Contro il naufragio della società liquida
Roma.
Intellettuali francesi e italiani a confronto sulla crisi. De Rita: «Il crollo è dei vertici».
Galli Della Loggia: «C’è un populismo dei piccoli contro i grandi».
Lo scrittore Lambron: «Ormai il logo ha sostituito il logos».
Glucksmann: «Però la globalizzazione ha anche vinto la miseria». Forte: «Meticciato, nave per riprendere il largo»
DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO (Avvenire, 18.04.2009)
Se di crisi si occupano non soltanto gli economisti, ma anche gli storici, i sociologi, i filosofi e perfino i poeti, si scopre che, dietro le «bolle finanziarie », i «titoli tossici» e la sofferenza della gente, soprattutto nelle fasce meno abbienti, c’è una crisi più profonda che interessa l’intero Occidente e la globalizzazione che scatena, adesso, dopo l’idolatria, reazioni populiste.
L’ Académie de France di Roma e il ministero italiano per i Beni e le attività culturali hanno proposto su questi temi una conversazione tra intellettuali dei due Paesi. Fanno emergere una crisi a tutto tondo, almeno con quattro facce: una crisi che investe, oltre al mondo economico, l’ambito politico, sociale e morale. Quella economica, che corrisponde o quanto meno può essere paragonata alla crisi del ’29, ha l’epicentro negli Usa, ma l’altra crisi che fa da sfondo è stata in qualche modo vaticinata nel 1958 - come qualcuno ha ricordato - da Hannah Arendt che, nella Vita activa , scriveva: «La mancanza di pensiero - l’incurante superficialità o la confusione senza speranze o la ripetizione compiacente di ’verità’ diventate vuote e trite - mi sembra tra le principali caratteristiche del nostro tempo».
Il filosofo francese Andrè Glucksmann riprende queste origini lontane e, allarmato, ricorda che la crisi del capitalismo moderno potrebbe portare il numero dei disoccupati a 50 milioni nel mondo. Ma, con gusto polemico e controcorrente, ne tessa anche le lodi: «Tuttavia non bisogna mai dimenticare che da 30 anni la globalizzazione ha anche eliminato la disperazione e la miseria totale per almeno un miliardo di persone, in particolare per i cinesi e gli indiani. Questo non vuol dire che adesso questa gente vive bene, ma almeno è uscita, in parte, dalla disperazione totale nella quale stava prima. Bisogna quindi tener conto anche di questo».
La protesta contro la globalizzazione, però, è evidente. La fa notare Ernesto Galli della Loggia sottolineando come sia penetrata nelle metropoli dell’Occidente: «Si tinge di nuovi contenuti politici e culturali trasformandosi in un populismo dei piccoli contro i grandi. Una vena di neo-populismo contro il carattere oligarchico che assume a livello planetario l’establishment. C’è una insofferenza verso la transnazionalità dell’apparato economico. Tuttavia - aggiunge - la democrazia ha bisogno di un populismo democratico».
La crisi e noi: a monsignor Bruno Forte, il teologo arcivescovo di Chieti, viene in mente, per rappresentare questo rapporto, Hans Blumenberg e il suo Naufragio con spettatore. Spiega l’attuale crisi con quattro metafore: la prima è appunto quella del naufragio: «In questa contingenza - corregge - lo spettatore non è più al sicuro sulla terraferma. Nella condizione attuale naufragio e spettatore si identificano». Altra metafora è la liquidità, per cui mancano punti di riferimento fermi: impera il pensiero debole con la perdita di ogni riferimento al trascendente. Poi ancora la metafora dell’assemblaggio di una nave costruita con i pezzi più disparati che vengono a riva dal naufragio. «È il meticciato - nota Forte - che è sempre esistito, ma che può essere una cultura viva perché è incontro e rispetto reciproco». Infine la metafora della navigazione. È indubbio che la nave deve riprendere il largo. Bruno Forte indica come strumenti per tracciare la rotta giusta la nostra Costituzione e il Codice di Camaldoli del 1943, con l’idea della centralità della persona che per Mounier non è un oggetto ma «ciò che non può essere trattato come oggetto».
I colloqui a Villa Medici sono bilingui. Al nostro ministro Sandro Bondi, per il quale occorrerebbe «socializzare e non statalizzare per incorporare l’economico nel sociale», fa da contrappunto il ministro francese del budget, Eric Woerth, il quale sostiene che «questa crisi può portarci a creare un nuovo mondo nuovo, e ci invita a riflettere su quello che siamo». Ma cosa siamo adesso?
Marc Lambron, scrittore e critico letterario, una delle voci francesi del dibattito, amante del paradosso dice con graffiante ironia che oggigiorno «il logo ha sostituito il logos», intendendo dire che viviamo il clima degli anni ’80, «quando il denaro era un segno della nostra esistenza e c’era una perfetta coincidenza dell’essere con l’avere».
Quanto al sistema instaurato e adesso in crisi, secondo Giuseppe De Rita si è conformato su un modello piramidale: «La crisi - dice il sociologo - viene dai vertici dell’oligarchia internazionale, dall’apice dell’apice della finanza. Hanno resistito meglio i Paesi, come l’Italia, che hanno una struttura economica meno verticistica». E fa gli esempi della piccola impresa o anche del lavoro sommerso. Insomma, ha resistito la base.
Viviamo dunque una crisi che è anche dei valori, della religione, della politica e delle scienze europee, come ricorda il filosofo Adriano Pessina che cita Edmund Husserl. Manca, secondo Pessina, o quanto meno è stato dimenticato il concetto di bene comune che indica la «causa comune» come «spazio condiviso e pubblico nel quale si esercita la cittadinanza del pluralismo delle visioni del mondo e delle cose». È nato un nuovo mito: l’autorealizzazione dell’individuo che è sempre sullo sfondo delle crisi economiche. Un mito cinico perché, dice Pessina, «nel conflitto delle autorealizzazioni è dato per assodato che ci saranno sempre dei perdenti e che la crisi possa essere un pedaggio da far pagare a qualcuno». Chi è stato all’origine della crisi attuale l’ha pensata sicuramente così.