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FILOLOGIA, ARTE, TEOLOGIA, E ANTROPOLOGIA. "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-16). Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

CANOVA E IL VATICANO: LE GRAZIE, AMORE E PSICHE. Una gerarchia senza Grazie (greco: Χάριτες - Charites) e un papa che scambia la Grazia ("Charis") di Dio ("Charitas") con il "caro-prezzo" del Dio Mammona ("Caritas"). Materiali per riflettere - a c. di Federico La Sala

mercoledì 19 dicembre 2012


Materiali per riflettere
Grazie
CANOVA, Le tre Grazie
Amore e Psiche
RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE.
ALLE RADICI DELLA BELLICOSA POLITICA DEL VATICANO. LA GUERRA NELLA TESTA DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA CATTOLICO-ROMANA E L’INDICAZIONE ’DIMENTICATA’ DI GIOVANNI PAOLO II.
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora (...)

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> Le Tre Grazie tornano a casa. Dal Louvre alla Galleria Borghese le sculture volute da Napoleone. La mostra I Borghese e l’Antico ci restituisce proprio l’aspetto più dimenticato di quella storia (di Claudio Strinati)

giovedì 8 dicembre 2011

Le Tre Grazie tornano a casa

Dal Louvre alla Galleria Borghese le sculture volute da Napoleone

-  Rientrano a Roma, per un allestimento eccezionale, 60 marmi che il principe Camillo cedette al cognato Bonaparte nel 1807
-  Una compravendita definita allora una "vergogna" da Canova
-  La gigantesca collezione fu accumulata nel Seicento dal cardinale Scipione
-  L’imperatore francese recupera il senso ideologico dell’antico e se ne impossessa

di Claudio Strinati (la Repubblica, 08.12.2011)

Nel piccolo spazio e nella lunga storia della Galleria Borghese a Roma è possibile rintracciare momenti che hanno lasciato segni indelebili e momenti che quasi non sono più rintracciabili dalla coscienza attuale.
-  La mostra I Borghese e l’Antico ci restituisce proprio l’aspetto più dimenticato di quella storia gloriosa per comprendere quanto si è perso nel corso del tempo. L’esposizione (organizzata dalla Soprintendenza per il Polo Museale Romano con la Direzione della Galleria Borghese in una collaborazione eccezionale con il Louvre sostenuta da Arcus, Enel, BNP Paribas, Ferrero e Air France sponsor tecnico), ha riportato "a casa" oltre 60 meraviglie che Napoleone aveva comprato per il Louvre: tra queste capolavori come l’Ermafrodito, Le Tre Grazie, il Centauro cavalcato da Amore. Nella palazzina Borghese c’era infatti una gigantesca raccolta di statue, bassorilievi e ritratti antichi accumulata nel Seicento dalla passione collezionistica del fondatore, il cardinale Scipione Borghese.
-  Nel catalogo (Skira) invero magistrale, la direttrice della Galleria Borghese Anna Coliva ne ripercorre la personalità di uomo totalmente dedito alle Belle Arti, amico degli artisti suoi contemporanei e ricercatore infaticabile della scultura antica. Poi le generazioni successive arricchirono quel patrimonio fino a che, a fine Settecento, il principe Marcantonio Borghese, degno continuatore delle eccezionali attitudini culturali del cardinale, fece ristrutturare la palazzina riorganizzando la collezione di antichità secondo criteri "moderni" che sembravano destinati a durare nei secoli. E invece, dopo pochi anni, il principe Camillo Borghese marito di Paolina Bonaparte, la splendida Paolina immortalata dal Canova nella scultura che oggi tutti ammirano nel museo, si fa convincere a vendere una cospicua parte della collezione antica a Napoleone che voleva glorificare il suo impero trasportando a Parigi le bellezze del passato.

