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Dopo Copernico, l’uomo rotola dal centro verso la "X". Fine dell’"uomo teoretico": Web, Terra, e Mutamenti Antropologici.

PENSIERO LIQUIDO E CROLLO DELLA MENTE. Sulle nuove frontiere della riflessione estetica, un originale saggio di Gaetano Mirabella, scrittore e collaboratore del "McLuhan Program in culture and technology" di Toronto - a cura di Federico La Sala

Verso un sentire pensante. Il corpo nell’epoca della Transnaturalità elettronica.
giovedì 7 ottobre 2010 di Federico La Sala
[...] Il crollo della mente è un evento che non è stato percepito e adeguatamente segnalato forse a causa dell’eccessiva attenzione verso l’intelligenza artificiale e le neuroscienze [...] L’estetica tradizionale non riesce più a spiegare che cosa accade intorno a noi, e che cosa proviamo [...]
Festival internazionale della Filosofia in Sila: alcune foto - foto di Gaetano Mirabella, in fondo.
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"E se l’amore non fosse altro che una sofisticata, arcaica (...)

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> PENSIERO LIQUIDO E CROLLO DELLA MENTE. --- Contro il naufragio della società liquida, a Roma Intellettuali francesi e italiani a confronto (di Giovanni Ruggiero).

sabato 18 aprile 2009

Contro il naufragio della società liquida

-  Roma.
-  Intellettuali francesi e italiani a confronto sulla crisi. De Rita: «Il crollo è dei vertici».
-  Galli Della Loggia: «C’è un populismo dei piccoli contro i grandi».
-  Lo scrittore Lambron: «Ormai il logo ha sostituito il logos».
-  Glucksmann: «Però la globalizzazione ha anche vinto la miseria». Forte: «Meticciato, nave per riprendere il largo»

DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO (Avvenire, 18.04.2009)

Se di crisi si occupano non soltan­to gli economisti, ma anche gli sto­rici, i sociologi, i filosofi e perfino i poeti, si scopre che, dietro le «bolle fi­nanziarie », i «titoli tossici» e la soffe­renza della gente, soprattutto nelle fa­sce meno abbienti, c’è una crisi più profonda che interessa l’intero Occi­dente e la globalizzazione che scatena, adesso, dopo l’idolatria, reazioni popu­l­iste.

L’ Académie de France di Roma e il mi­nistero italiano per i Beni e le attività culturali hanno proposto su questi te­mi una conversazione tra intellettuali dei due Paesi. Fanno emergere una cri­si a tutto tondo, almeno con quattro fac­ce: una crisi che investe, oltre al mon­do economico, l’ambito politico, socia­le e morale. Quella economica, che cor­risponde o quanto meno può essere pa­ragonata alla crisi del ’29, ha l’epicen­tro negli Usa, ma l’altra crisi che fa da sfondo è stata in qualche modo vatici­nata nel 1958 - come qualcuno ha ri­cordato - da Hannah Arendt che, nel­la Vita activa , scriveva: «La mancanza di pensiero - l’incurante superficialità o la confusione senza speranze o la ripe­tizione compiacente di ’verità’ diven­tate vuote e trite - mi sembra tra le prin­cipali caratteristiche del nostro tempo».

Il filosofo francese Andrè Glucksmann riprende queste origini lontane e, allar­mato, ricorda che la crisi del capitali­smo moderno potrebbe portare il nu­mero dei disoccupati a 50 milioni nel mondo. Ma, con gusto polemico e con­trocorrente, ne tessa anche le lodi: «Tut­tavia non bisogna mai dimenticare che da 30 anni la globalizzazione ha anche eliminato la disperazione e la miseria totale per almeno un miliardo di per­sone, in particolare per i cinesi e gli in­diani. Questo non vuol dire che adesso questa gente vive bene, ma almeno è u­scita, in parte, dalla disperazione tota­le nella quale stava prima. Bisogna quin­di tener conto anche di questo».

