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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" -- Il "Cantico dei Cantici": nuove versioni per l’Eccelso (di Alessandro Zaccuri).

giovedì 14 febbraio 2019

L’amore.

Il Cantico dei Cantici: nuove versioni per l’Eccelso

Nuove versioni e commenti esplorano la complessità del prezioso libro biblico nel quale il legame erotico fornisce l’interpretazione dell’intera Scrittura

di Alessandro Zaccuri (Avvenire, giovedì 14 febbraio 2019)

      • [Foto] Il Cantico dei cantici di Marc Chagall, Museo Chagall a Nizza

L’originale di partenza è lo stesso, le premesse da cui muovono i traduttori sono simili, eppure le versioni non sono affatto sovrapponibili. Non è detto che sia un male, anzi: è una conferma della vitalità di un testo che, come sempre accade in poesia, non smette di sollecitare l’interpretazione. Perché non è poesia solamente, del resto, ma parola dell’uomo (e più ancora della donna, in questo caso) che riverbera nella Parola di Dio.

«Ponimi come sigillo sul tuo cuore / Unico // Sì, come Morte è forte Amore // Il desiderio divora come Ade / Come fuoco arde / Come fiamma divina», scandiscono Elisabetta D’Ambrosio e Sergio Gandini nella loro versione del Cantico dei Cantici proposta da Lemma Press con il suggestivo sottotitolo di Canto eccelso (pagine 336, euro 17,50) «Poni me come marchio su cuore tuo, come marchio su braccio tuo - che violento come la morte amore, aspra come Sheol gelosia: peste sua, febbre di fuoco - fiamma di Yah», fa eco Andrea Ponso nella sua traduzione del Cantico dei Cantici, edita dal Saggiatore con una prefazione del filosofo del linguaggio Marcello La Matina (pagine 328, euro 24,00).

Il verso che abbiamo preso a campione è il sesto dell’ottavo capitolo, tradizionalmente considerato come una sintesi del Cantico, il quale è a sua volta indicato come il cuore dell’intera Scrittura da una lunga consuetudine esegetica di cui entrambe le nuove edizioni danno conto, ciascuna a suo modo.

Poeta e biblista, Ponso accompagna la propria versione - modellata, come si è intuito, su un’aderenza quasi rituale alla «radicalità della lingua ebraica» - con una ricapitolazione degli insegnamenti della tradizione cristiana greca. È una linea sostanzialmente monastica, che dall’indagine sulle passioni condotta da Evagrio Pontico arriva fino alle opere di Gregorio di Nissa, l’unico tra gli autori analizzati da Ponso che si occupi esplicitamente del Cantico.

A interessare è anzitutto la «complessità immersiva» nella quale ogni essere umano è coinvolto nel momento in cui si incammina in un percorso spirituale. Molto significativo, in questo senso, lo spazio accordato a Giovanni Climaco, la cui Scala è interpretata come un graduale avvicinamento alla sostanza più intima della realtà. Il linguaggio è lo stesso del Cantico, dunque, ma Ponso si spinge ancora più in là, postulando un’identità sotterranea tra l’operazione del tradurre e il legame erotico celebrato dal testo biblico. La cifra è sempre quella dell’alleanza: «una relazione singolare e plurale ad un tempo, unica e comunitaria, con l’alterità». La «progressiva unificazione del molteplice», insiste Ponso, non va «contro il molteplice».

Da evitare a ogni costo è la frattura dualistica (tra anima e corpo, tra sacro e profano e via elencando) denunciata a più riprese dagli stessi D’Ambrosio e Gandini, che nella loro versione prediligono una «rarefazione» verbale ispirata alla lezione di Paul Celan. Sposati tra di loro, leggono e interpretano il Cantico anche alla luce della propria esperienza di coppia, analogamente a quanto fanno la pastora battista Lidia Maggi e il biblista Angelo Reginato, di nuovo moglie e marito, in Corpi di desiderio (Claudiana, pagine 102, euro 11,90), breve collezione di «dialoghi attorno al Cantico dei Cantici» che, pur basandosi su traduzioni precedenti, finisce per elaborare una sorta di emulazione degli scambi tra la Sulamita e il suo amato.

Ecco, per intenderci, un esempio di questo canto dopo il Cantico: «Chi sei, Dio? / Tu sei misterioso, come una ragazza che nasconde il suo volto dietro al velo. / Carezze di amanti e baci appassionati. / Chi sei, Dio?». Certo, non è la prima volta questo libro brevissimo e prezioso viene commentato da una coppia di coniugi. Sia nel caso di Maggi e Reginato, sia in quello di D’Ambrosio e Gandini, prevale però un atteggiamento di forte coinvolgimento esperienziale, che fa passare in secondo piano le implicazioni pastorali. Corpi di desiderio è, essenzialmente, una meditazione biblica, in virtù della quale il Cantico offre «la chiave di lettura di tutta la Scrittura, rivelando che il segreto di quella storia, che si muove tra promessa e compimento, sta nel desiderio dell’incontro».

L’elemento concreto, carnale, non riveste minore importanza nel vasto apparato che integra la rivisitazione del Canto eccelso, dove D’Ambrosio e Gandini seguono un criterio più eclettico, intrecciando la Bibbia con il portato di altre tradizioni spirituali, in particolare quella induista, in un reticolo spesso suggestivo di analogie e rimandi. Anche per loro, come per Ponso, il Cantico dei Cantici non si risolve in una partitura drammatica, ma è un susseguirsi di voci e di suoni (illuminante la sottolineatura del ruolo assegnato alle esclamazioni), che si sottrae alla rigidità degli schemi e trova il suo naturale sviluppo nella dimensione mistica. «L’ultima parola del Cantico - osservano D’Ambrosio e Gandini - è un invito alla fuga. E forse dobbiamo fuggire dallo stesso Cantico, dall’inganno celato nel testo, in quanto testo».

Nel poemetto, peraltro, Dio non è mai espressamente invocato, se non attraverso la «sillaba discreta» (così la definiscono Maggi e Reginato) del versetto citato all’inizio. Ponso decide di lasciarla così com’è, Yah, «come per un eccesso di tatto e di libertà donata». D’Ambrosio e Gandini, invece, arrischiano l’aggettivo «divina», ben sapendo che con il Cantico si tratta sempre di «camminare sul filo di un rasoio». Ma in amore, si sa, è sempre così.


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