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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO --- Riccardo III. Descrivendo un tragico re del Medioevo, Shakespeare ci parlava della politica dei nostri giorni (di V. Sabadin - Non si uccide così anche Riccardo III?).

lunedì 6 ottobre 2014

Non si uccide così anche Riccardo III?

Undici ferite in testa e sul corpo: l’autopsia sui resti ritrovati due anni fa rivela la ferocia delle battaglie del ’400 E contribuisce a riabilitare la figura del sovrano inglese

di Vittorio Sabadin (La Stampa, 06.10.2014)

«Un cavallo, un cavallo! Il mio regno per un cavallo!» è una delle frasi più famose scritte da William Shakespeare, che la fa pronunciare a Riccardo III, alla fine dell’omonima tragedia. Il re ha ormai perso la battaglia di Bosworth Field, i suoi amici lo invitano a fuggire, ma lui rifiuta. Vuole un cavallo, per trovare e uccidere Enrico Tudor conte di Richmond, sbarcato con un esercito di mercenari dalla Francia in Inghilterra per sottrargli il trono. Il duello ha luogo, ma è Riccardo a essere ucciso: finisce la trentennale «Guerra delle due rose» tra i Lancaster e gli York, finisce l’era dei sovrani plantageneti e comincia quella dei Tudor.

Ma Riccardo III non fu ucciso come Shakespeare ha scritto nel 1591, un secolo dopo i fatti. La sua fine non fu così cavalleresca: venne massacrato da colpi inferti al cranio e al corpo, e colpito ancora quando era a terra ormai morto. Il cadavere fu spogliato e caricato riverso su un cavallo perché tutti lo vedessero mentre veniva trasportato a Leicester, e i mercenari di Enrico lo trafissero altre volte, per disprezzo ed estrema umiliazione. Il corpo del re fu buttato in una fossa, vicino alla chiesa dei Francescani, senza la carità di una bara o anche solo di un lenzuolo a ricoprirlo. Lì è rimasto per 500 anni, mentre intorno tutto cambiava: si sono costruite nuove case, gettate di cemento hanno sfiorato le sue ossa mancandole di pochi centimetri, e alla fine l’asfalto di un parcheggio comunale ha ricoperto la tomba.

I resti di Riccardo III sono stati ritrovati nel 2012 e un anno dopo, attraverso il confronto con il Dna di una discendente di 16° grado rintracciata in Canada, la sua identità è stata confermata «oltre ogni ragionevole dubbio». Ma bastava osservare quello scheletro deforme, con la spina dorsale curvata da una grave forma di scoliosi, con una spalla più alta dell’altra, per riconoscere il sovrano «monco e deforme, plasmato da rozzi stampi» descritto da Shakespeare.

Uno dei più completi esami autoptici mai condotti su resti umani ha ora permesso di scoprire come è morto Riccardo III e anche di farsi un’idea della ferocia delle battaglie medievali, molto lontane dall’epica cavalleresca di Ivanhoe descritta da sir Walter Scott. Mettendo a confronto i resoconti dello scontro di Bosworth Filed con l’esame dello scheletro di Riccardo, possiamo ricostruire meglio come sono andate le cose e forse riabilitare un poco uno dei sovrani più maltrattati dalla storia.

Il 22 agosto 1485 il re, al comando di 10.000 uomini, osservava dall’alto di una collina i 5.000 soldati di Enrico, che sembravano una facile preda. Su un’altra altura c’erano i 6.000 mercenari della famiglia Stanley, che gli aveva promesso appoggio; poco lontano erano pronte le truppe del conte di Northumberland, un altro alleato. Non c’erano ragioni di preoccuparsi. Riccardo lanciò al galoppo contro il nemico i suoi 1.500 cavalieri, nell’ultima grandiosa carica del Medioevo. Una terrificante massa di ferro e di carne piombò giù dalla collina, con il re in mezzo, la spada sguainata pronta per il sangue di Enrico. Ma, incredibilmente, l’esercito nemico non fu annientato dalla carica, e resistette. Poco male, se gli Stanley e Northumberland fossero intervenuti.

Ma gli Stanley erano noti per stare sempre a guardare le battaglie, per vedere chi stava per vincere e andare in suo aiuto, una abitudine che non è nata in Italia come comunemente si crede. Riccardo non si fidava, e per garantirsi aveva preso in ostaggio il figlio di Lord Thomas Stanley. Gli mandò a dire che lo avrebbe fatto uccidere, se non fosse immediatamente venuto in soccorso con le sue truppe, e Stanley gelido rispose: «Dite a Riccardo che faccia pure, ho altri figli». Anche Northumberland non si mosse e quella che era sembrata una scontata vittoria si trasformò in una tragedia.

Appiedato nella foga della carica, Riccardo aveva perso l’elmo. L’esame del cranio ha individuato due profonde ferite mortali, una causata da una spada, l’altra probabilmente da un’alabarda, l’asta sormontata da una scure e da una picca in uso alla fanteria. La spada ha trapassato il cranio da parte a parte; l’alabarda ha aperto uno squarcio rotondo di alcuni centimetri.

Sulle ossa ritrovate a Leicester ci sono i segni di 11 ferite, quasi tutte inflitte dopo la morte. Denudato, il cadavere è stato caricato su un cavallo e ripetutamente colpito: ne sono rimaste tracce sulla mascella, tagliata da un coltello, su una costola, su un braccio. Una spada ha penetrato la natica destra, rompendo le ossa del bacino. L’oltraggio è continuato fino alla sepoltura, con il cadavere gettato in una fossa profonda pochi centimetri, le mani legate forse per facilitarne il trasporto. Mancano i piedi, e non si sa perché.

Si è sempre pensato che, per quanto orribile sia stata la sua fine, Riccardo se la fosse meritata. Tanta cattiva fama è dovuta in gran parte a Shakespeare, che lo dipinge come un mostro deforme, gobbo e rachitico che uccide la moglie, il fratello e i due nipoti per arrivare al trono. Ma il ritrovamento dei suoi poveri, martoriati resti ha già aperto un dibattito revisionista, che presto lo riabiliterà e cancellerà le menzogne diffuse dai Tudor per legittimare la loro conquista del potere. E anche Shakespeare andrà riletto con più attenzione. Siamo inorriditi dalle azioni di Riccardo III, ma anche incantati dalle sue parole, dalla sua capacità di vendere la menzogna come verità, di fare sembrare altruistiche le più egoistiche iniziative, di trasformare in un vantaggio situazioni sfavorevoli e di servirsi di chiunque gli possa essere utile. Descrivendo un tragico re del Medioevo, Shakespeare ci parlava della politica dei nostri giorni.


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