte controllati dal dna. In un ibrido fra individui di popolazioni molto lontane il dna dei genitori mostrerà un maggior numero di differenze tra i dna che riceve da padre e madre, rispetto a un individuo i cui genitori sono nati in luoghi vicini. Questo può donare un vantaggio all’ibrido, portando più corde al suo arco: per esempio, una migliore resistenza a un maggior numero di malattie, perché la dominanza fa sì che non sia necessario ricevere da entrambi i genitori il tipo di nucleotide che ci protegge contro una certa malattia, infettiva o meno. Basta riceverlo da uno dei due. Lo stesso ragionamento si può applicare a numerose altre caratteristiche ereditarie, anche di comportamento, compresa la capacità di imparare. L’ibrido può avere insomma un maggior numero di doti, per esempio può essere più adattabile a condizioni ambientali diverse ed eccellere in più capacità.

I politici hanno particolare bisogno di saper lavorare in molte diverse direzioni, data la complessità del loro compito, che richiede di essere buoni oratori, diplomatici, capaci di rispondere rapidamente in situazioni difficili e a persone difficili, di saper analizzare e valutare con buonsenso problemi complessi in campi molto diversi. All’opposto invece un artista, un letterato, un matematico, un musicista, un ingegnere, un industriale hanno bisogno di doti ben sviluppate in una o poche direzioni altamente specializzate.

Ai vantaggi genetici dell’ibrido Obama se ne devono aggiungere anche altri, non genetici, che però hanno un effetto simile: il vantaggio di essere cresciuto in più culture, in ambienti sociali e geografici lontani fra loro - Hawaii, Indonesia, Stati Uniti - ricevendone esperienze e insegnamenti assai diversi. Di avere conosciuto le vite dei neri, dei bianchi, dei meticci, dei ricchi e dei poveri. La sua condizione di ibrido potrebbe forse renderlo più capace della media di ascoltare voci disparate e di parlare a tutti, come la campagna elettorale ha dimostrato. Di avere la visione di un bene comune, fatto di lavoro, istruzione, democrazia e dignità per tutti.

A differenza, in questo, da quei politici bianchi, spesso cresciuti nelle migliori università e nei circoli del potere, che non vedono al di là di ciò che occorre dire a coloro da cui sperano il voto. È forte la tentazione di ipotizzare che il vigore degli ibridi e la varietà delle sue esperienze abbiano contribuito allo sviluppo intellettuale e morale di Obama. Se la diversità è la forza della vita, e il vigore degli ibridi deriva dall’incontro di stirpi diverse, la diversità è anche la forza della cultura e è stata l’humus delle maggiori civiltà. Le sfide che attendono il nuovo presidente degli Stati Uniti sono immani: è incoraggiante pensare che le sue origini e la sua storia lo abbiano attrezzato per affrontarle.


La nazione meticcia così gli immigrati ci cambieranno

di Massimo Livi Bacci (la Repubblica, 16.11.2008)

Ci sono prerogative naturali proprie di ciascun individuo che esistono da che mondo è mondo. Spostarsi, scegliere un partner, riprodursi. Spostarsi in cerca di contesti di vita più convenienti: habitat, clima, cibo, relazioni. La scelta del partner e la riproduzione, per vivere e trasmettere la vita. Prerogative che le società hanno condizionato in vario modo, imponendo regole e comportamenti, ma che non possono essere negate o costrette se non alterando i principi naturali della convivenza. Da queste originano le migrazioni e le unioni "miste" tra persone portatrici di caratteristiche diverse, che generano figli nei quali questi tratti confluiscono e si mischiano.

L’umanità si è formata, plasmata, sparsa e articolata sul pianeta, per la forza di questi processi, ora vorticosi, ora più lenti. Ma quanto "diverse" debbono essere le caratteristiche dei partner perché si abbia una mescolanza, un’ibridazione? Questa diversità è senza dubbio una "distanza" fisica (colore della pelle, degli occhi, dei capelli, statura, altre caratteristiche somatiche) ma è anche una "distanza" culturale e sociale (lingua, religione, nazione) che cambia nel tempo e nella storia. Distanze incolmabili in un’epoca si accorciano in un’altra, e viceversa. Così il grado di mescolanza di una società è difficile da definirsi perché il metro che la misura cambia nel tempo.

Siamo ancora lontani dalle cifre degli Stati Uniti, dove tra una generazione la somma delle minoranze sarà la maggioranza della popolazione. Ma anche da noi - oggi è tra coppie miste un matrimonio su dieci e da coppie miste una nascita su otto - una parte importante del futuro si costruirà sui bambini "extraitaliani"

Si usa contrapporre un’America molto mescolata a un’Europa, e un’Italia, assai più omogenee. L’elezione di Barack Obama rappresenta il pretesto mediatico per contrapporre due civiltà, una dinamica e mescolata, l’altra più stagnante e rinchiusa: ma questa rappresentazione rischia di sconfinare in un biologismo deteriore. Tutta l’America - dall’Alaska alla Patagonia, composta da società dinamiche e società stagnanti - è il risultato di un gigantesco processo di mescolanza iniziato con il tremendo shock della Conquista, con la catastrofe degli indios, con il trasporto forzato di dieci milioni di schiavi africani, con l’immigrazione degli europei, con le mescolanze (spesso forzate) tra padroni e schiavi. Negli Stati Uniti questo processo di ibridazione ha avuto un’accelerazione nell’ultimo mezzo secolo, con la rottura della segregazione dei neri e la nuova immigrazione di ispanici e asiatici: minorities numeriche che tra una generazione diventeranno majority secondo le valutazioni recentissime del Bureau of the Census.

