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MEMORIA DI FRANCESCO D’ASSISI. Ai francescani - e alle clarisse, un omaggio. Per il Capitolo internazionale delle Stuoie ...

FRANCESCO E CHIARA A SANTA MARIA DEGLI ANGELI, UN FUOCO GRANDE.

Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co’ suoi compagni frati in Santa Maria degli Agnoli.
lunedì 20 aprile 2009 di Federico La Sala
[...] gli uomini da Sciesi e da Bettona e que’ della contrada dintorno, vedeano che Santa Maria degli Agnoli e tutto il luogo e la selva ch’era allora allato al luogo, ardeano fortemente, e parea che fosse un fuoco grande che occupava la chiesa e ’l luogo e la selva insieme.
Per la qual cosa gli Ascesani con gran fretta corsono laggiù per ispegnere il fuoco, credendo veramente ch’ogni cosa ardesse. Ma giugnendo al luogo e non trovando ardere nulla, entrarono dentro e trovarono santo (...)

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> FRANCESCO E CHIARA A SANTA MARIA DEGLI ANGELI, UN FUOCO GRANDE. ---- Non c’è Francesco senza Chiara (di Sara Ventroni)

domenica 17 marzo 2013

Non c’è Francesco senza Chiara

di Sara Ventroni (l’Unità, 16 marzo 2013)

Finalmente è arrivato lo scandalo. si chiama Francesco. Non possiamo nascondere questo nome. Ci scappa di bocca come il respiro trattenuto dei bambini, con in mano un soffione in mezzo a un campo. Atei, vaticanisti, teologi, passanti: tutti sono in diritto di pronunciarlo ad alta voce. Francesco è una parola che si squaderna come una buona novella.

Lascia a bocca aperta dalla meraviglia. Come analfabeti sillabiamo, increduli, questo nome, pensando al patrono poverello di questo povero Paese. I commentatori si sono preparati. Hanno riassunto le notizie sul nuovo pontefice e ce le offrono come un bignami di conversazione: il primo papa gesuita, il primo papa non europeo, il primo papa dopo le dimissioni di Ratzinger, il primo a dire «buonasera», il primo a chiedere la preghiera dei fedeli, chinando umilmente il capo dalla loggia di San Pietro. Il primo papa a non chiamarsi papa. «Vescovo di Roma», così si è definito. Come un tra-le-righe rivolto alla missione della Chiesa Romana Cattolica Apostolica: conciliare, e collegiale.

Ma noi profani dobbiamo fermarci qui. Non possiamo andare oltre. Sappiamo solo che si parla per parole e per gesti.

Lasciamo da parte le dietrologie dei giornalisti argentini sul vescovo Bergoglio e la dittatura. Non ci lasciamo turbare da un uomo che si muove in metropolitana. Che per mantenersi agli studi, a vent’anni, faceva il buttafuori. Che amava il tango. Che è stato fidanzato. Che è del sagittario. Che tifa il San Lorenzo. Ci saranno le analisi degli esperti. Dei semiologi. Dei millantatori. Dei gossippari. Tutto sarà detto.

L’unica cosa da annunciare, adesso, è che abbiamo un papa Francesco. La novella è che tutti ne stiamo già partecipando, anche senza saperlo.

Abbiamo in testa, trasmessa da generazioni, la «Laus Creaturarum». È appesa in cucina. Oppure l’abbiamo imparata a memoria, come una ballata popolare, noi anime prese e noi anime perse. Fedeli o infedeli, non importa. Quel Cantico ci appartiene. Possiamo prenderlo. È dell’umanità, come la poesia di Dante.

Ora siamo spettatori e partecipi della Storia, ma non possiamo prevedere nulla, se non che la ventura di Francesco da Assisi verrà rinnovata. Con spirito gesuita. E con la complicità imparaticcia dei media, sempre un passo dietro la visione delle cose.

Siamo dentro un cortocircuito imprevisto: l’allegria dello «ioculator Domini», del giullare di Dio, poggia sul rigore. Questa è la novità. La comunicazione è semplice e ha carisma, ma si spoglia dell’ego. Parla a tutti, ma non per sé. Il momento è solenne, ma non austero. Il pensiero va alle creature: il fuoco, l’acqua, le stelle e noi. Non si tratta di un panteismo sgangherato.

Nessun melange spiritualistico postmoderno ci dirà più di quanto ancora dobbiamo imparare. Francesco, come nuovo Cristo, è stato integrale. E questo, agli occhi dei fedeli, lo rende inimitabile.

Agli occhi degli altri, Francesco è un esempio. Dopo essersi spogliato, materialmente e spiritualmente, di ogni dote, il giovane di Assisi ha messo il proprio talento al servizio degli ultimi. Intorno alla piccola chiesa della Porziuncola ha radunato apostoli.

La fama lo precedeva, come testimonia, di là dalla «Vita» Prima e Seconda di Tommaso da Celano, la «Leggenda dei Tre Compagni», scritta come un vangelo dai sodales frate Leone, frate Angelo e frate Rufino.

Ma Francesco non si è fatto guastare dalla fama. Ha lottato forsennatamente contro se stesso per non cedere alla tentazione di sentirsi qualcosa di più degli altri.

Andava tutto bene fino a che un altro scandalo non stava per annunciarsi: una ragazza di Assisi, cugina di Rufino, chiede di unirsi alla compagnia. Vuole vivere della stessa umiltà, della stessa povertà. Chiara di Favarone di Offreduccio scappa di casa la domenica delle palme, il 18 marzo 1212. Francesco decide di incontrarla. I due si parlano, si scrivono, si capiscono.

Dopo varie peregrinazioni, si trova un posto per le sorelle: la chiesa di San Damiano - la prima restaurata da Francesco, quando era ancora un giovane uomo confuso - quella dove il crocifisso rotto gli avrebbe per la prima volta parlato in modo chiaro: va’, e ripara la Chiesa. Francesco non ha aspettato. Ha capito il crocifisso e ha capito Chiara, la fuggitiva. Le ha tagliato i capelli.

Francesco non ha avuto paura. Ha intuito la potenza di un nuovo pensiero, di un nuovo mondo, di una nuova umanità. In povertà. In gioia. In umiltà. E in fratellanza. Per questo oggi non possiamo dire Francesco senza dire Chiara. E non possiamo dire Chiara senza dire Francesco. Fratello sole, sorella Luna.


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