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Dopo Copernico, l’uomo rotola dal centro verso la "X". Fine dell’"uomo teoretico": Web, Terra, e Mutamenti Antropologici.

PENSIERO LIQUIDO E CROLLO DELLA MENTE. Sulle nuove frontiere della riflessione estetica, un originale saggio di Gaetano Mirabella, scrittore e collaboratore del "McLuhan Program in culture and technology" di Toronto - a cura di Federico La Sala

Verso un sentire pensante. Il corpo nell’epoca della Transnaturalità elettronica.
giovedì 7 ottobre 2010 di Federico La Sala
[...] Il crollo della mente è un evento che non è stato percepito e adeguatamente segnalato forse a causa dell’eccessiva attenzione verso l’intelligenza artificiale e le neuroscienze [...] L’estetica tradizionale non riesce più a spiegare che cosa accade intorno a noi, e che cosa proviamo [...]
Festival internazionale della Filosofia in Sila: alcune foto - foto di Gaetano Mirabella, in fondo.
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"E se l’amore non fosse altro che una sofisticata, arcaica (...)

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> PENSIERO LIQUIDO --- Web e social network: la rete ha un’ideologia (di Massimo Adinolfi). Facebook va in Borsa. Google migliora il motore di ricerca con l’aiuto della Cia (di Massimo Gaggi)

giovedì 17 maggio 2012


-  Web e social network
-  Facebook: la Rete ha un’ideologia
-  Come cambia la politica ai tempi di Facebook

Il declino dei mediatori esterni ha già modificato lo spazio pubblico. La democrazia non è in pericolo ma è bene usare Internet con spirito critico

di Massimo Adinolfi (l’Unità, 17.05.2012)

ABBIAMO UN PROBLEMA POLITICO CON FACEBOOK. NON SI TRATTA DELL’ASSETTO PROPRIETARIO, DEL VALORE STIMATO DELLA SOCIETÀ O DI PREOCCUPAZIONI PER LA CONCORRENZA. Si tratta proprio di come è organizzato lo spazio virtuale del social network più diffuso al mondo. Se ne è occupato di recente un ricercatore senese, Riccardo Castellana, con l’aiuto degli strumenti della critica letteraria e della ricerca antropologica. In particolare, di René Girard. A Girard dobbiamo infatti una distinzione fondamentale per capire come funziona la creatura di Mark Zuckerberg. Lo studioso francese l’ha applicata fra l’altro ai personaggi di Dostoevskij, di Stendhal o di Flaubert, ma non troppo sorprendentemente torna utile anche a noi. Si tratta della differenza fra mediatore esterno e mediatore interno, e del modo in cui orienta il desiderio umano. Quel che viene mediato è infatti il desiderio, che si dirige su questo oggetto o su quello solo perché qualcun altro vuole questo o quello, rendendolo così desiderabile per noi.

Ma, ecco il punto, un conto è se la mediazione è esercitata da un soggetto ben distante, magari irraggiungibile e idealizzato un mediatore esterno, appunto -, un altro è se invece si tratta di un soggetto a noi vicino, anzi prossimo, così tanto da essere proprio come noi. Un friend, insomma

Su Facebook è questo, infatti, che accade. Niente mediatore esterno, niente figure terze, niente relazioni “verticali” con un ideale lontano, ma una miriade di piccole relazioni orizzontali con individui insieme ai quali condividiamo interessi, scambiamo poke, linkiamo pagine. Sheryl Sandberg, Chief operating officer di Facebook, l’ha spiegata così: «Non importa se a 100.000 persone piace x: se alle tre persone a te più vicine piace y, a te piacerà y». Le tre persone più vicine stanno per l’appunto nella posizione di mediatori interni, e in grazia di questa posizione risultano maledettamente più credibili, diretti, autentici. In una parola, la sola che quando si fa business veramente conta: efficaci.

