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Memoria della libertà....

A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! IN DIFESA DELLA PSICOANALISI. Federico La Sala risponde a Dario Antiseri. E lo scontro piace. La loro dialettica è tutta da gustare - lo scritto è del prof. Federico La Sala

A seguire, i testi di riferimento
venerdì 16 maggio 2008 di Emiliano Morrone
[...] "anche se il futuro riplasmerà o modificherà questo o quel risultato delle sue ricerche, mai più potranno essere messi a tacere gli interrogativi che Sigmund Freud ha posto all’umanità; le sue scoperte scientifiche non si possono né negare, né occultare (...) e se mai alcuna impresa della nostra specie umana rimarrà indimenticabile, questa sarà proprio l’impresa di Sigmund Freud" (Thomas Mann) [...]
Costituzione dogmatica della chiesa "cattolica"... e costituzione dell’Impero del Sol (...)

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> A FREUD (Freiberg, 6 maggio 1856 - Londra, 23 settembre 1939), GLORIA ETERNA!!! ---- "Psiocpatologia della vita quotidiana". Sollecitazioni a rileggre Freud (di Silvia Vegetti Finzi - di Paola Capriolo).

giovedì 19 maggio 2011

L’inconscio e i libri che cambiano una vita

Freud e gli effetti su una ragazza degli anni 50

di Silvia Vegetti Finzi (Corriere della Sera, 19.05.2011)

Gli anni Cinquanta sono stati così diversi dagli attuali che i giovani trovano difficile persino immaginarli. Allora il percorso degli adolescenti era prefissato: dopo la maturità, i maschi venivano iscritti alle facoltà scientifiche, le femmine a quelle letterarie, le più idonee a future moglie e madri. La maggior parte delle mie amiche seguì infatti quell’itinerario. Se me ne sono allontanata lo devo a un incontro che mi ha cambiato la vita, quello con Sigmund Freud o meglio con l’opera Psicopatologia della vita quotidiana, del 1901. Avevo già letto il suo capolavoro, L’Interpretazione dei sogni del 1900, ma i resoconti dell’attività onirica risultavano piuttosto enigmatici e le interpretazioni difficili. Invece, nella Psicopatologia della vita quotidiana, la più letta e conosciuta delle opere di Freud, gli esempi più accessibili e le spiegazioni più comprensibili mi permettevano di trovare, nelle esperienze personali, esempi corrispondenti a quelli esposti e di decifrarne il significato.

Centrale in quel testo è il tema della memoria o meglio della dimenticanza, casuale per la coscienza, intenzionale per l’inconscio che, per sfuggire alla censura, si esprime indirettamente negli errori, negli scarti, nelle carenze dei nostri comportamenti. Rammento che, durante un corso universitario, uno studente timidissimo si era per ben due volte dimenticato di restituire il libro che una compagna gli aveva prestato. Quella sbadataggine, apparentemente insignificante, si sarebbe poi rivelata profondamente motivata: era stato un inconsapevole stratagemma per avvicinare la compagna più bella, la più irraggiungibile. «Ogni atto mancato, dirà Lacan, è un discorso riuscito» .

Anche la dimenticanza dei nomi propri acquista, al vaglio dell’analisi, un preciso significato. Poiché tutto viene conservato nella memoria, l’oblio non è evaporazione del ricordo ma rimozione delle sue rappresentazioni e blocco delle relative emozioni. Seguendo l’autoanalisi, che Freud inizialmente applica a se stesso, interpretavo le mie esperienze fungendo al tempo stesso da paziente e analista. Uno scandaglio che inevitabilmente si interrompe di fronte alla strenua difesa dell’Io ideale. Tuttavia la consapevolezza di costituire un enigma per se stessi, di non essere, come dice Freud, «padroni in casa propria» ci rende più accorti nei giudizi, più attenti alle ragioni degli altri, più capaci di cogliere i cambiamenti sociali.

Se analizziamo il titolo Psicopatologia della vita quotidiana emerge l’insolito accostamento tra quotidianità, cioè normalità, familiarità, e patologia. Un ossimoro che svela una scomoda verità: nessuno può dirsi completamente sano. I motivi si trovano ne Il disagio della civiltà, del 1930. La società stessa, sostiene Freud, ponendo limiti alla libera espressione delle pulsioni erotiche e aggressive, ci rende inevitabilmente nevrotici. Una nevrosi con cui dobbiamo convivere riservando la psicoterapia a alle persone che divengono incapaci di amare e lavorare.

Ma quale psicoterapia? Il mercato si presenta così variegato che, per scegliere, è necessario possedere una certa competenza. Si rischia altrimenti di affidare quanto abbiamo di più prezioso, la psiche, a improvvisati imbonitori. Tornando a me, suppongo che l’aver debuttato, in ambito psicoanalitico, con la lettura della Psicopatologia della vita quotidiana, abbia orientato il mio interesse per i rapporti familiari. Una predilezione approfondita con la conoscenza delle opere del pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott (La famiglia e lo sviluppo dell’individuo), uno studioso particolarmente capace di comprendere i bambini e di parlare ai genitori valorizzando le innate competenze materne.

