I tweet del papa e la catapulta di Bush
di Massimo Faggioli (L’Huffington Post, 11 dicembre 2012)
La macchina comunicativa vaticana non ha mai avuto paura della modernizzazione dei mezzi atti a raggiungere i fedeli e l’universo mondo. Da questo punto di vista, l’approdo del papa su Twitter rappresenta solo l’ultimo passo, per ora, di un cammino iniziato almeno con Leone XIII nell’uso dei moderni mass media. Gli esperti di comunicazione giudicheranno che tipo di utente è papa Benedetto XVI (o meglio, chi per lui interagisce con questo sistema di comunicazione).
Ma per i cattolici, e i teologi specialmente, "il papa su Twitter" apre una questione relativa agli effetti di questa immediatezza digitale sulle strutture della chiesa e sulle idee che cattolici e non cattolici hanno della chiesa cattolica. Twitter, analogamente alla televisione, dona al papa una nuova accessibilità sia in termini di spazio che di tempo: per vedere il papa non è necessario andare a Roma, per sapere quello che dice non è necessario attendere che arrivino per posta le sue parole. Ma dal punto di vista del funzionamento della chiesa come comunità di credenti con venti secoli di storia alle spalle, è evidente che l’immediatezza e accessibilità indeboliscono la dimensione della "chiesa come comunione" perché indeboliscono, fino talvolta a rendere superflui, molti dei mediatori del messaggio della chiesa - parroci, vescovi, catechisti, genitori, teologi - e tende evidentemente a rendere superflui anche i giornalisti.
Dal concilio Vaticano I (1869-1870) in poi il sistema "chiesa cattolica" ha dato molta più visibilità e poteri al papa di Roma, grazie alle definizioni sul primato e sull’infallibilità papale. Oggi l’immediatezza e l’accessibilità istantanea della parola del papa grazie alle tecnologie come Twitter moltiplicano all’interno della chiesa gli effetti di quel "doping ecclesiologico" deciso dal Vaticano I sotto pressione di papa Pio IX. E’ un fatto nuovo. Infatti, nella lunga storia del cristianesimo ogni documento del magistero della chiesa è sempre sottoposto ad un processo di "recezione": una interpretazione mediata di ogni pronunciamento magisteriale che deve tenere conto del contesto storico del documento, fare una esegesi del testo, e comprendere la posizione di quel testo nel vasto corpus della tradizione della chiesa.
L’immediatezza e l’accessibilità istantanea della parola del papa, invece, indeboliscono indubbiamente il processo di recezione, perché è un processo che ha bisogno di tempi lunghi e di agenti mediatori di quel messaggio all’interno della chiesa: la recezione lavora su testi lunghi e complessi - lunghezza e complessità che non sono un ostacolo, ma al contrario la condizione necessaria per l’interpretabilità di ogni testo religioso.
Non è chiaro se i tweet del papa saranno un conversation starter o un conversation stopper tra il papa e i suoi followers. Ma la nuova leva (americana) di comunicatori professionisti in Vaticano sembra essere andata a lezione da George W. Bush, che spiegò, in un non raro (per lui) momento di candore, che gran parte del suo mestiere di presidente consisteva nel "catapultare la propaganda" al fine di "scavalcare" la stampa e raggiungere direttamente i cittadini. Quella di Bush non era certo una professione di fede nel ruolo della libera stampa in una democrazia. La chiesa non è una democrazia, e il papa su Twitter potrebbe rendere i meccanismi di potere e di autorità ancora di più accentrati su Roma.