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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

giovedì 12 aprile 2007

NORBERTO BOBBIO.

Il pensatore negli ultimi tempi affrontò con serietà i temi religiosi, dalla morte alla vita ultraterrena: una conversazione inedita

Il filosofo e l’aldilà

«Ci vedemmo nella sua abitazione torinese. Alla parete del piccolo salotto era appesa una stampa con Cristo alla colonna»«Da poco aveva perso la moglie e mi disse: "Grazie a Valeria ho capito che l’amore è più forte della morte"»

di Vittorio Possenti (Avvenire, 12.04.2007)

Norberto Bobbio fu un corrispondente straordinario. Ripercorrendo le sue lettere dal 1975 in avanti, indirizzate ad una persona di tanto più giovane e allora mai incontrata, non posso tacere la meraviglia per la loro puntualità e sostanza. Più avanti cominciarono incontri diretti. Dopo due interventi chirurgici, susseguitisi a breve distanza, andai a trovarlo nella sua casa torinese di via Sacchi, vicinissima a quella dove avevo abitato da ragazzo: era il 1992.

Parlammo a lungo, con pause perché Bobbio si affaticava, di diritto naturale, di razionalismo, del problema del male, una questione che lo travagliava senza risposta e su cui è stato in continua ricerca. Me ne scrisse pochi giorni dopo, a valle della lettura di una mia controversia con Hans Albert, dove si tocca anche il tema del male. Risposi alle sue domande, come sempre chiare e pungenti, su Dio, il cristianesimo, il male e il dolore, ed è l’unica mia lettera di cui conservi il testo. Vi era in Bobbio una zona profonda della coscienza dove risuonavano i più alti interrogativi dell’esistenza, dove proseguiva la sua tormentata e talvolta amara ricerca, e su cui un naturale riserbo stendeva un velo, non però così spesso che qualcosa non ne tralucesse.

Ritornai varie volte in via Sacchi, talvolta anche con mia moglie Nora; negli ultimi tempi prendeva parte silenziosa ai nostri colloqui la moglie Valeria. La sua morte nel 2001 fu colpo decisivo: da quel giorno Bobbio iniziò a morire. Ma fu anche l’occasione della sua ’dichiarazione di fede’, fede nell’amore che in qualche modo quieta l’angoscia del dolore. Visitandolo nel settembre 2001 con Nora dopo la scomparsa della sposa, ascoltammo commossi il racconto del suo amore per Valeria che sentiva costantemente viva e presente in lui, e che portava nel cuore. Confido di non venire meno al dovuto riserbo dicendo che nel colloquio Nora ed io abbiamo ascoltato da Bobbio le cose forse più intense e belle da lui mai pronunciate.

Aspettiamo in un piccolo salotto; appesa alla parete vi è una stampa con Cristo alla colonna. Il dottor Polito, che gli fa da segretario da numerosi anni, ci fa entrare nello studiolo che è stato di Valeria e dove, dice, «il Professore si è arroccato». E’ seduto su una sedia, molto invecchiato, molto stanco. Si esprime in tono basso, quasi parlasse a se stesso e con lo sguardo abbassato, con lunghi silenzi, ripetendo e riprendendo più volte alcune frasi: la vecchiaia (è vicino ai 92 anni), il suo peso nonostante non abbia malattie gravi, la stanchezza fisica e psichica che lo attanaglia.

Parlava e ricordava Valeria: rimanemmo commossi ascoltando dalla bocca di un uomo cui l’età aveva addolcito ma non spento una certa asperità di temperamento e che si è sempre tenacemente dichiarato un inguaribile pessimista, la potenza evocativa, la dolcezza, la freschezza, la forza con cui esprimeva il suo amore per Valeria, portata costantemente come vivente nel suo cuore. Noto alcune frasi, sebbene non ne ricordi l’ordine con cui vennero pronunciate: «E’ stato un amore purissimo, delicatissimo, dolcissimo». Si conobbero in montagna, a sciare. Valeria aveva 18 anni, lui 26. Lo colpì la sua purezza, la sua schiettezza. «Con Valeria, per Valeria, attraverso Valeria ho capito che cosa è la morte e che cosa l’amore». «Lei è presente, è qui nel mio petto. Continua ad amarmi».

Ascoltammo attenti il suo dettato, in cui lo sposo e l’uomo parlava con se stesso, con le sue profondità, con quelle profondità che esistono in ogni persona, tanto più vere in quanto sono aperte verso l’altro, e dove si trova il nostro io più autentico, all’incrocio di memoria, mente, volere, affetti. «Ho imparato che l’amore è più forte della morte. Amor omnia vincit», concluse piano.


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