Ora, se si trattasse solo di strategie di marketing e volumi di vendita, poco male: ci si potrebbe fare ben presto l’abitudine. Ma il fatto è che attraverso questa diversa strutturazione delle relazioni sociali passano profonde modificazioni dello spazio pubblico, e non basta quindi limitarsi ad osservarle con distaccato spirito scientifico. E, si badi, non si tratta nemmeno di rilevare soltanto fenomeni come la spudorata esibizione della vita privata (Facebook è zeppo di fotografie), dalla quale si può dire che quasi più nessuno è immune, o della infantilizzazione dei comportamenti, ossia di quello che Benjamin Barber ha chiamato il nuovo “ethos infantilista” del capitalismo contemporaneo. Il fatto è che in tutti questi casi viene palesemente contraddetto il profilo dell’uomo pubblico così come è stato definito in età moderna.

La sfera pubblica andava infatti rigorosamente distinta dalla sfera privata o familiare della casa: un conto è l’oikos, un altro la polis. La modernità politica nasce anzi proprio quando riesce a spezzare definitivamente ogni parentela o commistione fra quegli spazi e le relazioni che in essi si istituiscono. Ma questa distinzione cede ormai il passo alla confusione, ed è sempre più difficile tracciare in rete i confini del pubblico e del privato.

Quanto all’infantilizzazione degli stili di vita (e delle scelte di consumo): non contraddice forse la figura del cittadino autonomo e responsabile, qualificato giuridicamente e politicamente in virtù della raggiunta maggiore età? Ma ancora più significativa, perché gravida di conseguenze, è la caduta verticale del mediatore esterno: quella infatti era la posizione, il luogo terzo tradizionalmente occupato dalle figure istituzionali: dal maestro, per esempio, o dall’uomo politico. La crisi di autorità del mediatore esterno, il fatto che i nostri sguardi e i nostri desideri si rivolgono in rete molto più facilmente a mediatori interni non a figure idealizzate ma proprio a persone come noi di colpo rischia di invecchiare tutta la comunicazione istituzionale, ma anche di ridefinire i luoghi stessi di formazione e di esercizio della soggettività politica.

Dunque un problema ce l’abbiamo, con Facebook. James Gibson, fondatore della teoria ecologica della percezione, diceva: chiediti non cosa c’è dentro la testa di colui che guarda, ma cosa c’è intorno. Se cambia il paesaggio, cambiano infatti pure le teste e i pensieri. E il paesaggio, indubbiamente, sta cambiando. Dopodiché non si dirà certo che per questo la democrazia è in pericolo, ma perlomeno non si esalteranno acriticamente le nuove forme della partecipazione online o della vita in diretta come straordinari avanzamenti democratici.

Noi conosciamo storicamente la democrazia come luogo della mediazione e della rappresentanza, e certo non è detto che sia l’unica modalità possibile. Poiché però sappiamo anche, grazie a Girard, che assenza di mediazione esterna significa pure possibilità di contagio mimetico e innesco incontrollato di rivalità, abbiamo tutte le ragioni per nutrire simpatia per il nuovo, ma anche per coltivare qualche sana diffidenza e un po’ di spirito critico.


-  Se Facebook va in Borsa con la storia delle nostre vite
-  E Google migliora il motore di ricerca con l’aiuto della Cia

di Massimo Gaggi (Corriere della Sera, 17.05.2012)

NEW YORK - Arriva il «giorno x» per la quotazione di Facebook: stasera, a tarda ora, la fissazione del prezzo (probabilmente vicino ai massimi della nuova «forchetta» alzata da 28-35 a 34-38 dollari, sull’onda di una domanda che pare sia di molte volte superiore all’offerta di titoli). Poi, domani, l’inizio delle contrattazioni al Nasdaq, la Borsa tecnologica di New York.

Sarà un successo perché Facebook in questo momento è l’azienda più popolare del mondo e molta gente è pronta a scommettere sul «social network» proprio perché, visto che riempie la sua vita, ritiene che non possa non avere un elevato valore intrinseco. Gli altri giganti dell’economia digitale hanno tentato fino all’ultimo di tagliarle la strada tirando fuori novità a raffica per mettere un po’ in ombra quello che comunque sarà l’Ipo tecnologica più ricca di tutti i tempi. La settimana scorsa Google ha annunciato una nuova versione della piattaforma Google+, il suo «social network», per l’iPhone. Poi è toccato a Microsoft presentare una versione aggiornata del suo motore, Bing. E ieri è toccato di nuovo a Google annunciare il lancio immediato di Knowledge Graph, il più importante aggiornamento del suo motore di ricerca da quando, nel 2007, fu introdotta la versione «Universal Search».

