Inviare un messaggio

In risposta a:
La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

In risposta a:

> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

venerdì 24 febbraio 2006

Caro Direttore da quel poco che conosco di Shakespeare, credo che le tesi della studiosa inglese (cfr. art. qui di seguito allegato) sia assolutamente campata in aria e sento molto ’puzza’ di "appropriazione indebita": al massimo e al meglio, penso, l’opera di Shakespeare si collega al lato critico della tradizione ebraico-cristiana (Giordano Bruno e tradizione cabalistica, per intendersi!!!) che non, come si vuole e tenta di dimostrare, alla tradizione cattolica - in senso proprio e stretto !!! Federico La Sala

Allegato:

IL CASO Il drammaturgo era seguace della Chiesa di Roma: una studiosa inglese smonta le tesi precostituite degli ultimi decenni

SHAKESPEARE, CATTOLICO E APOLOGETA?

La furia protestante aveva mandato tanti fedeli al Papa sul patibolo. Per salvarsi alcuni intellettuali, fra i quali anche il poeta, adottarono un linguaggio cifrato e allegorico

di Andrea A. Galli (Avvenire, 23.02.2006)

Nessun lamento, nessun componimento è stato tramandato sulla fine di Richard Whiting, abate e umanista inglese che il 15 novembre 1539 venne impiccato dalle milizie protestanti, le quali, con fare più azteco che puritano, gli strapparono il cuore e lo mostrarono come trofeo alla cittadinanza atterrita. Con Whiting, ricordato come un erudito e un saggio amministratore, se ne andò per sempre (venne rasa al suolo) anche l’abbazia di Glastonbury, nel Somerset, fondata sul luogo della celtica Avalon, dove secondo la leggenda era approdato Giuseppe di Arimatea direttamente dalla Terra Santa e dove arrivarono i primi missionari da Roma, a cui si aggiunse San Patrizio di ritorno dall’Irlanda, che lì venne sepolto. Fu insomma strappato il cuore spirituale del Paese, simbolo di un misterioso e diretto legame tra l’Inghilterra e Cristo. Non un poeta ricordò quegli avvenimenti di tono apocalittico. Eppure è certo che violenze del genere, oltre che seminare il terrore, alimentarono l’ostilità verso una riforma protestante imposta dall’alto, con l’obiettivo di far tabula rasa dell’identità religiosa di un popolo. Lo si può dedurre dalla durata della persecuzione anticattolica, tra le più cruente della storia della Chiesa, che ancora settant’anni dopo, con Giacomo VI, non aveva perso di intensità. Lo hanno dimostrato negli ultimi decenni storici revisionisti come John Bossy, Jack Scarisbrick, Edwin Jones, Christopher Haigh, che hanno fatto luce sulla censura operata dalla storiografia elisabettiana verso la resistenza cattolica, che rimase vigorosa per quasi un secolo. È sullo sfondo di questi studi sul cattolicesimo negato nell’Inghilterra tra ’500 e ’600 che si situa il recentissimo libro di Clare Asquith - moglie di un ex diplomatico britannico in Unione Sovietica ed esperta di letteratura elisabettiana - dal titolo Shadowplay. The hidden beliefs and coded politics of William Shakespeare. Un libro d’eccezione essendo forse la più articolata ricerca su un mistero che da temp o aleggia sugli studi shakespeariani: il più grande drammaturgo di sempre, il massimo poeta inglese era cattolico? Per rispondere alla vexata questio la Asquith ha scelto una via inedita. Non si è limitata a raccogliere gli indizi biografici che hanno insospettito molti critici nel corso del ’900. Come il probabile incontro tra il giovane Shakespeare e il gesuita (poi martirizzato) Edmund Campion, che fu in contatto con un gruppo di dissidenti di Stratford on Avon, paese natale di Shakespeare. O il testamento di Alexander Hoghton - figura di riferimento della resistenza cattolica nel Lancashire, in rapporto con lo stesso Campion - in cui Hoghton raccomandava uno dei suoi giovani aiutanti, un tale "William Shakeshaft", all’impresario