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"DUE SOLI" IN TERRA, E UN SOLO SOLE IN CIELO: "TRE SOLI". GENERE UMANO: I SOGGETTI SONO DUE, E TUTTO E’ DA RIPENSARE!!! NON SOLO SUL PIANO TEOLOGICO-POLITICO, MA ANCHE ... ANTROPOLOGICO!!!

LA "MONARCHIA" DI DANTE, IL GIUSTO AMORE, E IL VATICANO CON IL SUO TRADIZIONALE SOFISMA DELLA "FALLACIA ACCIDENTIS". Un invito alla lettura di due brevi estratti - a cura di Federico La Sala

DIO E’ AMORE ("CHARITAS"): "CHARISSIMI, NOLITE OMNI SPIRITUI CREDERE... DEUS CHARITAS EST" (1 Gv., 4. 1-16), NON MAMMONA: "DEUS CARITAS EST" (BENEDETTO XVI, 2006).
venerdì 18 maggio 2012
Introduzione.
Dante, alle origini del moderno!!! Pace, giustizia e libertà nell’aiuola dei mortali
Testi:
A. LA CARITA’ O IL RETTO AMORE
Monarchia, I. 11:
[...] ora il Monarca non ha più nulla da desiderare, poiché la sua giurisdizione è limitata soltanto dall’oceano (il che non si verifica per gli altri prìncipi i cui dominii confinano con altri dominii, come, per es., quello del re di Castiglia, che confina con quello del re di Aragona); quindi il Monarca, tra tutti gli uomini, è il (...)

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> LA "MONARCHIA" DI DANTE, IL GIUSTO AMORE, E --- L’indagine di Aristotele alla ricerca della verità. Una nota sul libro I della Metafisica (di Chiara Lalli).

mercoledì 16 maggio 2012

L’indagine di Aristotele alla ricerca della verità

Un metodo per avvicinarsi alla conoscenza

di Chiara Lalli (Corriere, 16.05.2012)

Perché dovrebbe interessarci leggere o rileggere il libro I della Metafisica di Aristotele? «Il prefisso iterativo davanti al verbo "leggere" può essere una piccola ipocrisia da parte di quanti si vergognano d’ammettere di non aver letto un libro famoso» scriveva Italo Calvino in Perché leggere i classici, a commento della prima proposta di definizione dei classici, ovvero «quei libri di cui si sente dire di solito "Sto rileggendo..." e mai "Sto leggendo..."». E non c’è dubbio che la Metafisica sia un classico del pensiero, che sembra soddisfare molte delle ulteriori definizioni offerte da Calvino: ogni rilettura è una scoperta e persiste come un rumore di fondo.

Che cosa possiamo trovare o ritrovare in queste pagine aristoteliche? La meraviglia (thauma) della filosofia, la ricerca della verità, la scienza delle cause ultime, la risposta ai problemi che ognuno di noi si trova a risolvere. Certo, la scienza da Aristotele è molto cambiata: il suo universo era lo stesso di Tolomeo, il cosmo immaginato come costituito da cieli concentrici, uno incastrato nell’altro, mossi ognuno da quello precedente e infine dal Primo Mobile, il cielo verso cui tutti gli altri si muovono perché vi tendono, ne sono attratti. Certo, alcune formulazioni aristoteliche possono essere ostiche o quasi incomprensibili per chi non abbia familiarità con le discussioni filosofiche e con gli argomenti trattati.

Tuttavia c’è un primo livello accessibile a tutti: Aristotele ci prende per mano e ci conduce nelle viscere della filosofia, nella filosofia che cerca di definire se stessa e che si offre come metodo di avvicinare la realtà. Non solo: nel I libro, che esce sabato con il «Corriere», è lo stesso Aristotele a confrontarsi con chi lo aveva preceduto e a tracciare quella che potrebbe considerarsi la prima storia della filosofia.

Quel colloquio virtuale con Parmenide, Platone, Empedocle e i Pitagorici è una vera e propria palestra mentale. Un invito a domandarsi il perché e una sfida a cercare ipotesi sempre più convincenti. Una parte rilevante del libro I è dedicata alla definizione della filosofia come conoscenza delle cause e dei principi primi - il perché delle cose. «Diciamo di conoscere una cosa quando riteniamo di conoscerne la causa prima».

Le cause prime sono quattro: materiale, formale, efficiente e finale. La forma e la materia sono profondamente intrecciate: in un tavolo la materia è ciò di cui è fatto, la forma è il modo in cui è realizzato. La forma ha una superiorità ontologica sulla materia, è causa prima dell’essere. Aristotele direbbe che la materia è desiderio della forma. Per gli oggetti artificiali la causa efficiente è l’agente - colui che costruisce il tavolo - ma per i fenomeni naturali? Il rischio è quello di rimandare all’infinito la causa motrice o di ipotizzare un Dio, che secondo Aristotele non basterebbe a spiegare il movimento e la pluralità delle sostanze. Ed ecco che arriviamo alla quarta causa, quella finale, la più affascinante: il movimento si spiega come movimento verso, come tendenza a, come attrazione che ci spinge a muoverci verso qualcosa che è immobile e non ha quindi bisogno di una causa efficiente.

Addentrandoci nel mondo aristotelico possiamo trovare zone d’ombra o formulare domande che non hanno una risposta. Sappiamo che quell’anelito finale è stato messo in crisi, ma il valore dell’ipotesi esplicativa rimane intatto, così come rimane intatta la seduzione di questa spiegazione. Non solo: se la visione teleologica del mondo fenomenico è stata spazzata via - pur permanendo nelle visioni del mondo connotate dalla religione - rimane senza dubbio attuale il metodo aristotelico, quella dialettica che permea non solo la Metafisica ma tutta l’opera di Aristotele. E se è vero che siamo in grado di godere dello spirito dialettico quanto più conosciamo gli argomenti di cui si discute, è innegabile che si può apprezzare - o cominciare ad apprezzare - il metodo anche non avendo familiarità né con la filosofia né con i temi trattati da Aristotele.

Ognuno di noi ha a che fare con la verità e, come dice Aristotele, la verità è alla portata di tutti e dobbiamo imparare a vederla, come gli occhi delle nottole devono abituarsi alla luce del giorno. E a riconoscerla, altrimenti rischiamo di fare come i pesci giovani che si sentono chiedere dal pesce anziano «Com’è l’acqua?» e rispondono «Che diavolo è l’acqua?» (David Foster Wallace al Kenyon College, 1995).


L’angosciato stupore umano

-  Corriere 16.5.12

Autore di estrema densità teoretica, Aristotele, nel primo libro della sua Metafisica (che sarà in edicola il 19 maggio con la prefazione nuova e inedita del filosofo Emanuele Severino) concentra già nei primi tre capitoli non solo le argomentazioni che poi saranno elaborate negli altri libri, quindi la summa della sua metafisica, ma anche un quadro dello stato della filosofia dell’epoca, un ritratto in cui, come illustra Severino nella prefazione, «la filosofia parla della filosofia». Aristotele indaga qui le radici del pensiero filosofico, il suo rapporto originario con il thauma, cioè la meraviglia, ma anche, al tempo stesso, il «mostro», o (come spiega Severino) «l’angosciato stupore» del sapere umano di fronte alla natura. Cosicché, se tramite il mythos l’uomo apprende «da quali Potenze siano prodotti il dolore e la morte, e il mondo stesso», afferma Severino, la filosofia è anche il modo che la sapienza umana ha escogitato per liberarsi dal thauma, dallo spavento, tramite «la conoscenza delle Potenze che producono il dolore». (i.b.)


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