Il nuovo strumento amplia le capacità di ricerca del motore offrendo nuove opzioni quando si digita, ad esempio, il nome di un architetto o di un pittore. Ci sentiremo chiedere se ci interessano i loro progetti, le loro opere, i rapporti con altri artisti, la storia del loro movimento culturale. Nuove associazioni rese possibili dall’integrazione nel motore Google di altre banche dati come Wikipedia e perfino il World Fact Book della CIA, l’agenzia Usa di «intelligence», che offrono 500 milioni di nuove combinazioni di personaggi, luoghi e fatti. Una novità importante per gli utenti, ma è in cantiere da due anni e gli esperti ne attendevano da tempo il lancio. Che arriva, a poche ore dall’Ipo Facebook.

Che, come detto, agita gli investitori: mentre quelli professionali, pur vedendo la possibilità di un rapido guadagno, restano alla finestra o progettano un «mordi e fuggi» (il 71% degli operatori, secondo un’indagine indipendente, non pensa a Facebook come a un investimento di lungo termine), nel pubblico non specializzato fioriscono gli entusiasti. Molti dei quali, racconta il «Wall Street Journal», sono ponti a investire nella società di Mark Zuckerberg i soldi accantonati per il «college» del figlio (e ormai insufficienti), semplicemente perché trovano naturale scommettere sullo strumento del quale questi ragazzi si servono in continuazione.

Raramente ci si interroga su come possa fare a remunerare un capitale di oltre 100 miliardi una società che l’anno scorso ha registrato un fatturato di 3,7 miliardi di dollari e un miliardo di profitti e che nella prima parte di quest’anno ha addirittura denunciato un calo tanto degli utili quanto del giro d’affari. Momentanea coincidenza di fattori negativi, sostiene Facebook. L’idea di fondo è che un’impresa che è entrata nella vita di oltre 900 milioni di persone prima o poi troverà il modo di monetizzare questa posizione.

Un ragionamento non molto diverso, del resto, fu fatto nel 2004 quando ad andare sul mercato fu Google. Anche la società di Page e Brin allora registrava incassi pubblicitari crescenti ma ancora magri. Google, però, disponeva del motore di ricerca di gran lunga migliore, usato dalla grande maggioranza degli utenti di Internet. Nel lungo periodo quella scommessa ha funzionato, anche se all’inizio l’attesa esplosione del titolo non ci fu: qualche settimana dopo la quotazione si poteva ancora comprare l’azione Google al prezzo d’emissione.

Ma Google vendeva una tecnologia, un sistema di ricerca, un algoritmo. Facebook vende un sistema di socializzazione e un modo di accedere ai dati privati di tutti noi, nella speranza che imprese e inserzionisti pubblicitari attribuiscano un elevato valore a questa montagna di informazioni personali. I critici più polemici sostegno che i «fan» dell’investimento delle reti sociali versano soldi a una società che si sta arricchendo frugando nei loro stessi cassetti per acquisire informazioni da rivendere alle imprese che vogliono costruire profili sempre più precisi dei consumatori.

E non è nemmeno detto che tanta spregiudicatezza paghi: ieri la General Motors ha annunciato che non farà più pubblicità su Facebook: la considera poco efficace, anche se le dichiarazioni ufficiali sono più diplomatiche.

Quello che colpisce di più, però, è che, mentre il pubblico si affolla per conquistare titoli Facebook, diversi dei grandi investitori che hanno comprato in passato pezzi della società a trattativa privata, ora rivendono le loro quote in misura superiore a quanto stabilito finora: la banca Goldman Sachs rivenderà la metà del suo pacchetto (23% del capitale), mentre il «tycoon» russo Yuri Milner mette sul mercato il 40 per cento delle sue azioni: incasserà più di 2 miliardi di dollari.


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