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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). ..... Una nuova biografia del più grande e misterioso bardo di tutti i tempi.

venerdì 5 settembre 2008

Una nuova biografia del più grande e misterioso bardo di tutti i tempi

Libri, l’enigma Shakespeare e altre vite straordinarie

di DARIO OLIVERO *

W. S.

Gli studiosi di Shakespeare hanno contato e registrato ogni inezia delle sue opere. Sono riusciti a dirci che contengono 138.198 virgole, 26.794 due punti e 15.785 punti di domanda; che nei lavori teatrali si parla 401 volte di orecchie; che l’espressione dunghill, mucchio di letame, viene usata dieci volte, mentre dullard, babbeo, ricorre due volte; che i suoi personaggi menzionano l’amore 2.259 e l’odio 183, la parola dannato compare 105 volte, maledetto 226. In tutto il Bardo ci ha lasciato 884.647 parole per 31.959 battute e 118.406 versi. Niente male. Se non fosse che del più studiato poeta di tutti i tempi non si conosce quasi nient’altro.

Pochissimo della giovinezza (una multa presa dal padre e accenni alla sua carriera di funzionario pubblico), nulla della donna che sposò e ancora meno di nulla di quando arrivò a Londra e nel giro di un decennio divenne il più grande di tutti. Così è andata a finire che gli studiosi più o meno onestamente hanno cercato di riempire quel buco troppo imbarazzante. Uno dei più laici è Bill Bryson che nel suo Il mondo è un teatro. La vita e l’epoca di William Shakespeare (tr. it. S. Bortolussi, Guanda, 15 euro) almeno dichiara fin da subito che i fatti noti sono quelli che sono e che tutto il resto è già grasso che cola se ha almeno una parvenza di plausibilità. In compenso si naviga attraverso Elisabetta e Giacomo, cattolici e puritani, congiura della polveri (ordita da un lontano parente di William), conciatori, appestati, teatri sul Tamigi, teatranti invidiosi e scomparsi e giganti come Marlowe e Ben Jonson, l’incendio e la ricostruzione del Globe, i sonetti per il grande amore gay.

In appendice, anche se l’autore inorridisce all’idea, un onesto elenco della cosiddetta scuola antistratfordiana, cioè la teoria di quelli (tra loro Sigmund Freud, Mark Twain, Henry James e Orson Welles, mica gli ultimi arrivati) che pensano che il grande S. non sia mai esistito se non come nom de plume di Bacone, Marlowe, il conte di Oxford, la stessa Elisabetta e così via.

* la Repubblica, 4 settembre 2008 (ripresa parziale).


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