Inconscio digitale
Nell’era della trasparenza e dei Big Data, le emozioni online orientano in modo nuovo la lettura della realtà quotidiana
I social network costituiscono un sistema integrato di pulsioni, desideri e frustrazioni che circolano alla velocità della luce modificando le percezioni e aggiornando la definizione di Freud
di Derrick De Kerckhove (la Repubblica, 28.06.2015)
Siamo entrati nell’era della trasparenza. Istantanea e onnipresente, la condizione digitale realizza una nuova forma di comunità virtuale molto particolare. I nostri smartphone ci rendono nodi di un ipertesto globale. L’essere costantemente connessi riduce il sentimento della solitudine perché tutti diventiamo sempre e ovunque raggiungibili. Siamo completamente trasparenti: un uomo connesso non è un uomo indipendente. Si tratta di un cambiamento di civiltà. Questa mutazione nasce da un nuovo matrimonio del linguaggio con l’elettricità. Ogni volta che il linguaggio umano cambia di medium cambia anche l’etica.
Nell’Occidente, superando il concetto di privacy, la gente sta perdendo il controllo della sua intimità. La società in cui viviamo divide la realtà in due spazi opposti e non sa ancora bene come integrarli tra loro: lo spazio “privato” e lo spazio che potremmo definire “invaso”. Si pensa generalmente che la nostra identità, il senso che abbiamo di noi stessi, sia una cosa privata, dove non si può entrare senza permesso. Ma nello “spazio invaso”, il “privato” si riduce notevolmente. Vivere concentrati su uno schermo per quasi tutto il nostro tempo porta a un rovesciamento dell’orientamento mentale. Invece di interiorizzare un’informazione nel silenzio della lettura, di meditarla dentro di noi, la pubblichiamo su Facebook e su Twitter. Lo spazio della Rete è essenzialmente relazionale: sposta l’attenzione e la comunicazione all’esterno di noi. Nei social media l’identità si costituisce come proiezione e distribuzione del sé fuori dal luogo del corpo.
In tanti ormai siamo consapevoli di essere tracciati completamente, però forse sottovalutiamo ancora che questa “invasione” va molto oltre lo sfruttamento dei dettagli personali inseriti su Facebook e su Twitter. La nostra vita diventa via via più trasparente nel moltiplicarsi di dati e di reti personali, attraverso social network e sistemi automatizzati che registrano le nostre attività sociali, economiche e culturali. I dati di tutti i nostri movimenti e azioni on e off-line - e tra non molto tempo, anche i nostri pensieri e sentimenti - vengono continuamente archiviati nelle banche dati del mondo.
Al tempo dei Big Data, basta sviluppare un programma che sceglie configurazioni di dati pertinenti per estrarre un’informazione che può servire a chiunque. Questa presenza di dati potenzialmente estraibili su ciascuno di noi è quello che chiamo l’“inconscio digitale”.
Il sapere della Rete veicola le forme del nostro inconscio digitale. Appare dunque interessante interrogarsi sulle sue modalità di definizione e di sviluppo, alla luce delle tensioni tra l’emisfero “razionale” e quello “intuitivo” del web, tra la funzione di analisi e quella di “cattura emozionale”. L’inconscio digitale prende forma e si sviluppa attraverso le diverse forme di sapere e di informazione che circolano nella Rete. Orienta la definizione della realtà quotidiana di ciascuno di noi e del mondo sociale in un processo connettivo che si nutre delle modalità di interazione tra gli individui. Rappresenta l’informazione - e la forma delle associazioni tra le informazioni - alla base dei nostri processi mentali e delle nostre azioni.
Con Freud, la psicoanalisi fonda la teoria della mente a partire dal concetto di inconscio. La dimensione inconscia è caratterizzata da istinti e desideri che non si manifestano a livello razionale e che, pertanto, non sono immediatamente controllabili. Tuttavia, tale dimensione guida e indirizza i comportamenti individuali.
L’inconscio digitale si caratterizza per la sua portata globale, per la straordinaria velocità attraverso cui consente l’accesso alle informazioni, per la possibilità istantanea di raccogliere e far emergere a livello cosciente una considerevole collezione di dati, correlati in diverse configurazioni in tempo quasi reale. Il problema principale non è legato all’uso etico delle tecnologie, benché questo sia senza dubbio preoccupante.
