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EVANGELO E COSTITUZIONE ITALIANA ED EUROPEA. "DIO NON E’ CATTOLICO" (Carlo Maria Martini, Conversazioni notturne a Gerusalemme).

BENEDETTO XVI E IL MAGISTERO DELL’"ICTUS", DEL COLPO MORTALE ALLA CHIESA E ALL’ITALIA. IL "PESCE" ("ICHTHUS") - SENZA ACCA - PUZZA DALLA TESTA, E GIA’ TUTTO IL CORPO GERARCHICO E’ ORMAI "MARCIO"!!! Il teologo Ratzinger, dopo aver tolto la "h" dalla "Charitas" (Amore), ha precisato: "Gesù di Nazaret" si scrive "senza acca". Note - di Federico La Sala

venerdì 5 dicembre 2008 di Federico La Sala
"CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE...
DEUS CHARITAS EST" (1Gv., 4. 1-16). *
CARISSIMI, NON PRESTATE FEDE A OGNI SPIRITO ...
DIO E’ AMORE (1 Gv., 4. 1-16)

(per leggere gli art. seguenti, cliccare sul rosso)
Il libro s’intitola Gesù di Nazaret, che, precisa il Pontefice, si scrive senza acca.
SINODO DEI VESCOVI 2008
TUTTO A "CARO-PREZZO": QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". IL VANGELO DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI (...)

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> BENEDETTO XVI E IL MAGISTERO DELL’"ICTUS" ---- GIOVENALE CONTRO IL PONTEFICE MASSIMO E LA SUA EMPIA PRETESA DI AVERE UN POTERE PARI A DIO (di Ilaria Ramelli - Giovenale: una satira «dalla parte dei cristiani»)

martedì 16 marzo 2010

Giovenale: una satira «dalla parte dei cristiani»

Lo scrittore si scaglia contro il persecutore Domiziano, segno che gli intellettuali latini stimavano la nuova fede

di Ilaria Ramelli (Avvenire, 16.03.2010)

Nella Satira IV, che probabilmente allude al supplizio di san Giovanni a Roma (come dicevamo la scorsa settimana), Domiziano è designato da Giovenale come Pontefice massimo ( «pontifici summo», v. 45). Questa caratterizzazione come supremo custode della religione pagana si adatta perfettamente alla condanna di Giovanni, responsabile di una colpa religiosa in quanto esponente di una superstitio illicita.

Che Giovenale alluda al supplizio di Giovanni in questa satira è suggerito anche dal fatto che tutto il contesto della satira in cui è inserita la condanna del «pesce» sembra ricco di riferimenti alla persecuzione domizianea contro i cristiani. Giovenale designa Domiziano anche come «calvo Nerone» (v. 38), collegando Domiziano all’altro precedente persecutore dei cristiani, Nerone appunto, come farà Tertulliano chiamando Domiziano dimidius Nero («mezzo Nerone» ).

Domiziano è aspramente criticato da Giovenale per la sua empia pretesa di avere una dis aequa potestas («un potere pari agli dei», vv. 70-71) e, soprattutto, l’accusa all’imperatore è motivata dalla condanna a morte di Acilio Glabrione, il quale era con ogni probabilità un cristiano ( vv. 94- 102).

Inoltre, un altro passo importante rivela che l’intero contesto della satira evoca in vari punti Domiziano anche come persecutore dei cristiani: è l’osservazione conclusiva di Giovenale che aiuta a comprendere ancor meglio la chiave di lettura dell’intera satira: Domiziano cadde solo quando spaventò la plebe, i cerdones del v. 153, dietro a cui è stata intravista un’allusione ai cristiani.

In effetti alla congiura di Sigerio e Partenio, che fu fatale a Domiziano, secondo Svetonio prese parte anche uno schiavo della famiglia di Clemente, Stefano, procuratore di Domitilla. Dice Filostrato che egli volle vendicare in tal modo l’uccisione di Clemente, decisa da Domiziano suo parente: anche se non risulta che Stefano fosse cristiano, nondimeno si seppe - e lo seppe anche Giovenale - che un membro della familia del cristiano Clemente aveva partecipato all’assassinio del persecutore Domiziano, con l’espresso intento di vendicare il suo padrone, che era stato messo a morte da Domiziano proprio perché cristiano.

L’interesse di Giovenale per il supplizio di Giovanni, dunque, si inscriverebbe perfettamente in una satira che mira a denunciare la politica, soprattutto religiosa, di un imperatore che si era fatto pari agli dèi ( con una « dis aequa potestas » ) e nella quale il tema di Domiziano persecutore dei cristiani sembra costituire un motivo portante. Tale interesse si situa in un contesto storico in cui il fatto cristiano, in età neroniana e in età domizianea, sembra aver destato l’attenzione degli intellettuali pagani più di quanto comunemente non si supponga.

Certo, l’atteggiamento di Giovenale verso i cristiani quale emerge dalla satira IV non è di indistinta simpatia: egli ammira certamente Acilio Glabrione e coloro che sanno opporsi al tiranno professando ad alta voce le loro convinzioni e dando la vita per la verità («verba animi proferre et vitam inpendere vero», v. 91), ma rivela una sfumatura di disprezzo verso i cerdones del v. 153: come Tacito, che ha rispetto per Pomponia Grecina (Annales, XII 32) e che mostra pietà verso i cristiani condannati ingiustamente nel 64, ma che li disprezza ricordandone i presunti flagitia (Annales, XV 44), Giovenale sembra nutrire stima per gli aristocratici cristiani che si erano opposti al tiranno, ma pare anche mostrare uno sdegnoso distacco verso la massa dei cristiani, appunto i cerdones.


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