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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

mercoledì 25 aprile 2007

Il Simposio di Platone. Tra ragione e follia

di Umberto Galimberti (la Repubblica , 11.04.2007)

Il Simposio di Platone è, tra i dialoghi del filosofo di Atene, il più vertiginoso perché mette in tensione l’ordine della ragione, che Platone ha inaugurato per l’intero Occidente, con l’abisso della follia che Platone definisce: “Più bella della saggezza d’origine umana”. Mediatore tra l’uno e l’altro mondo è Amore il cui compito è di tradurre e interpretare i messaggi della follia inaccessibili alla ragione e le parole della ragione incomprensibili alla follia.

Folle è il mondo degli dèi che, concedendosi a tutte le metamorfosi, non si attengono al principio di identità e di non contraddizione che sono i cardini della ragione. Del resto già Eraclito aveva detto che: “Il dio è giorno e notte, inverno e estate, guerra e pace, sazietà e fame, e si mescola a tutte le cose assumendo di volta in volta il loro aroma”, mentre “l’uomo ritiene giusta una cosa e ingiusta l’altra”, in una parola non mescola, come invece fa il dio, tutte le cose, ma istituisce quelle identità e differenze che, tra loro disgiunte e connesse, istituiscono l’ordine della ragione che è prerogativa dell’uomo e non del dio.

Accade però che nel Simposio Platone non considera l’anima razionale da lui inaugurata nella sola prospettiva dell’ordine a cui contribuisce. Sa infatti da quale caos l’ha evocata perché conosce le passioni che hanno alimentato la crisi di cui si è fatta interprete la tragedia, non ignora la temibile apertura verso la fonte opaca e buia di ogni valore sociale che chiama in causa il fondamento stesso della città, sa che la ragione e il sapere che la esprime si ottengono, come la buona armonia nella città, espellendo il katharma, il residuo del sacrificio, il rifiuto del discorso che non sta alla regola, ma sa anche che bisogna sacrificare agli dèi perché è da quel mondo che vengono le parole che poi la ragione ordina in sequenza non oracolare e non enigmatica. Per questo, nell’edificare il cosmo della ragione, il solo che gli uomini possono abitare, Platone non chiude l’abisso del caos, ma lo riconosce come minaccia e dono, come sede di parole incontrollabili, come dimora degli dèi, e perciò dice: “I beni più grandi ci vengono dalla follia naturalmente data per dono divino”.

Per Platone infatti anche la follia è un’esperienza dell’anima, nella consapevolezza che le esperienze dell’anima sfuggono a qualsiasi tentativo che cerchi di fissarle e disporle in successione ordinata perché, al di là di ogni ordine razionale, l’anima sente che la totalità è sfuggente, che il non-senso contamina il senso, che il possibile eccede sul reale, che ogni tentativo di comprensione totale emerge da uno sfondo abissale che è caos, apertura, spalancamento, disponibilità per tutti i sensi. Intermediario tra il mondo della ragione e il mondo della follia è Amore, per accedere al quale bisogna soffrire quella malattia che Socrate chiama “a-topia” e che noi potremmo tradurre con “dis-locazione”.

Per accedere agli abissi della follia che ci abita occorre infatti dislocarsi dal recinto protetto dalla ragione, abbandonare le dimore dell’io e, per non perdersi nella follia, occorre che ad accompagnarci sia l’amato, che noi amiamo proprio perché egli ha colto e in qualche modo riflesso la nostra follia. Amore, infatti, è sì un evento duale, ma non tra me e te, ma, grazie a te, tra il mio ordine razionale e l’abisso della mia follia.


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