Il problema fondamentale è che, come al solito, la tecnologia cambia l’etica personale. Attraverso le tecnologie, l’etica della persona “individuale” diviene quella della persona “sociale”. Dobbiamo essere preparati, ricevere una corretta educazione e alfabetizzazione perché finora nessuno vieta nulla in Rete. In Rete non c’è un codice di convivenza civile. La mia ambizione è di proporre gli elementi di un’etica di condivisione e di trasparenza ormai indispensabile.
La vita emozionale in Rete è sviluppatissima. La gente sente sempre più il bisogno di condividere dettagli su di sé e sulle sue idee politiche. In Rete manca il senso del pudore. I social media trasportano le emozioni e le fanno condividere. Funzionano come un sistema integrato di pulsioni, desideri, frustrazioni, che circolano alla velocità della luce. I grandi movimenti a partire dalle primavere arabe, passando per Occupy Wall Street e Los Indignados, sono stati emozioni collettive e connettive che hanno attraversato frontiere e culture.
La scintilla che ha scatenato l’incendio è indubbiamente WikiLeaks. Dalla pubblicazione dei dispacci segreti su WikiLeaks alla rivolta in Tunisia c’è un passaggio non di strategie, ma di sentimento inconscio. WikiLeaks è stato un momento di risveglio sull’ipocrisia dei governi. Un’ipocrisia e una doppiezza in un certo senso necessari alla diplomazia, ma a tutto c’è un limite. C’è stata una richiesta di responsabilità nei confronti del potere. I nuovi media non hanno certo creato questo sentimento, tuttavia l’hanno reso visibile a livello locale e globale. Il ragazzo egiziano che vede ribellarsi il ragazzo tunisino si sente chiamato in causa, indipendentemente dalla distanza geografica. Lo stesso vale per tutti gli altri. Come diceva Marshall McLuhan, i linguaggi elettronici hanno fatto del mondo intero l’estensione della nostra pelle.
Nei media collegati alla Rete, si scatenano numerosi eventi cognitivi ed emotivi che passano da persona a persona, motivando alla condivisione di esperienza e all’azione politica. La mappa geopolitica del mondo intero è stata cambiata dall’arrivo sulla scena, attraverso la Rete, di una nuova classe politica, di un nuovo attore: la “massa interattiva”. Non è piu la massa anonima e amorfa del passato, quella della “Silent Majority”, della maggioranza silenziosa. Ora la maggioranza non tace più. La massa interattiva è il tipo di massificazione umana costituito dalle connessioni tra tanti individui che possono rispondere a modo loro a qualsiasi tipo di situazione. È una massa “connettiva”, non banalmente “collettiva”. Possiamo immaginare pure con Manuel Castells che si tratta della collaborazione fra tanti “mass individuals”. Le relazioni che si stabiliscono tra individui connessi sono molto più complesse e articolate di quelle che intercorrono tra singoli che formano una massa anonima. Sono una chiacchierata ininterrotta, una conversazione moltiplicata in un tempo infinito.
Questa nuova condizione di condivisione in tempo reale di informazione e di sentimenti e opinioni di ciascuno richiede un ordine emozionale che chiamo “sistema limbico sociale”. Ci troviamo di fronte a un benchmark , un momento di inizio che nessuno avrebbe potuto prevedere. I giovani e Internet stanno consegnando alla storia quel che ancora rimaneva in piedi del XX secolo. Il potere deve fare i conti con la potenza difficilmente contenibile delle intelligenze connettive messe in moto dal web.
Siamo in un momento storico paragonabile a quello della Rivoluzione francese. L’ambiente in cui la persona digitale vuole vivere quale sarà? Esistono segnali evidenti di una richiesta globale di correttezza politica, per una società della condivisione. Non dobbiamo dimenticare a questo punto il transculturalismo, e nello stesso tempo dobbiamo valutare con molta attenzione le resistenze, quasi criminali, di coloro che difendono lo status quo.
Lo scenario possibile dunque è una collaborazione interculturale a tutti i livelli, dove l’ambiente sarà l’oggetto della ritrovata unione dell’umanità, e la preoccupazione principale di tutte le culture insieme. La persona digitale non vorrà solo avere risposte sul clima dal suo gadget tecnologico, ma vorrà sapere come sta il mondo. Il futuro è una app che ci tiene informati sulla salute del mondo.