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IL NOME E L’IDENTITA’ ("TAUTOTES", in greco) DEL NOSTRO PAESE, NELLE MANI DI UN "UOMO PRIVATO" ("IDIOTES", in greco) E DEL SUO PARTITO ... CHE HA GIA’ PREPARATO UN BEL "TAUTO" (BARA, in greco-napoletano) ALL’ITALIA!!!

L’IDENTITA’ DELL’ITALIA E IL SONNAMBULISMO DEI FILOSOFI, DI FRONTE ALL’ATTACCO DELLA GENTE DALLA DOPPIA TESTA E DALLA LINGUA BIFORCUTA - di Federico La Sala

sabato 21 marzo 2009 di Federico La Sala
[...] Italia. Non confondiamo i livelli... e cerchiamo di non perdere la bussola della nostra sana e robusta Costituzione. Pensare e pensare, ma pensiamo democraticamente e correttamente. "Forza Italia": Non è possibile e non è accettabile! È necessario continuare a tentare, continuare a cercare (cercate ancora: come ha detto, scritto e ricordato poco tempo fa, il ‘vecchio’, indomabile, libero e fiero Pietro Ingrao in onore di Luigi e di Giaime Pintor, ma anche di Claudio Napoleoni, che (...)

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> L’IDENTITA’ DELL’ITALIA E IL SONNAMBULISMO DEI FILOSOFI --- ELEA, VELIA (Salerno). La città di Parmenide, l’allevatore di cavalli, e la Soprintendenza («Pagaci l’erba che tagli»)

domenica 21 settembre 2014

L’area di Velia (Salerno) ha 35 mila visitatori l’anno. La Soprintendenza: serve un appalto

«Pagaci l’erba che tagli», così le piante invadono la casa di Parmenide

L’allevatore puliva gratis per il foraggio, quando gli hanno chiesto di pagare l’erba ha smesso di farlo e l’area archeologica è rimasta abbandonata a se stessa

di Marco Nese (Corriere della Serra, 20 settembre 2014)

VELIA (Salerno) - L’allevatore di cavalli arrivava coi suoi mezzi meccanici. Rasava l’erba attorno alle necropoli. Ripuliva gli spiazzi fra i ruderi e attorno ai resti della scuola del filosofo Parmenide. Con quell’erba ci nutriva i suoi quadrupedi. Fino al giorno in cui ricevette una lettera. «Se lei vuole la nostra erba, la deve pagare». Firmato: Soprintendenza di Salerno. Allibito, l’allevatore rispose che lui pensava di fare un piacere all’area archeologica di Velia, l’antica Elea, sulla costa del Cilento. «Se però devo pagare, l’erba tagliatevela voi».

Il gelso potrebbe crollare, ma senza autorizzazione non si può

Da allora la vegetazione cresce rigogliosa. Avvolge antiche colonne, invade i resti del tempio di Esculapio, minaccia di soffocare il teatro greco. La città della scuola eleatica appare ricoperta da un manto di erba e rovi. «Mancano i soldi - lamenta Tommasa Granese, direttrice dell’area archeologica -. Sarebbe necessario uno sfalcio regolare, anche per evitare il rischio di incendi, ma non ce lo possiamo permettere. Quest’anno poi l’estate piovosa ha favorito la vegetazione».

Se l’allevatore di cavalli se n’è andato offeso, il volontario che potava i giganteschi ulivi è morto. E adesso le piante non offrono un bello spettacolo, con tutti quei rami secchi meritevoli di cura. Un carrubo secolare si è prima spaccato in due e poi è crollato. Stava aggrappato a un pendio dove adesso i rovi hanno preso possesso di un vialetto impedendo il passaggio.

Un altro albero, un gelso colossale, costituisce al momento una minaccia per i visitatori. Potrebbe crollare. Alcuni custodi si sono offerti di intervenire. «Lei faccia finta di non vedere - hanno proposto alla direttrice -, in due o tre ore noi potiamo e sistemiamo tutto». Macché. La burocrazia ha le sue esigenze: per mettere in sicurezza il gelso bisogna addirittura fare una gara d’appalto, sperando che l’albero abbia nel frattempo il buonsenso di non cadere.

I reperti? Seppelliti in un deposito

Si calcola che gli scavi hanno consentito di esplorare finora solo il 20 per cento della zona. Già abbastanza per riportare alla luce anfore, statue, suppellettili e preziosi oggetti di epoca greca e romana. Tesori con cui si potrebbe riempire un museo. Ma siccome il museo è un sogno che non si è mai realizzato, tutto quel bendidio è sparito di nuovo sottoterra, stivato in un deposito con impianto di aereazione. Gli scavi continuano. Se ne occupano archeologi austriaci. «Un tempo - racconta un custode - qualcuno di noi controllava i lavori di scavo. Ora siamo pochi e nessuno va più a seguire le ricerche svolte dagli austriaci. Non sappiamo cosa hanno trovato. Si sono costruito un loro deposito, nessuno di noi ha idea di quali reperti custodiscono là dentro».

Con gli scarsi finanziamenti che riceve, la Soprintendenza deve mantenere attivi vari siti archeologici, in particolare Paestum. Così la città di Parmenide finisce con l’essere un po’ trascurata. Appena 17 custodi devono tenere d’occhio un’area di oltre 100 ettari visitata ogni anno da 35 mila appassionati. Ogni minima spesa dev’essere approvata dalla Soprintendenza.

Servirebbe, per esempio, un lucchetto: quello che teneva bloccato un cancello si è rotto. Di regola, bisognerebbe compilare moduli e aspettare mesi il permesso di acquistarne uno nuovo. Un custode ha risolto portandosene uno da casa, quando gli serve se lo riprende. Con pochi custodi non sempre si riesce a tenere aperti tutti i siti. Allora capita di trovare chiuso il locale in cui è custodito uno dei reperti più importanti, l’erma di Parmenide, l’unico documento che mostra qual era l’aspetto del grande pensatore.


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