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44° PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA. BARACK OBAMA PREPARA IL DISCORSO D’INSEDIAMENTO. A WASHINGTON, OGGI, GIORNO 20, ALLE ORE 12, IL GIURAMENTO E IL DISCORSO.

martedì 20 gennaio 2009 di Federico La Sala
[...] alle 12, gli Stati Uniti hanno il loro 44° presidente quando il vincitore dell’Election Day giura con il nome di Barack Hussein Obama II - in omaggio all’omonimo padre - ponendo la mano destra sulla Bibbia adoperata da Abramo Lincoln il 4 marzo 1861, 1280 pagine rilegate in velluto e oro, pronunciando la formula prevista dalla Costituzione: «Giuro che eseguirò fedelmente la carica di presidente degli Stati Uniti, lo farò al meglio della mia abilità per preservare, proteggere e (...)

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> PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA. BARACK OBAMA PREPARA IL DISCORSO D’INSEDIAMENTO. A WASHINGTON, OGGI, GIORNO 20, ALLE ORE 12, IL GIURAMENTO. --- "Io un nero, giuro per tutto il popolo" (di Mario Calabresi).

martedì 20 gennaio 2009


-  Alla vigilia dell’insediamento il presidente fa l’imbianchino per i poveri
-  "Se vogliamo avanzare nel nostro cammino dobbiamo marciare insieme"

-  America in festa nel giorno di Obama
-  "Io un nero, giuro per tutto il popolo"

-  dal nostro inviato MARIO CALABRESI

WASHINGTON - Nel cuore dell’area più povera e violenta di Washington, nel quartiere nero di Anacostia dove si commettono la metà degli omicidi della Capitale, il pastore della Chiesa battista "Solid Rock" ha piazzato un immenso cartello: "Il sogno di Martin Luther King si è avverato: Obama presidente".

Per la prima volta nella storia un afroamericano entra alla Casa Bianca, per la prima volta nella storia il giuramento di un presidente diventa un momento cruciale per la vita dei ghetti neri.

La scuola elementare Abram Simon, che sta ancora più a sud di Anacostia al confine con il Maryland, detiene un significativo primato: più della metà dei 332 bambini che la frequentano abbandona gli studi prima dell’ultimo anno. Sono tutti neri, all’ottanta per cento vengono da famiglie che vivono sotto la soglia di povertà e per anni sono stati il simbolo dell’esclusione. L’edificio, costruito in mezzo a case popolari e villette fatiscenti, ha le sbarre a tutte le finestre e somiglia più ad un piccolo carcere che ad una scuola. Ma per la prima volta le maestre si sono convinte che le cose possano cambiare davvero: all’ingresso la preside ha messo accanto alla foto di Martin Luther King quella di Barack Obama e ieri mattina ha accolto 200 volontari che per tutto il giorno hanno lavorato ad una grande ristrutturazione. La scuola è stata interamente ridipinta, hanno costruito una biblioteca, portato libri e fumetti per i bambini e c’è stato un concerto. La nonna di uno degli scolari, imbaccuccata in una sciarpa di lana con ricamato il nome di un nuovo presidente, fotografa il nipote che canta e si commuove: "Questa volta la storia si è ricordata di noi".

Barack Obama ne è convinto: "C’è un’intera generazione - ha detto al Washington Post - che crescerà dando per scontato che il più importante ufficio al mondo è occupato da un afroamericano. Questa è una cosa radicale: cambierà il modo in cui i bambini neri guardano a se stessi e cambia anche il modo in cui i bambini bianchi guardano a quelli neri. Non dobbiamo sottovalutare la forza di questo".

E i neri americani non lo sottovalutano: sentono che è avvenuta una rivoluzione, sentono più di tutti il senso storico del momento, ieri hanno invaso il cuore bianco di Washington e oggi lo faranno di nuovo. Sono sempre stati maggioranza nella capitale (dei 600 mila abitanti, il 55 per cento sono afroamericani) ma ora la periferia si sente protagonista, vuole festeggiare, farsi vedere. Il fiume di persone che occupa il Mall, che si ferma davanti ai cancelli della Casa Bianca, che vuole vedere il palco da cui tra poche ore parlerà Obama, è in maggioranza nero, in un Paese in cui gli afroamericani sono poco meno del 13 per cento.

"Quello che io spero di modellare - ha spiegato Obama - è un modo di interagire con le persone che non sono come te e che non sono d’accordo di te". Che la strada sia quella lo hanno detto le elezioni e lo dicono due sondaggi pubblicati ieri, secondo cui il razzismo è in ritirata in America. Non importa che oggi i suprematisti bianchi e gli appartenenti al Ku Klux Klan hanno promesso di mettere il lutto al braccio ed esporre la bandiera alla rovescia, importa che due terzi degli americani si dicano d’accordo con il pastore battista di Anacostia: il sogno del reverendo King si è compiuto.

Ieri l’America ha celebrato il leader dei diritti civili con una giornata di festa, che Obama ha voluto trasformare in un giorno di azione e di impegno per la comunità: in tutto il Paese ci sono stati più di 11mila eventi sociali come quello della scuola elementare Simon. Il futuro presidente, in maniche di camicia, ha fatto l’imbianchino, dipingendo di azzurro le pareti di un centro d’accoglienza per adolescenti senzatetto. Il suo vice, Joe Biden, si era invece trasformato in un carpentiere per una ong che costruisce case per gli homeless. "Il sogno di Martin Luther King - ha sottolineato Obama - era che tutti gli uomini potessero condividere la libertà di fare nella vita ciò che desiderano e che i nostri figli possano raggiungere traguardi più alti dei nostri. Io giurerò per tutto il popolo americano unito nel nome del reverendo King, perché i nostri destini sono inestricabilmente legati l’uno all’altro e se vogliamo avanzare nel nostro cammino dobbiamo marciare tutti insieme".

E oggi spera di farcela ad essere sotto le scale del Campidoglio anche Ann Nixon Cooper, la donna nera di 107 anni che Obama ricordò nel suo discorso la notte della vittoria a Chicago, arriverà da Atlanta e dovrebbe sedere vicino ai nove compagni di classe che più di cinquant’anni fa sfidarono la segregazione razziale per entrare tra i banchi del liceo di Little Rock in Arkansas, riservato fino ad allora a 1900 ragazzi bianchi. Per proteggerli il presidente Eisenhower dovette mandare l’esercito. Oggi un capitolo si chiude per sempre e per averlo ben chiaro bastava leggere ieri l’editoriale del Meridian Star, quotidiano del Mississippi, che si è scusato per non aver mai denunciato "L’ingiustizia della segregazione razziale".

* la Repubblica, 20 gennaio 2009


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