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Dopo Copernico, l’uomo rotola dal centro verso la "X". Fine dell’"uomo teoretico": Web, Terra, e Mutamenti Antropologici.

PENSIERO LIQUIDO E CROLLO DELLA MENTE. Sulle nuove frontiere della riflessione estetica, un originale saggio di Gaetano Mirabella, scrittore e collaboratore del "McLuhan Program in culture and technology" di Toronto - a cura di Federico La Sala

Verso un sentire pensante. Il corpo nell’epoca della Transnaturalità elettronica.
giovedì 7 ottobre 2010 di Federico La Sala
[...] Il crollo della mente è un evento che non è stato percepito e adeguatamente segnalato forse a causa dell’eccessiva attenzione verso l’intelligenza artificiale e le neuroscienze [...] L’estetica tradizionale non riesce più a spiegare che cosa accade intorno a noi, e che cosa proviamo [...]
Festival internazionale della Filosofia in Sila: alcune foto - foto di Gaetano Mirabella, in fondo.
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"E se l’amore non fosse altro che una sofisticata, arcaica (...)

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> PENSIERO LIQUIDO E CROLLO DELLA MENTE. --- Dalle macchine del ’700 ai robot, l’artificiale è sempre più una protesi umana.

martedì 16 giugno 2009

Nell’ultimo libro di Tagliasco e Manzotti e in quello di Sini una riflessione sul libero arbitrio della tecnologia

Penso, quindi sono (un automa)

Dalle macchine del ’700 ai robot, l’artificiale è sempre più una protesi umana

di Giulio Giorello (Corriere della Sera, 16.06.2009)

Nel Giappone dei Tokugawa (1600-1867) erano di moda bambole che servivano il tè, puntigliosamente descritte nel manuale (1769) dell’arti­sta Hosokawa. Pressoché contemporaneamen­te Giacomo Casanova passava di conquista in conquista fino a incontrare, a un ballo, la donna ideale. Sorpresa: è una dama meccanica, come si scopre quando, per un guasto, «lei» continua a danzare con una gamba tutta irrigidita. La tec­nica ha sedotto il grande seduttore: almeno nel­la finzione cinematografica, poiché il tutto è un’invenzione di Federico Fellini ( Casanova, 1976). Ma è una buona trovata: nel Settecento dei Lumi, dei libertini e dei meccanismi meravi­gliosi e stupefacenti, Pierre Jacquet-Droz e suo figlio Henri avevano scolpito in legno un pu­pazzo alto ventotto pol­lici, dotato di congegni che gli permettevano di mettere su carta un certo numero di frasi. Memore, per così dire, di Cartesio l’Automa Scrivano se ne uscì con la battuta: «Non pen­so, dunque non sarò mai». Nel 1946 un mec­canico dilettante, tal Weisendanger, ripren­dendo i piani dei fanta­siosi artigiani di due secoli prima, riuscì a co­struire una macchina in grado di scrivere a ma­no. Pare abbia commentato: «Credo che la gen­te troverebbe bizzarro che un uomo della no­stra epoca dedichi tempo e fatica a un oggetto così futile».

Traggo queste notizie dallo splendido Dizio­nario degli esseri umani fantastici e artificiali redatto con curiosità e intelligenza da Vincenzo Tagliasco (bioingegnere dell’Università di Geno­va, scomparso l’anno scorso) per Mondadori un decennio fa. Cyborg, replicanti, robot, mutanti, dopo aver popolato le saghe di quella moderna mitologia che è la fantascienza, stanno entran­do nella nostra esistenza quotidiana. Chissà se dobbiamo «ringraziare» più l’immaginazione letteraria di Mary Shelley o di E.T.A. Hoffmann che le astrazioni matematiche di Alan Turing, di Norbert Wiener o di John von Neumann?

Una storia della fantamatematica - sofistica­te geometrie di computer e formule numeriche per calcolatrici potentissime - deve essere an­cora scritta. Certo, un posto d’onore spetterà a René Descartes, ovvero Cartesio, non solo per la sua Geometria ma anche per il suo Metodo (1637). Filosofo e matematico, tormentato dal dubbio che il mondo fosse illusione, era sfiora­to anche dal sospetto di non essere molto di più di un congegno meccanico, costruito «da un non so qual Genio Maligno». Unica scappato­ia: se dubito, penso; e quindi: «Penso, dunque sono». La sua personale esperienza di creatura dubitante garantiva così a Cartesio di esistere. Anzi, Dio ci ha creato come sostanze pensanti; a nostra volta, noi possiamo creare delle macchi­ne, perché operiamo nel più vasto dominio del­la materia. E il nostro corpo (il nostro cervello, i nostri occhi, le nostre mani) è materiale, mac­china esso pure. Dagli orologi e dalle calcolatri­ci prodotti dagli artefici umani, però, ci distin­guiamo perché possediamo il «pensiero indi­pendente », cioè «l’anima».

