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TERREMOTO, CULTURA, POLITICA E TERRITORIO ...

LA TRAGEDIA DELL’ABRUZZO, UN SECOLO DI TERREMOTI, E IL SENSO DELLA REALTA’ PERDUTO. LA VERITA’ DA RISTABILIRE E L’ ITALIA TUTTA DA RICOSTRUIRE - MORALMENTE E FISICAMENTE. Una nota di Paolo Berdini, una riflessione di Giovanni Sarubbi, e una scheda - a cura di Federico La Sala

martedì 7 aprile 2009 di Federico La Sala
[...] E’ già successo. Anche in Irpinia nel terremoto dell’80 un ospedale, quello di Sant’Angelo dei Lombardi, pur essendo stato da poco costruito, crollò, come crollarono tantissime altre abitazioni di cemento armato costruite con poco cemento e poco ferro.
Anche in questo terremoto i danni e i morti li fa l’uomo con le sue speculazioni edilizie, con il mancato recupero delle vecchie abitazioni, con l’abusivismo edilizio e la devastazione del territorio da parte di chi non si fa tanti (...)

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> LA TRAGEDIA DELL’ABRUZZO, UN SECOLO DI TERREMOTI, E IL SENSO DELLA REALTA’ PERDUTO. ---- Il ’bombardamento’ de L’Aquila (di M. Bucciantini e R. Rossi).

martedì 7 aprile 2009

Cronaca di una strage annunciata

Il ’bombardamento’ de L’Aquila

di M. Bucciantini e R. Rossi inviati a L’Aquila

Il bombardamento dell’Aquila è stato preparato con cura da Madre Natura. Con duecento colpi di cannone, da dicembre fino all’affondo mortale, domenica notte, alle 3 e 32 e per venticinque secondi: 6.3 gradi della scala Ricther (8/9 di quella Mercalli). Imprevedibile, si dice dei terremoti. Tragedie troppo enormi sulle nostre coscienze per lasciare anche colpevoli. Spesso le frasi fatte sono un rifugio, un alibi: qualcuno l’aveva detto, e non era solo il sismologo che girava con il suo megafono, inascoltato e deriso. Madre Natura aveva sussurrato piano e urlato forte: duecento scosse in tre mesi e mezzo, dunque. In questi paesi non si parlava d’altro. Le locandine sopravvissute - quelle dei giornali in edicola domenica - scrivono le preoccupazioni per il brontolare perpetuo della terra. Duecento scosse e nemmeno un breve servizio nei telegiornali nazionali. I grandi media hanno ignorato questo pezzo d’Italia silenzioso, questo popolo oscuro e colpevole di saper soffrire più di quanto merita.

Una settimana di allarmi

I ragazzi avevano telefonato otto giorni fa, spaventati dall’aria che tremava. Erano in 140 nella casa dello studente e dopo quell’avvertimento - «si sentivano scricchiolare i muri» - più della metà aveva deciso di rientrare dai genitori, anticipando le vacanze pasquali. Chi era rimasto, aveva preso un’agghiacciante abitudine: «Ci incontravamo in piazza del Duomo, senza darci appuntamento: ogni scossa, fuggivamo dalle stanze per trovarci là». Giulia Yakihchuk, «ucraina ormai abruzzese», racconta le sere in piazza a far passare la paura. Telefonando ai vigili del fuoco, cercando informazioni e qualcuno che spiegasse quest’inverno inquieto. «Non ci hanno mai risposto». Esperti, ragazzi, Madre Natura, giornali locali: ecco chi aveva avvisato. Poi la terra è diventata infame e feroce, 150 morti per adesso - chissà quanti altri - e i feriti dieci volte tanto, e 100 mila sfollati. «La più grande tragedia di questo millennio», fa Bertolaso, ancora una volta l’uomo dell’emergenza. In questo rimediare, si può essere fieri: lo spendersi di forze dell’ordine, volontari, gente comune è enorme e commovente. L’Italia che reagisce è sempre alta, nobile, «concorde» come la vuole oggi Berlusconi.

Polemiche

Poi, quando le strade saranno lavate, si dovranno ascoltare i pompieri come Sante, in servizio da diciotto anni, venuto con la squadra di Roma: «Ma che cemento è? Che cemento di merda è?» e indica le crepe sulle fiancate della Casa dello studente. Il luogo simbolico della tragedia, del paese che divora i suoi figli. La provincia dell’Aquila è classificata al massimo grado di allerta per il pericolo sismico. E si raggiunge da poche e non semplici strade. Montagne e valli da presenziare costantemente. Invece tocca raccattare bare e tende e per metà giornata i morti restano stesi in fila nel campo della disgraziata Onna. Ma adesso tocca a loro, a Maurizio, un quarantenne veneto di Valdobbiadene. Lavora con gli elicotteri del 118. Un alpinista scavato in viso. Sta salendo verso piazza Duomo. Alle otto di mattina ha già tirato fuori cinque persone dalla macerie. Tutte vive tranne l’ultima: una bambina di 10 anni. «Per quattro ore ho scavato a mani nude - dice - tra le i detriti di un palazzo in via XX settembre». Ne sono crollati tre. «I vigili del fuoco sono arrivati dopo un ora e mezza. Erano in quattro, non avevano un piccone, una scala, luci di emergenza. Non erano preparati». Nonostante le continue denunce. Annarita Tartaglia, insegnante, aveva scritto pochi giorni fa: «Il Convitto nazionale di corso Principe Umberto non è sicuro. L’avevo fatto presente al comune». La struttura adesso è sventrata. Alcuni studenti sono riusciti a uscire in tempo. Altri sono rimasti feriti senza che nessuno li soccorresse. Sono arrivati prima alcuni genitori da Pescara che le ambulanze dall’ospedale. Forse perché anche quello non c’è più. Era stato costruito nel 2002. Con quanto e quale cemento lo stabilirà la magistratura: si è sgretolato come fosse sabbia. Come l’Hotel Duca d’Abruzzo, poco distante dal centro. Si è accartocciato su se stesso. Come i paesi intorno alla città. Da lontano l’Aquila sembra una città in guerra, fumante e colpita al cuore, vinta, i muri bacati, e poi sventrati su su fino alla cupola abbattuta della vecchia chiesa. Le strade segnate: I volti persi di chi lotta a mani nude contro le bombe: «Sto scavando, sotto c’è mia madre». E sopra di lei almeno dieci metri di detriti. Sulla casa dei ragazzi ci sono gli occhi fissi di Luigi Alfonsi, 23 anni, che guarda quel cemento “armato” , e lo guarda ancora, crepato, “disarmato”, e quei fili di ferro piegati come fossero giunchi, e promette, lui che studia Ingegneria civile, che è ancora vivo e ha gli occhi piccoli e verdi arrossiti dalla polvere e bruciati dal pianto: «Una casa così non la farò mai, credetemi». Dobbiamo crederci.

* l’Unità, 07 aprile 2009


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