In Europa questi processi hanno avuto una storia assai diversa. Prima dell’età moderna l’Europa è un continente aperto che riceve ondate di immigrazione per la via d’accesso del Mediterraneo e attraverso le steppe tra gli Urali e il Mar Caspio, la grande porta orientale. A partire dalle grandi esplorazioni atlantiche, l’Europa cessa di essere meta di immigrazioni e diventa prevalentemente esportatrice di donne e di uomini. Fin verso la metà del secolo scorso, i non rari tratti mongolici tra i nostri compatrioti non erano dovuti a mescolanze recenti, ma alle unioni illegittime di mercanti e signori, veneziani, fiorentini o genovesi, con schiave tratte dall’Oriente. Il fondamentale atlante antropometrico di Ridolfo Livi (pubblicato nel 1896), basato sulle caratteristiche dei coscritti rilevati alla visita di leva, mostrava inequivocabilmente la permanenza di caratteristiche somatiche (occhi chiari, capelli biondi) derivate dall’immigrazione normanna in alcune aree isolate del Sud. Tuttavia, fino alla metà del secolo scorso - prima che la decolonizzazione riportasse in Europa africani, berberi e arabi, assieme ad antillani, indiani o indocinesi - il nostro continente e l’Italia avevano conservato il loro patrimonio umano quasi intatto da influenze extraeuropee, che millenni di immigrazioni e mescolanze avevano contribuito a formare prima dell’età moderna.

Negli ultimi cinquanta anni il corso della storia è cambiato nuovamente. Dopo mezzo millennio, l’Europa ha cessato di esportare risorse umane e ha iniziato a importarne. Consistenti flussi di immigrazione sono affluiti prima dalle ex colonie, poi dalle più varie provenienze man mano che la globalizzazione si è rafforzata. Nel mezzo miliardo di persone che conta l’Unione Europea, gli stranieri non europei sono un numero imprecisato, tra i venti e i venticinque milioni. In Italia gli stranieri superano abbondantemente i quattro milioni, contando anche la numerosa comunità rumena. Si tratta di una collettività in forte crescita (anche se la crisi ne rallenterà temporaneamente il ritmo) per ragioni demografiche ed economiche, che determinerà una nuova fase di mescolanza e ibridazione della nostra popolazione.

Si tratta di un processo complesso, nel quale si debbono distinguere due modalità nettamente diverse. La prima, la più visibile e immediata, consiste nel formarsi e nel crescere delle varie comunità legate dall’origine nazionale, dalla religione, dalla lingua: rumena, marocchina, cinese, albanese, filippina o ecuadoriana. Queste comunità potrebbero perdere gradualmente la loro caratteristica nazionale con il conseguimento della cittadinanza italiana. È un processo non agevole date le regole nel nostro sistema giuridico, ma destinato ad accelerare con l’aumento delle nascite da cittadini stranieri, e soprattutto qualora lo jus soli sostituisse lo jus sanguinis. Tuttavia queste comunità potrebbero restare nettamente separate e "segregate" di fatto, qualora rimanessero strettamente endogamiche. Come è avvenuto negli Stati Uniti, per gli afro-americani, fino a tempi recenti. Oppure per le comunità degli Amish e degli Hutteriti, gruppi riformati emigrati dall’Europa centrale, e rimasti chiusi ed autonomi per secoli.

Tuttavia è dubbio che nel contesto delle società occidentali queste separazioni e distanze possano durare a lungo, senza essere gradualmente erose dalla contiguità, da una vita sociale comune nelle scuole, nei luoghi di lavoro, di culto, di svago. È però vero che la velocità con cui questi processi di mescolanza reale avverranno - l’indice più rappresentativo è la frequenza dei matrimoni misti - sarà determinato dal vigore delle politiche d’integrazione. Le mescolanze saranno tanto più frequenti quanto più verrà perseguita una politica di insediamento abitativo diffuso e non segregato. Se si rafforzeranno le esperienze educative comuni. Se verrà favorita l’ascesa sociale delle seconde generazioni di immigrati e si combatterà il formarsi di una classe subalterna. Se si opererà in modo che le disuguaglianze tra gruppi immigrati e autoctoni si indeboliscano. Nel 2004 i matrimoni misti (per nazionalità, tra italiani e stranieri) furono il nove per cento del totale (per i quattro quinti si tratta di uomini italiani che sposano una donna straniera), tuttavia quasi due terzi degli sposi e spose stranieri erano europei, appena il cinque per cento asiatici, il dodici per cento africani (in prevalenza Nord Africa) e un residuo venti per cento americani del centro e del sud del continente. Sui loro figli - una nascita su otto proviene da coppie miste - si costruirà una parte importante del nostro futuro.


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