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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). ---- Shakespeare era cattolico (ma non del partito "cattolico"!!!).

mercoledì 14 settembre 2011

Letteratura

Shakespeare era cattolico. Ecco le prove

di Alessandro Zaccuri (Avvenire, 10 settembre 2011)

Certo che “indulgenza” è una ben strana parola di commiato per un poeta protestante. Ma come, non era iniziato tutto da lì, da Lutero che contestava, appunto, la validità delle indulgenze concesse dal Papa? Eppure indulgence è proprio il termine su cui poggia l’ultimo verso dell’ultima opera di William Shakespeare, La tempesta. È il famoso addio del mago Prospero, trasparente alter ego dello stesso drammaturgo, che si congeda dal pubblico e intanto implora preghiere, misericordia, perdono dei peccati, evocando un impianto dottrinale clamorosamente estraneo agli insegnamenti della Chiesa anglicana. Come se non bastasse, Prospero ha appena riconquistato il titolo di duca di Milano, la città che, grazie a san Carlo Borromeo, è diventata la capitale della Riforma cattolica.

Indizi troppo labili, si dirà, per rilanciare la tesi del cattolicesimo professato in segreto dal Bardo dell’Avon. Ma la documentazione esibita da Elisabetta Sala nel corposo L’enigma di Shakespeare (in uscita dalle Edizioni Ares, che già hanno pubblicato due importanti saggi dell’anglista: L’ira del re è morte ed Elisabetta la “Sanguinaria”) è talmente ampia e dettagliata da mettere alla prova anche gli scettici più inveterati. Del resto, recentemente perfino il primate anglicano, l’arcivescovo Rowan Williams, ha affermato di considerare più che probabile la cattolicità del poeta.

Parlano i testi, ma parlano anche i fatti della vita di Shakespeare e della sua famiglia. Già il padre, il guantaio John, ha tutta l’aria di essere un “ricusante”, e cioè un dissidente cattolico che rifiuta di sottomettersi alla Chiesa scismatica istituita da Enrico VIII. E “ricusanti” sono i nobili ai quali William si lega per la sua avventura umana e artistica. I Montague, per esempio, il cui cognome sostituisce quello dei Montecchi nel copione di Romeo e Giulietta. Apparteneva alla loro cerchia, e non solo per motivi di parentela, lo stesso conte di Southampton, probabile destinatario della prima serie dei Sonetti: una figura storicamente molto diversa dal magnifico giovinastro caro a una tradizione che risale, al più tardi, a Oscar Wilde.Ma torniamo alle opere di Shakespeare che, pur nella loro strepitosa varietà di generi e di toni, sembrano seguire uno schema fisso, evidente anche in capolavori come Amleto. Un evento traumatico (non di rado una tempesta, immagine che nella trattatistica dell’epoca allude allo scompiglio provocato dalla Riforma) ha cancellato il passato, scatenando dissidi e incertezze. Davanti all’incrudelirsi della sorte, l’unica possibile soluzione è affidata all’intervento di un potere esterno, spesso un’invasione militare “benevola” così come doveva apparire ai ricusanti inglesi la sperata - e mai realizzata - vittoria della Spagna cattolica nel duello navale con l’Inghilterra di Elisabetta. La regina, a sua volta pare fare da modello alla galleria di femmine dispotiche, o anche solo bisbetiche, tanto frequenti in Shakespeare.

Sconfitti e perseguitati, i protagonisti cercano nascondigli, cambiano identità, praticano insomma l’arte dell’“equivocazione”, un concetto che dal punto di vista letterario rappresenta un’evoluzione delle ambiguità care al manierismo, ma che nel concreto rimanda all’attività dei missionari cattolici in territorio britannico. I quali, in caso di cattura, erano invitati a proteggere la loro vita introducendo una riserva mentale nelle risposte date durante l’interrogatorio (alla domanda «Hai celebrato Messa?», il sacerdote poteva rispondere «No», intendendo «Non oggi»). Un confronto tra alcuni dei passaggi più oscuri di Shakespeare e i testi di autori spirituali quali il martire gesuita Robert Soutwhwell offre chiavi di lettura sorprendenti, tra cui va annoverata la decifrazione di quel «spie di Dio» messo in bocca a re Lear.

Un’espressione incomprensibile, se pensiamo che Shakespeare volesse compiacere la Corona. Ma che diventa chiarissima se accettiamo che Will in persona si sia considerato, per tutta la sua vita, un poeta segreto, un teatrante in missione per conto di Dio.

Elisabetta Sala, L’enigma di Shakespeare, cortigiano o dissidente?, Edizioni Ares. Pagine 464. Euro 24,00

Alessandro Zaccuri


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