teatrale Thomas Asketh (secondo alcuni colui che lanciò Shakespeare sulla scena artistica londinese). O la preghiera trovata incisa su una trave della casa sempre di Shakespeare, firmata dal padre di costui, John: un testo redatto da San Carlo Borromeo e diffuso dai gesuiti, che permetteva ai cripto-cattolici che lo recitavano in punto di morte di spirare in comunione con Roma. O il fatto che la prima compagnia teatrale a cui Shakespeare si unì a Londra, quella patrocinata da Lord Strange, fosse notoriamente in odore di "papismo". La Asquith è andata oltre la raccolta di queste tracce, scandagliando per vent’anni la produzione culturale elisabettiana e studiando il linguaggio cifrato che gli intellettuali cattolici adottarono per sostenere la propria causa, evitando di finire sul patibolo. Un linguaggio ermetico per i lettori di oggi, assai meno per un pubblico allenato a ragionar per simboli e allegorie. Pubblico che in un verso di Robert Chester - poeta ricordato con sufficienza nelle antologie per il suo pedante poema Love’s Martyr - come «love is a holy, holy, holy tyhing» non faticava a cogliere il rimando al triplice Sanctus della liturgia eucaristica. Pubblico che ad un’opera come The Spanish Tragedy di Thomas Kyd - intessuta di rimandi alle rappresentazioni sacre medievali e alle sofferenze della Chiesa inglese - tributava non a caso un successo enorme, rimasto assai poco spiegabile per la critica moderna. Pubblico che in un "pun", un artifizio retorico come quello del sonetto 23 di Shakespeare - «More than that love which more hath more expressed» poteva agevolmente cogliere il rimando alla carità e al martirio di Thomas More. Una chiave di lettura che unita alla riconsiderazione dei teatri elisabettiani come luoghi di raccolta del dissenso cattolico, entra nell’opera shakesperiana con risultati certamente suggestivi. Si va da un’opera come Titus Andronicus, giudicata solitamente "grossolana" e a tratti incongruente, che diventa un’assai congruente rappresentazione della persecuzione antipapista e un invito ai resistenti a rinunciare alla violenza, in attesa di un intervento militare dal Continente. Alla sovrapponibilità tra un personaggio come la pia Paulina di The Winter’s Tale e Magdalene Browne contessa di Montague, zia di Ferdinando Stanley (il Lord Strange primo patrono di Shakespeare) e unica esponente della nobiltà inglese tollerata nella sua ostentata fede romana. Alla vera identità di Hamlet, figura plasmata secondo la Asquith sulla personalità di Philip Sidney, il grande poeta e cortigiano di Elisabetta, tenuto a battesimo da Filippo II di Spagna e figlio di quell’Henry Sidney sospettato a lungo di essere cattolico. Sir Philip Sidney che conobbe padre Edmund Campion durante un suo viaggio diplomatico a Praga, nel 1577, che fu amato in patria come l’Amleto letterario lo era nella sua Danimarca e che, a dispetto della vulgata che lo vuole uno zelante protestante, sarebbe stato invece assai vicino a Roma. Anzi, per molti sarebbe stato il simbolo dell’animo esitante di fronte alla dittatura elisabettiana e alla scelta di affermare pubblicamente la propria fede. Come Hamlet, anche King Lear abbonderebbe di messaggi in codice, in specifico di omaggi agli eroici membri della Comp agnia di Gesù, che sacrificarono la vita muovendosi per anni nella clandestinità, ecc. Insomma il famoso mondo "out of joint", sconnesso, al centro della riflessione di Shakespeare non sarebbe tanto la civiltà europea alle prese con l’entrata traumatica nella modernità (come un po’ fumosamente riportano tanti manuali di letteratura) ma l’Inghilterra violentata nella sua tradizione secolare e nella sua identità più profonda, quella cattolica. Interpretazione che sta facendo discutere, forse perché tutt’altro che una semplice ipotesi.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: