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La Sala

L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" (Cantico dei cantici: 8.6). Un omaggio a William Shakespeare* e a Giovanni Garbini** - progetto e selezione a cura del prof. Federico La Sala

lunedì 6 febbraio 2006 di Emiliano Morrone
SHAKESPEARE, SONETTO 116
Let me not to the marriage of true minds
Admit impediments. Love is not love
Which alters when it alteration finds,
Or bends with the remover to remove:
O, no! it is an ever-fixed mark,
That looks on tempests and is never shaken;
It is the star to every wandering bark,
Whose worth’s unknown, although his height be taken.
Love’s not Time’s fool, though rosy lips and cheeks
Within his bending sickle’s compass come;
Love alters not with his brief hours and (...)

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> L’AMORE NON E’ LO ZIMBELLO DEL TEMPO: "AMORE E’ PIU’ FORTE DI MORTE" ---- La lezione di Giulietta e Romeo (di Paolo Casella) -

lunedì 7 maggio 2012

La lezione di Giulietta e Romeo

Salvare l’umanità attraverso l’amore e il sacrificio di sé: questo ci insegnano i due amanti più famosi del mondo

di Paola Casella (Corriere, 07.05.2012)

Perché Romeo e Giulietta di Shakespeare è immortale, e fonte di continua ispirazione? Innanzitutto perché racconta in modo inimitabile l’amore adolescenziale, nella sua intensità totalizzante. Quale momento drammaturgico ha saputo riprodurre con altrettanta immediatezza l’impossibilità di due giovanissimi amanti di staccarsi l’uno dall’altro della scena dell’atto secondo, in cui la quasi quattordicenne Giulietta entra ed esce dal balcone di casa Capuleti perché non riesce a separarsi da Romeo? Le dediche di eterna fedeltà scritte sulle strade delle nostre città sotto le finestre dell’amato bene non sono che il pallido riflesso di quella scena memorabile.

«Addio, amor mio!», dice Giulietta, facendo gesto di rientrare in casa. E un minuto dopo: «Resta ancora un poco. Torno subito». Poi esce ancora: «Tre parole, diletto Romeo, e l’ultima buona notte». E poi ancora: «Mille volte buonanotte!». E all’ultima uscita: «Buona notte, buona notte! Il dividersi è un dolore così dolce, che continuerei a darti la buonanotte fino a domattina!». Chi di noi non ricorda questo andirivieni all’infinito, con la prima «cotta» del liceo, su cui la compagnia telefonica di Stato ha prosaicamente costruito un tormentone di fine anni Ottanta?

Non è un caso che quasi tutte le frasi più celebri di Romeo e Giulietta siano contenute proprio nella scena del balcone, che trova il suo riflesso nella successiva in cui i due amanti, dopo la prima notte di passione, sono costretti a separarsi per quella che noi lettori scopriremo essere l’ultima volta: «O finestra, lascia entrare la luce, e lascia uscire la vita», dirà Giulietta, quando Romeo sta per lasciare la sua stanza. E lui: «Addio, addio! Un bacio ancora e scendo!».

Ed è sempre Romeo, sempre nella scena del balcone, a illuminare un altro aspetto drammaturgicamente potente dell’amore adolescenziale: l’annullamento di ogni altro essere umano dal proprio orizzonte emozionale e visivo, e l’identificazione dell’obiettivo amoroso come centro unico della propria esistenza. «Qual luce rompe laggiù, da quella finestra? Quello è l’oriente, e Giulietta è il sole», dice Romeo, vedendo la sua amata apparire al chiarore della luna.

L’eco di queste parole si sente ancora oggi in ogni frase appassionata pronunciata (o scritta sulle pagine di Facebook) da teenager convinti, magari solo per lo spazio di un mattino, che la fidanzatina del momento sia il pianeta attorno al quale ruota la loro intera esistenza.

Nella febbre d’amore che agita Romeo e Giulietta c’è l’impazienza che sarà loro fatale, quel «sangue caldo della gioventù», come lo descrive la ragazza, che impedisce loro di aspettare, di riflettere, e che nella tragedia di Shakespeare è contrastato dalla prudenza dei vecchi che pure, con le loro rivalità insensate, sono la causa prima della tragedia a seguire. Memorabile, per impatto drammaturgico e comicità (che Shakespeare alterna spesso al dramma sottolineando l’aspetto ridicolo della condizione umana), la scena fra Giulietta e la sua balia venuta a portare notizie di Romeo: Giulietta l’assedia di domande, la balia procrastina la sua risposta, intuendo il pericolo di una decisione tanto sbrigativa. «Chi ha troppa fretta arriva tardi quanto chi si mette in cammino col passo più lento», ammonirà Romeo il saggio Frate Lorenzo, anticipando gli eventi tragici a seguire.

Del resto nella passione irrefrenabile che unisce Romeo e Giulietta è contenuto un altro elemento fondamentale della narrazione shakespeariana: il legame fra amore e morte, eros e thanatos, già tanto presente nella tragedia classica. Tutta la narrazione è disseminata di lugubri presagi che i protagonisti ignorano o addirittura avvallano: «Fa tanto di giunger le nostre mani con le tue sante parole», dice Romeo a Frate Lorenzo, implorandolo di unirlo in matrimonio a Giulietta. «Poi la morte divoratrice d’amore osi pur tutto quel che vuole», perché morire è preferibile al vivere senza la propria amata. Quella di Romeo e Giulietta è l’eterna sfida di un amore contrastato: i protagonisti sono i figli unici di due famiglie che si odiano da sempre, e quest’odio è un impedimento reale alla concretizzazione del loro sogno d’amore. Gran parte dei film ispirati alla tragedia shakespeariana ha fatto leva su questo contrasto come fonte primaria della tensione drammatica: così Romeo diventa un americano di origine polacco-irlandese e Giulietta un’immigrata portoricana in West side story, i due si trasformano in un italoamericano e una ragazza cinese in China girl, ma anche un passeggero della terza classe e una ragazza della prima in Titanic, o un vampiro e una teenager nella saga di Twilight che, pur non essendo adattamenti veri e propri, devono molto al testo shakespeariano. «Il mio unico amore sarebbe dunque nato dal mio unico odio!», esclama la virginale Giulietta, enucleando il cuore del dilemma. E Shakespeare si assicura di inserire legami affettivi molto forti fra i due protagonisti e le rispettive tribù di appartenenza, per rendere emotivamente strazianti le scelte di campo che entrambi devono operare.

Che il dilemma riguardi anche profondamente il tema dell’identità è reso chiaro da uno dei passaggi più noti della tragedia shakespeariana, quello in cui Giulietta, sempre nella scena del balcone, chiede: «Che cosa c’è in un nome? Quel che noi chiamiamo con nome di rosa, anche se lo chiamassimo d’un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo». È un richiamo alla comune umanità che sottende ogni divisione etnica, religiosa, nazionale: lo stesso cui dà voce Shylock nel monologo del Mercante di Venezia: «Se ci pungete, non sanguiniamo?».

Il risvolto positivo della tragedia di Romeo e Giulietta è infine quello preannunciato nel prologo: la morte dei due giovani seppellirà la guerra d’odio dei loro genitori. I due amanti non sopravvivranno, ma il loro amore diventerà pace, e leggenda. La tragedia di Shakespeare resta immortale perché riscopre la speranza in un amore tanto puro da porre fine alle insensatezze degli uomini, e perché le dinamiche della passione giovanile, ma anche i contrasti fra identità contrapposte, restano gli stessi in ogni epoca. Semplicemente Shakespeare, meglio di tutti, li riproduce con la verità poetica di cui solo un grande autore è capace.


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