La protesta contro la globalizzazione, però, è evidente. La fa notare Ernesto Galli della Loggia sottolineando come sia penetrata nelle metropoli dell’Occi­dente: «Si tinge di nuovi contenuti po­litici e culturali trasformandosi in un populismo dei piccoli contro i grandi. Una vena di neo-populismo contro il carattere oligarchico che assume a livello planetario l’establishment. C’è una insof­ferenza verso la transnaziona­lità dell’apparato economico. Tuttavia - aggiunge - la demo­crazia ha bisogno di un popu­lismo democratico».

La crisi e noi: a monsignor Bru­no Forte, il teologo arcivesco­vo di Chieti, viene in mente, per rappresentare questo rapporto, Hans Blumenberg e il suo Nau­fragio con spettatore. Spiega l’attuale cri­si con quattro metafore: la prima è ap­punto quella del naufragio: «In questa contingenza - corregge - lo spettatore non è più al sicuro sulla terraferma. Nel­la condizione attuale naufragio e spet­tatore si identificano». Altra metafora è la liquidità, per cui mancano punti di riferimento fermi: impera il pensiero debole con la perdita di ogni riferimen­to al trascendente. Poi ancora la me­tafora dell’assemblaggio di una nave costruita con i pezzi più disparati che ven­gono a riva dal naufragio. «È il metic­ciato - nota Forte - che è sempre esisti­to, ma che può essere una cultura viva perché è incontro e rispetto reciproco». Infine la metafora della navigazione. È indubbio che la nave deve riprendere il largo. Bruno Forte indica come stru­menti per tracciare la rotta giusta la no­stra Costituzione e il Codice di Camal­doli del 1943, con l’idea della centralità della persona che per Mounier non è un oggetto ma «ciò che non può essere trattato come oggetto».

I colloqui a Villa Medici sono bilingui. Al nostro ministro Sandro Bondi, per il quale occorrerebbe «socializzare e non statalizzare per incorporare l’economi­co nel sociale», fa da contrappunto il ministro francese del budget, Eric Woerth, il quale sostiene che «questa crisi può portarci a creare un nuovo mondo nuovo, e ci invita a riflettere su quello che siamo». Ma cosa siamo a­desso?

Marc Lambron, scrittore e criti­co letterario, una delle voci francesi del dibattito, amante del paradosso dice con graffiante ironia che oggigiorno «il logo ha sostituito il logos», intendendo dire che viviamo il clima degli anni ’80, «quando il denaro era un segno della nostra esistenza e c’era una perfetta coincidenza dell’essere con l’avere».

Quanto al sistema instaurato e adesso in crisi, secondo Giuseppe De Rita si è conformato su un modello piramidale: «La crisi - dice il sociologo - viene dai vertici dell’oligarchia internazionale, dall’apice dell’apice della finanza. Han­no resistito meglio i Paesi, come l’Italia, che hanno una struttura economica meno verticistica». E fa gli esempi del­la piccola impresa o anche del lavoro sommerso. Insomma, ha resistito la ba­se.

Viviamo dunque una crisi che è anche dei valori, della religione, della politica e del­le scienze europee, come ri­corda il filosofo Adriano Pes­sina che cita Edmund Hus­serl. Manca, secondo Pessi­na, o quanto meno è stato di­menticato il concetto di be­ne comune che indica la «causa comune» come «spa­zio condiviso e pubblico nel quale si esercita la cittadi­nanza del pluralismo delle visioni del mondo e delle cose». È nato un nuovo mito: l’autorealizzazione dell’individuo che è sempre sullo sfondo delle crisi e­conomiche. Un mito cinico perché, di­ce Pessina, «nel conflitto delle autorea­lizzazioni è dato per assodato che ci sa­ranno sempre dei perdenti e che la cri­si possa essere un pedaggio da far pa­gare a qualcuno». Chi è stato all’origine della crisi attuale l’ha pensata sicura­mente così.


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