Per i genitori attuali, spesso provati dall’insicurezza e dai sensi di colpa, Winnicott costituisce una lettura rassicurante perché non enfatizza mai i problemi che gli vengono posti. Non vuole indottrinarli ma aiutarli a comprendere ciò che fanno e giustificare ciò che hanno fatto, sicuro che ognuno agisce come meglio può. A questo scopo è importante la sua constatazione degli «aspetti fastidiosi dell’essere genitori» . Spesso le madri provano sentimenti di stanchezza, d’irritazione e di noia, che devono riconoscere e accettare perché solo così saranno in grado di amare davvero i figli. Pretendere la perfezione è controproducente perché non fa che esasperare le tensioni. È sufficiente essere una mamma «abbastanza buona» . Infine, nella riflessione su quello che è stato un percorso di formazione personale, trovo la conferma che i libri, i buoni libri, non soltanto aiutano a crescere ma forniscono una mappa per tracciare la rotta della nostra vita.


Quei gesti quotidiani che Sigmund scrutava in famiglia

I piccoli «errori» e l’assenza del caso

di Paola Capriolo (Corriere della Sera, 19.05.2011)

«Quando uno dei membri della mia famiglia» , scrive Freud in Psicopatologia della vita quotidiana, «si lamenta di essersi morsicato la lingua, di essersi schiacciato il dito, o di altro, allora invece della sperata compassione da parte mia giunge la domanda: "A che scopo lo hai fatto?"» . Una domanda accolta forse con una certa irritazione dalla vittima dell’incidente; e possiamo supporre che quanti godevano del privilegio di condividere l’intimità domestica con il fondatore della psicoanalisi fossero sottoposti a un analogo interrogatorio ogni volta che, parlando, incorrevano in un lapsus, o si lasciavano sfuggire l’incauta confessione di aver smarrito gli occhiali, insomma, commettevano uno di quei piccoli «errori» apparentemente casuali di cui è costellata la vita quotidiana e nei quali l’illustre congiunto aveva scoperto una sorta di linguaggio cifrato dell’inconscio.

Guai a chi, accennando a un conoscente, ne scambiava il nome con quello di un altro; guai a chi aveva il titolo di un romanzo «sulla punta della lingua» , ma non riusciva a ricordarlo: nessuna circostanza del genere poteva sfuggire all’attenzione di Freud ed evitare di essere inserita nella sterminata casistica che egli andava accumulando a sostegno della propria teoria. Una grande impresa scientifica, senza dubbio; ma probabilmente anche un incubo per i famigliari, e non soltanto per loro.

Alla famiglia di Freud, infatti, oggi in un certo senso apparteniamo tutti, imbevuti come siamo, se non di conoscenze, almeno di luoghi comuni psicoanalitici; e ci è difficile considerare i nostri «atti mancati» con quella candida indifferenza con cui li si accoglieva un tempo. Vi scorgiamo, volenti o nolenti, un’intenzione riposta, una precisa simbologia che, se non noi, qualcuno più esperto del ramo potrebbe decifrare senza difficoltà. E allora, addio spensieratezza: quella fastidiosa domanda: «A che scopo?» non ci lascia pace, imponendoci un continuo lavoro di autoosservazione. Se dimentico di spedire una lettera, è perché il mio inconscio è perplesso circa l’opportunità di quell’invio; se urto con il ginocchio contro lo spigolo di un mobile è perché il mio inconscio, sempre lui, vuole punirmi di una colpa più o meno inconfessata; se trascuro di allacciare un bottone della camicetta, obbedisco a un impulso di «denudamento» dietro cui si nascondono chissà quali desideri repressi. La distrazione, la semplice sbadataggine, sono categorie obsolete cui è negato ogni diritto di cittadinanza in un mondo dove non sembra più lecito attribuire nulla al caso e dove tutto diventa «sintomo» da interpretare. Il caso, appunto.

Leggendo un libro come Psicopatologia della vita quotidiana si ha l’impressione che l’ «A che scopo?» sotteso all’indagine di Freud sia la sistematica esclusione dell’aspetto fortuito dalla sfera interiore. La vita psichica è così integralmente soggetta a leggi deterministiche, da far sì che tutte le sue manifestazioni siano spiegabili «tramite idee finalizzate» : dai sogni alle improvvise lacune della memoria, dai sintomi psiconevrotici sino ai più innocui lapsus verbali. Così, ogni nostro minimo gesto quotidiano diviene espressione, produzione di senso: una responsabilità non da poco, per chiunque ne sia consapevole, e una lente d’ingrandimento a volte persino imbarazzante attraverso la quale osservare il comportamento altrui. Freud scrive che chi sappia riconoscere e interpretare come tali le «azioni sintomatiche» «può talvolta credersi re Salomone, che secondo la leggenda orientale comprendeva il linguaggio degli animali» ; ma restando in tema di favole, possiamo anche pensare a quella del bambino che, unico tra gli astanti, non soggiace all’inganno dei presunti «abiti nuovi» e vede chiaramente la nudità dell’imperatore. Un privilegio rischioso, se lo stesso Freud ammette: «Non posso affermare che ci si faccia sempre degli amici fra coloro ai quali si comunica il significato delle loro azioni sintomatiche» .


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