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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** ---- Shakespeare, ovvero il giro del mondo in quaranta minuti .... al Valle di Roma dove i Propeller hanno messo in scena il Sogno di una notte di mezza estate e Il mercante di Venezia (di Giuseppe Fiorentino).

sabato 28 febbraio 2009

Al Valle di Roma un ritorno alle atmosfere del teatro elisabettiano

Shakespeare, ovvero il giro del mondo in quaranta minuti

di Giuseppe Fiorentino (L’Osservatore romano, 1 marzo 2009)

È proprio vero: Shakespeare si apprezza interamente al teatro, assistendo alla messa in scena delle sue opere. Tanto più se a calcare le travi del palcoscenico è una compagnia - come quella inglese dei Propeller - che cerca di ricreare l’atmosfera del teatro elisabettiano. Se leggere un testo di Shakespeare costituisce già un’esperienza unica, è al teatro - e solo al teatro - che i versi del genio di Stratford-upon-Avon acquisiscono vera profondità, conferendo alla scena quasi una dimensione in più, oltre quelle spazio-temporali.

I testi di Shakespeare riescono a creare nel breve volgere di qualche minuto una realtà radicalmente nuova, proiettando personaggi e spettatori in luoghi e tempi improbabili. Improbabili però solo in apparenza, perché nel teatro shakespeariano davvero tutto è possibile. A condizione però che la parola teatrale sia liberata da ogni orpello e sia lasciata libera di dispiegare tutta la sua forza evocatrice. Nessun appesantimento scenografico e nessuna ricercatezza nei costumi è quindi necessaria. Anzi questi accorgimenti nuocciono gravemente alla messa in scena, dove solo la parola e la bravura degli attori devono creare i tempi e gli spazi, anche scenografici, della pièce.

Questo soprattutto perché Shakespeare ha sviluppato la propria arte calibrandola su spazi teatrali essenzialmente spogli. In fondo il Globe era solo una disadorna struttura in legno dove venivano proposti spettacoli diretti a un pubblico di gente semplice e che partecipava rumorosamente - spesso consumando cibo - alle vicende dei protagonisti. Il teatro shakespeariano è quindi un genere prettamente popolare, molto popolare, lontano mille miglia da certi snobismi che in Italia ne hanno caratterizzato le rappresentazioni. E’ questa una caratteristica che si apprezza a pieno assistendo agli spettacoli nella lingua originale, come ora al Valle di Roma dove i Propeller hanno messo in scena il Sogno di una notte di mezza estate e Il mercante di Venezia.

Lontano dal peso delle traduzioni, il verso acquisisce tutta la sua forza dinamica - anche sonora - rivelando allo stesso tempo la ricchezza linguistica dell’autore, maestro impareggiabile nella formulazioni di ambiguità semantiche che quasi sempre sfociano nel comico. Tutto dipende dalla bravura degli attori che, nel caso dei Propeller, sanno approfittare anche di alcuni vincoli imposti dal teatro elisabettiano. Come quello dei ruoli femminili interpretati da uomini. Nelle mani dei Propeller - un gruppo di veri artisti che oltre a recitare sanno cantare, suonare strumenti di vario genere e danzare - questo, che per alcuni è un limite, diventa un’arma in più, anche in chiave appunto comica, rivelando una carica a suo modo eversiva.

L’attore, nella sua sobrietà, è quindi al centro del più autentico teatro shakespeariano. A lui è chiesto di agire (da qui "attore") invece dell’autore, dando dimensione e profondità drammatiche al testo. Non si tratta quindi di un interprete, anche perché qui non c’è nulla - o non dovrebbe esserci nulla - da trasporre in un altro linguaggio scenico. A meno che non si scelga, come purtroppo è spesso accaduto nei teatri italiani, di trasformare alcuni grandi personaggi in casi al limite del patologico o in caricature fumettistiche.

Soprattutto, l’attore non deve essere troppo invadente e distogliere lo spettatore da quello che in realtà è il vero scopo di Shakespeare. Per il quale il palco - meglio se vuoto - è prima di tutto un laboratorio. Una sorta di ambiente protetto, come verrebbe da dire oggi, dove analizzare le dinamiche fondamentali che sottendono ai rapporti umani. In questo territorio universale - che proprio per questo deve essere libero da ogni concreto riferimento di spazio e di tempo - è possibile osservare da una posizione privilegiata come in ogni luogo ed epoca si muovono gli uomini e le donne sotto la spinta delle grandi passioni e dei tormenti che si addensano nella vita di ciascuno. "Il mondo - dichiara Antonio nel primo atto de Il mercante di Venezia - io lo tengo in conto solo per quello che è: un palcoscenico sul quale ognuno recita la parte che gli è assegnata".

Il teatro quindi come luogo di analisi, l’attore come agente catalizzatore e il regista come deus ex machina, come primo artefice dell’opera di indagine. Primo artefice e, in fondo, primo protagonista. I testi di Shakespeare sono infatti ricchi di personaggi che agiscono come registi, decidendo di nascosto i destini dei loro compagni di scena. Basti pensare al Prospero de La tempesta o all’Oberon del Sogno di una notte di mezza estate. È lui con la sua magia - la stessa magia del regista - ad articolare la trama della commedia, grazie alla collaborazione di Puck, il folletto che opera dietro comando di Oberon e che in realtà è una maschera di attore.

E come ogni attore shakespeariano, è capace di rompere ogni unità di spazio e di tempo per compiere, se necessario e se richiesto dal suo padrone-regista, il giro del mondo in soli quaranta minuti. E in fondo anche la trama ordita da Porzia al termine de Il mercante di Venezia sembra l’azione di un regista che cambia a proprio piacimento i destini dei personaggi. Un teatro nel teatro, quindi, in un gioco di incastri che amplifica e riverbera la magia creativa della parola shakespeariana. Per renderla ancora più adatta al suo scopo primario: scrutare nelle profondità del cuore umano.


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