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PLATONISMO PER IL POPOLO, CATTOLICESIMO: UN PASTORE E IL SUO GREGGE. Giovanni Gentile, Il filosofo del "cattolicesimo" fascista...

HEIDEGGER, IL FILOSOFO DEL "CATTOLICESIMO" NAZISTA, CERCA L’USCITA DALLA CAVERNA HITLERIANA. Pubblicate le lezioni su "logica e linguaggio" del 1934. Una nota di Armando Torno - a cura di Federico La Sala

(...) aiutano a capire cosa cambiava in lui e in quali scenari si collocherà il suo pensiero. Dopo un anno di nazismo militante
domenica 14 dicembre 2008 di Federico La Sala
[...] L’editore Marinotti, che nel 2007 aveva pubblicato di Heidegger l’Avviamento alla filosofia,
ha reso un notevole servizio ai chiarimenti in corso.
Li ricorda lo stesso Günter Seubold, dopo aver sottolineato il ruolo di pietra miliare di queste lezioni del 1934, che segnano il passaggio dalla fase ontologica fondamentale a quella della storia dell’essere: «Sono importanti per una sufficiente comprensione della situazione di Heidegger all’Università subito dopo l’abbandono della (...)

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> HEIDEGGER ... CERCA L’USCITA DALLA CAVERNA HITLERIANA. --- Nelle lezioni del ‘33 il filosofo avviò lo strappo da Hitler (di Armando Torno). - L’attacco al nazista Kolbenheyer (di Martin Heidegger).

sabato 16 aprile 2011

Nelle lezioni del ‘33 il filosofo avviò lo strappo da Hitler

di Armando Torno (Corriere della Sera, 16.04.2011)

Martin Heidegger cominciò presto a porsi domande sulla verità. In Essere e tempo - la prima edizione è del 1927 - si trovano le questioni di fondo della sua ricerca, in particolare egli fissava le coordinate per ristabilire il luogo ontologico nel quale la verità si costituisce. Notò, tra l’altro, che essa «deve avere pure qualcosa di valido se perdura» .

Poi, nell’autunno-inverno 1930, terrà a Brema, Marburgo e Friburgo, e la ripeterà nell’estate del 1932 a Dresda, la conferenza L’essenza della verità, la medesima che sarà pubblicata soltanto nel 1943 e poi inclusa nell’opera Segnavia (tradotta da Adelphi nel 1987).

Quel che si legge in questo breve testo è indispensabile per comprendere il corso universitario che il filosofo svolgerà a Friburgo nel semestre invernale 1931-32: le lezioni, dal 27 ottobre 1931 al successivo 26 febbraio, avevano come titolo L’essenza della verità (tradotte da Franco Volpi per Adelphi nel 1997).

Dopo l’incarico a Hitler del 30 gennaio 1933, Heidegger è coinvolto nel nuovo clima e in marzo entra nella Comunità di lavoro politico-culturale dei docenti universitari, il 3 aprile in una lettera a Jaspers ribadisce la sua volontà di agire, il 3 maggio è tesserato (con la data del giorno 1) nel Partito nazionalsocialista, il 27 si celebra la sua nomina a rettore dell’Università di Friburgo.

Il 30 giugno ad Heidelberg tiene la conferenza L’università nel nuovo Reich e Jaspers nella sua Autobiografia nota: «... anch’egli preso da quella ubriacatura...» . Il 3 novembre sul Bollettino universitario viene pubblicato il discorso d’inaugurazione del semestre nel quale Heidegger indica Hitler come punto di riferimento e l’ 11, a Lipsia, ribadisce le sue posizioni. -, ma in quei mesi sta accadendo qualcosa nella mente del filosofo.

Nel semestre estivo del 1933 tiene un corso dal titolo Die Grundfrage der Philosophie, ovvero L’interroganza di fondo della filosofia. All’inizio la questione posta è sulla «nobiltà dell’istante geniturale» ; poi esamina, tra l’altro, le posizioni di Hegel, Kant, Descartes, Wolff, Baumgarten. Nell’ultima pagina si legge: «Il popolo tedesco non appartiene a quei popoli che hanno perso la loro metafisica» .

Quel qualcosa che dicevamo prende forma nel corso del semestre invernale 1933-34, che ha come titolo Vom Wesen der Wahrheit, cioè Dello stanziarsi della verità. Già nel primo capitolo della parte prima, Heidegger invita a riflettere sulla «liberazione dell’uomo verso la luce d’origine» ma anche sulla condizione di chi si trova «nella caverna» , chiamando in causa quanto Platone scrive nel VII libro della Repubblica, quell’allegoria che immagina uomini incatenati in un antro e in grado di vedere sul fondo soltanto le ombre degli oggetti che scorrono davanti all’ingresso. Sono pagine densissime, che esaminano il bene, la libertà; soprattutto offrono riflessioni formidabili sulla verità.

Ora, sia il corso del semestre estivo 1933 che quello invernale ricordato, vedono la luce in italiano con il titolo Che cos’è la verità? (da lunedì in libreria per Christian Marinotti Edizioni, pp. 336, e 30). Tradotti da Carlo Götz, tali scritti ebbero la prima edizione tedesca nel 2001 a cura di Hartmut Tietjen. In questa pagina anticipiamo uno stralcio che nel testo è posto in corsivo e reca il titolo A proposito del 30 gennaio 1933. È un attacco a Erwin Guido Kolbenheyer (1878-1962), scrittore o «filosofo popolare» che dir si voglia, molto letto e apprezzato nel Terzo Reich, dal 1933 funzionario culturale dell’Accademia prussiana delle arti. Heidegger è ancora rettore - rassegnerà le dimissioni alla fine di questo semestre invernale -, ma lo strappo è già avvenuto. E le sue parole, qui date in anteprima, ne sono la prova.


«Evoluzionismo, una visione cieca della vita umana»

L’attacco al nazista Kolbenheyer

di Martin Heidegger (Corriere della Sera, 16.04.2011)

Ogni epoca e ogni popolo hanno la loro caverna e gli annessi abitanti della caverna. Anche noi oggi. E un caso esemplare di un odierno abitante della caverna, con il suo annesso plaudente seguito, è ad esempio il filosofo popolare e politico della cultura Kolbenheyer, che ieri si è esibito qui. Non mi riferisco al poeta Kolbenheyer, di cui ammiriamo il Paracelsus. Egli è vincolato alle ombre e le considera l’unica concretezza e l’unico mondo determinante; cioè pensa e parla nello schema di una biologia che ha conosciuto trent’anni fa- in un tempo in cui era di moda produrre visioni del mondo biologiche, cfr. Bölsche e i libri sul cosmo.

Kolbenheyer non vede, non è capace di vedere e non vuole vedere:
-  1. che quella biologia del 1900 si fonda sull’impostazione di fondo del darwinismo e che questa dottrina darwinistica della vita non è qualcosa di assoluto, e nemmeno di biologico; piuttosto essa è determinata genituralmente dalla concezione liberale dell’uomo e della società umana, che dominava nel positivismo inglese nel secolo XIX;
-  2. che la sua biologia del plasma e della struttura cellulare e dell’organismo è radicalmente superata e che oggi viene alla luce una formulazione interamente nuova, fondamentalmente più profonda, della questione concernente la «vita» .- Scardinamento del concetto di organismo, che è soltanto una propaggine dell’«Idealismo» , soggetto singolare, «Io» , e soggetto biologico. Tempra di fondo: relazione con l’ambiente, e questa non è una conseguenza dell’adattamento, bensì al contrario la condizione d’attendibilità per esso;
-  3. che, sebbene la costitutiva determinazione della vita sia più originaria e più appropriata di quella del secolo XIX, anche in questo caso la vita (modo d’essere di pianta e animale) non costituisce la sovrana sfera d’integrità della concretezza;
-  4. che, sebbene, in una certa forma, la vita umano-fisica sia il fondo portante dell’umano essere e della sua successione di generazioni raccolte in stirpi, con ciò non è ancora provato che il fondo portante debba e anche soltanto possa essere anche il fondo determinante (...).
-  5. In fondo questo modo di pensare non si differenzia in niente dalla psicoanalisi di Freud e dalle sue consorterie. In fondo nemmeno dal marxismo, che prende il tratto genitural-spirituale come funzione del processo di produzione economico (...).
-  6. Sulla base della cecità di questo biologismo rispetto alla geniturale ed esistenziale concretezza di fondo dell’uomo o di un popolo, Kolbenheyer è incapace di vedere genuinamente e di comprendere l’odierna concretezza politico-geniturale tedesca; infatti, nella conferenza non ve ne è traccia - al contrario: la rivoluzione è stata falsificata come mera azienda organizzativa.
-  7. Qui monta il tipico atteggiamento di un borghese reazionario nazionale e popolaresco. Per quest’ultimo la «politica» è un’ignobile, fatale sfera che si lascia nelle mani di certe persone, che poi per esempio fanno la rivoluzione. Il borghese aspetta finché questo processo è finito perché arrivi nuovamente il suo turno; qui con il compito di fornire infine, ex post, lo spirito alla rivoluzione. Naturalmente per questa tattica ci si appella ad un motto del Führer: finita la rivoluzione, inizia l’evoluzione. Suvvia - non indugiamo in falsificazioni. Evoluzione - certamente, ma appunto dove la rivoluzione è finita.


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