Viene affidato il compito della scelta e valutazione all’imperatore degli archeologi e antiquari, Ennio Quirino Visconti, che - dopo essersi consultato con il direttore del Museo del Louvre Vivant Denon, un altro super esperto - sceglierà 695 opere antiche su una raccolta di 2200 stabilendo il prezzo in 3.907.300 franchi. Vi sono incluse statue memorabili e sublimi, importanti bassorilievi, ritratti insigni. Ma il prezzo è destinato a levitare parecchio e alla fine quando Napoleone firma il decreto di acquisto viene indicata la cifra stratosferica di 13 milioni di franchi. Ma anche se la somma pagata è enorme (alla fine furono versati 8 milioni), per Roma è uno choc privarsi di tanta bellezza. Antonio Canova, che sulle sculture della Villa ha condotto il suo appassionato studio dell’antico, nel 1810 davanti a Napoleone definisce la vendita "una incancellabile vergogna" per la famiglia che possedeva "la villa più bella del mondo".

Il paradosso è che quando le casse contenenti le opere arrivano al Louvre, tra il 1808 e il 1811 l’imperatore comincia a preoccuparsi: dove mettiamo tutte queste statue, si chiede e ben a ragione dato che il museo era strapieno di cose antiche e non solo, prelevate già in abbondanza in precedenti campagne di spoliazione sistematica del territorio conquistato. E comincia l’amaro destino di questi capolavori, di cui il catalogo ci informa ampiamente con dati sovente inediti e curiosi.

In un primo momento le opere principali vengono collocate in poche ma belle sale e l’occasione, nel 1811, del battesimo del Re di Roma, l’infelice erede dell’imperatore, dà modo di organizzare una grande e solenne inaugurazione di quei beni preziosi in cui pare identificarsi il destino dell’epoca nuova. Ma poi le opere Borghese sembrano seguire proprio la vicenda del figlio del Bonaparte, deportato in Austria, mortificato e annichilito quasi da una separazione che non sarà mai più ricomposta. Le povere statue vengono continuamente spostate, messe in deposito, mandate a arredare altre sedi. Sempre veneratissime e sempre maltrattate. Guai però a chiederle in prestito per poterle degnamente esporre di nuovo a Roma.

Sembrava impossibile ma oggi un autorevole comitato che annovera due funzionari del Louvre, Jean-Luc Martinez e Marie-Lou Fabrega Dubert con Anna Coliva e Marina Minozzi per la Borghese, ha compiuto il miracolo. Tornano a Roma e ritrovano posto nella Galleria ben 60 opere. E si rivedono pezzi mitici come l’Ermafrodito (180.000 franchi per il Visconti) il Sileno e Bacco bambino (200.000) il meraviglioso Vaso Borghese (200.000) del primo secolo a.C. che da solo giustificherebbe una mostra, il Centauro cavalcato da Amore che, a onta della fama strameritata dell’Ermafrodito, è forse il capolavoro dei capolavori.

Si ricrea una situazione che riporta al gusto e alla mentalità sei e settecentesca. Ma quale era? La Coliva spiega come il gusto di Scipione Borghese per l’Antico fosse stato ben diverso da quello, certo analogo, di chi lo aveva preceduto, specie quello riferibile alla casata Farnese.

Quando i Farnese nel Cinquecento avevano raccolto una collezione immane di opere antiche vi avevano impresso una sorta di sigillo ideologico potente, quale legittimazione di una continuità storica e politica calata nel loro dominio. Ma con Scipione l’arte antica è apoteosi del puro gusto della bellezza e del conseguente diletto che ne promana , un "edonismo reaganiano" ante litteram contrapposto a una specie di "pragmatismo kennediano" dei Farnese. Nel Settecento questo nobile abbellimento dell’esistenza tocca un suo culmine di alta consapevolezza ma poi Napoleone recupera il senso ideologico del patrimonio antico impossessandosi proprio di parte della raccolta borghesiana. La ruota della storia gira implacabile e oggi ci fa intravedere, sia pur affievolito, quel grandioso momento di conflittuale pacificazione.


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