Donne che fanno paura
Platone. Le riflessioni non arrabbiate ma ponderate di Adriana Caravero su eros, figure femminili e sul parto, dove il filosofo riserva agli uomini il ruolo di «ostetrici dello spirito»
di Maria Bettetini (Il Sole-24 Ore, Domenica, 23.09.2018)
Guerriere o sacerdotesse, le donne di Platone fanno un po’ paura. Come tutte le donne raccontate dai testi greci che a noi sono giunti, pensiamo a Circe, a Medea, alla prima fra tutte, quella Pandora che arrivò in un mondo abitato solo da maschi per scoperchiare il vaso dei mali, come racconta Esiodo. Una donna, una filosofa, ha studiato per una vita questi testi, ingaggiando con loro una lotta in punta di filologia. Ora, per onorarne l’impegno, Olivia Guaraldo ha raccolto dieci brevi saggi di Adriana Cavarero su Platone, editi e no. Si va da un Platone e la democrazia, del 1973, fino al 2017 con Per un’archeologia della post-verità.
Sono scritti «femministi», per usare un aggettivo che ha un suono obsoleto, ma che ritorna nelle pagine del volume? Preferisco pensare che siano riflessioni, non arrabbiate ma ponderate, su pagine milioni di volte indagate, questa volta studiate da un altro punto di vista. Che non è quello, non insensato ma troppo sentito, del linguaggio astratto del maschio da contrapporre alla sensibilità e alla passione della femmina. È quello piuttosto di chi vuole, semplicemente, studiare.
Così sorge quel confronto tra Omero e Platone che snida una sorta di invidia del filosofo per il poeta, capace di raccontare la fragilità della vita umana e di consegnarla alla memoria. I versi, ispirati dalla figura femminile della Musa, non hanno incertezze e sono caratterizzati da bellezza e armonia, mentre il parlare del filosofo - se pur alto - si deve limitare a indicare la bellezza, a invitare a perseguirla come unica vera fonte della felicità, secondo il tema greco dell’identità di bello e bene, o almeno del primo che proprio Platone nel Filebo definisce «vestibolo del bene». Ma non è la bellezza.
Inevitabile a questo punto la lettura delle pagine di Cavarero sul Simposio e sulla figura di Diotima, da cui ha preso nome proprio il gruppo di pensatrici sorto a Verona intorno alla filosofa, nonché la loro rivista. Diotima è la donna che ha rivelato a Socrate i segreti dell’amore, di quell’eros che solo inizialmente e parzialmente è amore corporeo. Il discorso è reso particolarmente interessante dalle opposte posizioni dei due «combattenti»: Platone per bocca di Socrate che riporta il discorso di Diotima non fa altro che strappare l’eros al corpo per condurlo sempre più lontano, al distacco da ogni materialità, all’amore del bello in sé. Cavarero intende invece la corporeità come unico possibile luogo di abitazione del soggetto e quindi delle sue passioni e azioni, dell’amare e dell’essere amato.
Come negare questa forza dell’antico principio di individuazione? Qui si scopre anche la profonda contraddizione della filosofia platonica in tutte le sue forme, la sublimazione del logos che però rifiutando ogni legame con la materia si perde in una sorta di collettività nebulosa, che - nota Cavarero - se garantisce immortalità all’umano, la nega al singolo uomo. Diotima di Mantinea dunque: sacerdotessa, straniera, donna.
Tre gradi di lontananza dal filosofo, da Socrate, a cui si aggiungono i due del discorso riportato, perché Socrate racconta l’incontro con Diotima, ed è a sua volta raccontato da Platone. Non finisce qui: per dire quanto sia difficile parlare di eros, tutto il dialogo che racconta del banchetto serale è narrato come una narrazione di Apollodoro che riporta ciò che gli ha detto Aristodemo, che fu presente al convivio, avvenuto però tre anni prima. Ancora tre gradi di distanza.
Ma torniamo a Cavarero: la sacerdotessa di Mantinea (cittadina vicinissima ad Atene, ma per gli ateniesi è comunque terra straniera e inferiore rispetto alla capitale) è uccisa dallo stesso discorso che fa. È oggetto di matricidio, perché - donna - propone la filosofia maschile di Platone, che imita gravidanza e parto, ma li rende opere dello spirito. Il cuore del discorso riportato da Socrate è infatti quel riuscire a generare bellezza, lasciandosi alle spalle successivamente il corpo bello per cui si è sentita attrazione, poi tutti i corpi belli, poi le bellezze generate dalla mente (i versi di Omero e le leggi di Solone, per esempio), fino a giungere alla visione del bello in sé.
Questa sorta di parto maschile è tema ricorrente di Platone, che presenta un Socrate ostetrico dello spirito, così come la madre lo era stata dei corpi. Alle donne la mera generazione materiale, necessaria alla sopravvivenza della specie, a una fittizia immortalità del singolo che dopo sé lascia un altro sé nel figlio. Agli uomini invece la generazione che rende immortale il singolo, perché è un parto senza materia, dove l’anima, la mente, lo spirito di un uomo raggiunge la visione che lo rende immortale.
Nella Repubblica, infatti, si legge di come i filosofi, dopo la morte, vadano direttamente a godere del regno delle idee. Cavarero nota anche come l’assassinio della donna Diotima sia preceduto da un’altra morte, quella della femmina nel racconto di Aristofane. Spesso il tema dell’uomo-donna tondo, poi tagliato in due da Zeus per placarne la tracotanza, viene attribuito a Platone direttamente. Questo non è corretto, Platone stesso lo riporta come invenzione del commediografo. Ma ciò che è del tutto platonico è invece ciò che indirettamente passa da tale «comico» racconto, ossia l’assoluta supremazia dell’amore omosessuale maschile sull’amore eterosessuale, utile solo, appunto, alla continuazione della specie. Quanta paura si doveva avere delle donne, allora.