L’errore di Platone
Il pensiero deformato in politica
Secondo la filosofa tedesca la ricerca della «polis» ideale avrebbe tradito l’originaria «meraviglia» socratica
di Hannah Arendt (Il Sole-24 Ore, Domenica, 13.09.2015)
Il thaumazein, la meraviglia di fronte a ciò che è così come è, consiste per Platone in un pathos, in qualcosa che viene subìto e che, in quanto tale, si distingue nettamente dal doxazein,dal formarsi attivamente un’opinione su qualcosa. La meraviglia che l’uomo patisce, o che lo colpisce, non può tradursi in parole perché è troppo smisurata per le parole.
Platone vi si dev’essere imbattuto per la prima volta in occasione di quegli stati traumatici di Socrate, di cui abbiamo frequenti resoconti, durante i quali il filosofo, come preso da un raptus, sarebbe improvvisamente piombato nella più completa immobilità, fissando nel vuoto senza vedere o sentire nulla. Per Platone e Aristotele divenne assiomatico che questa meraviglia muta fosse l’origine della filosofia. Ed è precisamente questo riferimento a un’esperienza concreta e unica a contraddistinguere la scuola socratica rispetto alle filosofie precedenti.
Per Aristotele, non meno che per Platone, la verità ultima è al di là delle parole. Nella terminologia aristotelica il recettore umano della verità è il nous, la mente, il cui contenuto è privo di logos (hon ouk esti logos). Come Platone aveva opposto la doxa alla verità, così Aristotele oppose la phronesis (la saggezza politica) al nous (la mente filosofica). La meraviglia per qualsiasi cosa, per tutto ciò che è così come è, non si riferisce mai a qualcosa di particolare - e per questo Kierkegaard la interpreta come esperienza del niente, della nullità. Il carattere generale che è proprio delle affermazioni filosofiche, e che le distingue da quelle scientifiche, sorge da questa esperienza. Su di essa si basa la filosofia come disciplina speciale - e da questa esperienza dipende il suo restare tale.
Nel momento in cui lo stato non discorsivo della meraviglia si traduce in parole, non è che la filosofia cominci a fare affermazioni, ma comincia a formulare in variazioni infinite quelle che chiamiamo “domande ultime” - che cos’è l’essere? chi è l’uomo? che significato ha la vita? che cos’è la morte? ecc. -, accomunate dal fatto di non poter avere risposte scientifiche.
L’affermazione socratica «So di non sapere» esprime in termini di conoscenza l’impossibilità di rispondere in modo scientifico. Eppure, in uno stato di meraviglia questa affermazione perde il suo aspetto seccamente negativo; quello che resta in mente a chi è colpito da un simile pathos può essere espresso solo così: ora so che cosa significa non sapere; ora so di non sapere. Le domande ultime sorgono da questa esperienza vissuta del non sapere, in cui si manifesta un aspetto fondamentale della condizione umana sulla terra. Formulando domande ultime, domande senza risposta, l’uomo si costituisce come essere interrogante. Questa è la ragione per cui la scienza, che pone domande cui si può dare risposta, deve la propria origine alla filosofia e ha bisogno di restarle legata. Se l’uomo dovesse perdere la capacità di formulare domande ultime, perderebbe anche la capacità di formulare domande cui si può dare risposta. Non sarebbe più un essere interrogante, e questa sarebbe la fine non solo della filosofia, ma anche della scienza.
Lo shock filosofico di cui Platone ci parla pervade tutte le grandi filosofie e separa il filosofo che lo subisce da coloro con i quali vive. Diversamente da quel che Platone suggeriva, la differenza tra i filosofi, che sono pochi, e la moltitudine non sta nel fatto che i molti non sanno nulla del pathos della meraviglia, ma sta nel fatto che essi rifiutano di subirlo. Questo rifiuto è espresso nel doxazein, nel farsi delle opinioni su materie in cui non è possibile avere opinioni, perché i criteri normalmente accettati dal senso comune non possono esservi applicati. La doxa, in altre parole, poté divenire l’opposto della verità perché il doxazein è davvero l’opposto del thaumazein. Avere opinioni non va affatto bene quando si tratta di cose che possiamo cogliere solo nella meraviglia muta per ciò che è.
Nel corso di questi sviluppi, la posizione socratica ebbe la peggio non perché Socrate non avesse lasciato niente di scritto, o perché Platone avesse intenzionalmente distorto il suo insegnamento, ma perché ebbero la peggio le intuizioni socratiche, che erano scaturite da una relazione ancora solida tra esperienza politica ed esperienza filosofica. Nella prospettiva aperta da Socrate, quello che vale per la meraviglia con cui ogni filosofia ha inizio non vale per quello che segue, cioè per il dialogo della solitudine: la solitudine, il dialogo pensante del due-in-uno, è infatti parte integrante dell’essere e vivere insieme ad altri, e in questa condizione il filosofo non può evitare di farsi delle opinioni, di giungere a una propria doxa; ciò che lo distingue dai concittadini non è il possesso di una verità speciale, inaccessibile alla moltitudine, ma il fatto che è sempre pronto a esporsi al pathos della meraviglia, e a evitare così il dogmatismo dei puri e semplici possessori di opinioni.
È chiaro che simili sviluppi, legati a una motivazione originariamente politica, avrebbero in seguito assunto un grande rilievo per la filosofia intesa in senso generale; ma quegli sviluppi, naturalmente, sarebbero stati ancora più rilevanti per la filosofia politica propriamente detta. La politica - quando non è stata considerata un dominio indegno - è divenuta per il filosofo il campo in cui ci si occupa delle necessità elementari della vita umana e in cui si applicano i criteri che la filosofia fissa dogmaticamente sul proprio terreno.
Tuttavia, mentre l’inumano stato ideale di Platone non è mai divenuto realtà, e mentre per secoli è stato necessario difendere l’utilità della filosofia, che si è dimostrata totalmente inutile ai fini di una concreta azione politica, la riflessione filosofica ha reso un servizio all’umanità occidentale, offrendole un insieme di riferimenti. Dopo che Platone ebbe in un certo senso deformato la filosofia a scopi politici, la filosofia continuò comunque a fornire all’uomo occidentale criteri e regole, pietre di paragone e misure con cui poter almeno cercare di capire quel che avveniva nella sfera degli affari umani .