Libro risponde ai dubbi sull’identità del grande drammaturgo
Shakespeare mistero risolto
L’ossessione per l’autore ha riguardato anche Omero: per alcuni era una donna
di Nadia Fusini (la Repubblica, 08.06.2010)
È o non è William Shakespeare di Stratford l’autore di quel corpus di opere che va sotto tale nome? Shakespeare è un vero nome, o un nome finto, uno pseudonimo? Della contestata attribuzione si occupa lo studioso James Shapiro in Contested Will (Faber, pp.367, £20), libro che potrebbe mettere fine all’ansia, perché chi legga sino alla fine non potrà avere dubbi: Shakespeare è Shakespeare, non è Francis Bacon, né Edward de Vere, conte di Oxford, né Christopher Marlowe, né la regina Elisabetta... Perché sì è detto di tutto, e alle ipotesi più stravaganti sono abboccati non solo dei creduloni - un nome per tutti, Sigmund Freud. Ma si aggiunga alla lista Mark Twain, Henry James... Con pazienza e senza disprezzo Shapiro ci accompagna nelle contorte peregrinazioni alla ricerca del "vero" Shakespeare, che nasce da una diffidenza, da un pregiudizio: nella sostanza, non si riesce a credere che un provinciale, un uomo qualunque possa essere stato capace di tanto. Troppo sembra conoscere l’autore di Amleto, di Lear, di Otello, troppo profondo è il suo pensiero, troppo vasto il suo intelletto, troppo raffinata la sua lingua: non può essere un uomo qualunque, di una qualunque città di provincia. Il quale, in più, alla fine abbandona baracca e burattini e vi torna, e compra case, stemmi, e pensa solo ai soldi, per soldi litiga, come se l’unica cosa che conti siano i possessi materiali. Vi pare una mentalità da grande scrittore, questa? (si può osservare che non sarebbe certo il primo Shakespeare a scrivere per soldi; anzi da che mondo è mondo pare che il denaro sia la grande molla dell’ispirazione.) Ma per certi idealisti che avevano assunto Shakespeare a Bibbia laica, non poteva essere così.
Delia Bacon, un’americana stravagante, forse anche perché si chiamava come si chiamava, decise che l’autore del corpus shakespeariano era Francis Bacon e venne in Inghilterra a cercare prove dentro la tomba del poeta, ed era pronta a scavare, se non le fosse stato impedito, convinta com’era che nella bara avrebbe trovato le prove. Un altro, che si chiamava Looney, nomen omen anche in questo caso (perché loony sfuma nell’idea di lunatico, eccentrico, fuori di testa) invece è convinto che sia il conte di Oxford, e non importa che il conte muoia ben prima che Shakespeare smetta di scrivere. Altri ancora ricorrono a sedute spiritiche, per farsi dire la verità proprio da lui, da Shakespeare.
All’inizio della quête, che Shapiro descrive con brio e pazienza, c’è un peccato originale. Risale al 1790, quando Edmond Malone lavora a una nuova edizione dei drammi shakespeariani, che vuole in ordine cronologico, e tale ordine crede di poter costruire in base ai rimandi personali, biografici, che cerca nei testi, quasi che si potesse scrivere solo di cose che si conoscono perché le abbiamo vissute. È il grande abbaglio che acceca Freud (secondo il quale Shakespeare non poteva scrivere l’Amleto se non dopo la morte del padre), e prima ancora giustifica chi dirà: come faceva Shakespeare a sapere tutto dell’arte della falconeria, se non era un aristocratico? Come faceva a sapere tutto di una nave, se non aveva mai navigato?
Il punto è che con l’epoca moderna, si cominciò a dubitare di tutto: ad esempio, chi aveva scritto l’Iliade? Chi l’Odissea? Lo stesso autore? Impossibile, decretò Samuel Butler: si capisce subito che l’Odissea l’ha scritta una donna, che sa come si tendono i panni al sole, si piegano le lenzuola e come si tesse al telaio. E difatti, è una principessa siciliana, di Trapani, l’autrice. Mentre è certamente un uomo che sa tutto della guerra ad aver scritto l’Iliade. E se per quello chi aveva scritto la Bibbia? Era davvero credibile che fossero dei pescatori ignoranti? Non erano analfabeti i discepoli?
Qui il libro si fa non solo interessante, ma cogente, dimostrando come il concetto di autorità e autorialità e identità e proprietà si stringano in nodo intrinseco e problematico, tanto da produrre nuove interpretazioni, succubi tutte dello Zeitgeist; dalle quali si evince che non la verità, ma il mito domina e guida la vicenda. E il mito trionfa proprio allontanando dalla cosa vera, evocando false ombre, sembianti. Basterebbe leggere, Shakespeare è lì; se non gli si vuol credere, se non si vuol credere alle testimonianze di chi l’ha incontrato, ai contemporanei che della sua esitenza testimoniano, è senz’altro perché un certo fanatismo occulteggiante è la strada che da che mondo è mondo prende la fantasia. Mentre per conoscere Shakespeare ci vuole intelligenza e immaginazione.