Apprezziamo allora l’ironia del piccolo Scri­vano: le macchine «ci sono» e forse vivono e pensano per davvero. Almeno, a partire dal se­colo scorso: sono capaci di autoalimentarsi e muoversi autonomamente (come le «tartaru­ghe elettriche» di Gray Walter), di pianificare la generazione di altre macchine (gli automi ca­paci di autoriprodursi ideati da von Neumann), di eseguire ad altissima velocità una miriade di operazioni logiche e aritmetiche (i «dinosauri del calcolo», come li chiamava Reymond Que­neau, cioè gli ingombranti calcolatori del Dopo­guerra da cui si sono però evoluti i nostri agili calcolatori tascabili). Oggi ancora no, ma doma­ni proveranno emozioni e sentimenti.

Eppure, «l’errore di Cartesio» continua ad af­fascinare: soprattutto i filosofi. Ho due libri sul­la mia scrivania, appena usciti. Il primo è Ham­­letica, di Massimo Cacciari (Adelphi), di cui già si è detto sulle pagine del «Corriere». Mas­simo muove, in realtà, dai dubbi non di Carte­sio, bensì di Amleto, il principe di Danimarca che sa a malapena di esistere «nel teatro del mondo», per farci capire come lo shakespea­riano «Essere o non essere» vada inteso come «Agire o non agire». Dopotutto, è il pensiero indipendente che ci mostra che «essere signifi­ca fare»: il mondo è modellato da quell’intrec­cio di percezione, pensiero, azione e passione che costituisce l’esperienza di ciascuno dei suoi «attori». Sia che riescano a realizzare i lo­ro piani o che (com’è il caso di Amleto) finisca­no per «andare errando da naufragio a naufra­gio».

L’altro volume è di Carlo Sini, e s’intitola, guarda caso, L’uomo, la macchina, l’automa (Bollati Boringhieri). E qui incontriamo la do­manda: «Da dove viene la singolare fantasia di riprodurre artificialmente dei simulacri di vi­ta? ». Non è che l’altra faccia, direi, dell’incubo cartesiano di essere una macchina pur illuden­dosi di possedere il libero arbitrio. Eppure, non solo le macchine ma tutte le protesi escogitate dall’uomo (dal bastone che noi o qualche prima­te possiamo usare per far cadere un pomo trop­po alto sull’albero al più potente telescopio orbi­tante) aumentano il potere sull’ambiente; e pro­tesi sono persino le parole, sia orali che scritte; dunque, protesi è anche la cultura. Fin dove arri­va la tua anima? Pare «infinita fino alla più lon­tana stella, che puoi raggiungere coi tuoi occhi o con qualche telescopio», per dirla con lo Ste­phen Dedalus dell’Ulisse di Joyce.

Ma tale infinità è tensione, non possesso. Ogni osservazione può venire integrata o corret­ta, ogni teoria rivista o rovesciata, ogni appara­to migliorato o superato da uno più potente. La nostra autonomia è sempre fisicamente circo­scritta, relativa, parziale. Veramente autonomo sarebbe solo Dio. Pur muovendo da premesse differenti, Cacciari e Sini concordano che solo nell’Essere Supremo si realizza «identità di vo­lontà e di potenza». Ma autonomia ha la stessa radice di automa: quel tipo di macchina che ha in sé il principio del suo movimento. Ci pensi­no bene creazionisti antidarwiniani e sostenito­ri del cosiddetto Disegno Intelligente: se avesse­ro ragione, condannerebbero il loro Dio alla condizione inesorabile di automa perfetto!

Bando alle sottigliezze teologiche: mi piace concludere con un’immagine tratta dall’ultima fatica di Tagliasco (scritta, prima di lasciarci, in­sieme con Riccardo Manzotti: L’esperienza, pubblicata da Codice): l’arcobaleno che scorgia­mo alla fine del temporale «non è come un pon­te di pietra intorno al quale si può girare, né tro­veremo una pentola d’oro a una delle due estre­mità ». Pare muoversi insieme con il suo osser­vatore, e dunque aveva ragione Leonardo da Vinci: «L’arco non è nella pioggia né nell’occhio che lo vede». È in tutt’e due, a mostrarci che, nella realtà della vita, l’Io e il mondo sono cia­scuno parte l’uno dell’altro.


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