Filosofia.
Gustavo Bontadini e la metafisica del ’900, un genio da riscoprire
Nel XX secolo il pensiero del filosofo è un "unicum" oscurato in primis dai pensatori cattolici e dalla Chiesa. Un libro di Messinese ne riscopre genialità e capacità dialogica con la modernità
di Pierangelo Sequeri (Avvenire, martedì 27 febbraio 2024)
Il termine “metafisica”, la parola «davanti alla quale ognuno, più o meno, si affretta a fuggire come davanti a un appestato» (Hegel), ritorna nella forma di un appello alla serietà “politica” - nientemeno - del pensiero (Cacciari). Ritorna come paradosso del mondo, prima che come domanda su Dio. Ma infine, l’uomo non potrà separare ciò che Dio ha congiunto.
Il segreto della concretezza del mondo, sta certamente “nel mondo” (se stesse fuori, il mondo sarebbe solo virtuale, un’astrazione); ma, altrettanto certamente, “non è del mondo” e lo trascende (proprio come il Logos del vangelo di Giovanni). Che accada un mondo, e che non si possa fare a meno di domandarsi se il mondo è tutto quello che accade, non ha nulla di ovvio. Dal nulla non viene assolutamente niente: ed è ovvio, questo sì, che alla luce di questa banale considerazione l’essere non è mai incominciato e non saprebbe dove finire. Il nulla non è un tempo, non è un luogo, per l’accadere. Ma nella nostra esperienza, “niente” di ciò “che è” (che acrobazie deve fare il nostro linguaggio, per parlare dell’accadere) assomiglia neppure lontanamente all’essere che non incomincia e non finisce. Con ciò si è già enunciato il tema - e il paradosso - di questo choc del pensiero: che appare inevitabile anche quando cerca di essere evitato.
Una cosa che sembrava così ovvia - l’essere è, il mondo esiste, il nulla non esiste - non lo è più. Possiamo anche scrollare le spalle e pensare di aver digerito male. Ma il tarlo è lì, nella coscienza, ormai. La domanda metafisica è una domanda alla quale, in ogni caso, l’inconscio risponde sempre: nelle pratiche e nelle culture, nelle scienze e nelle politiche. Nelle religioni e nelle stesse filosofie.
Le premesse teoretiche per una ripresa cosciente della “metafisica concreta”, all’altezza del “problematicismo radicale” della contemporaneità, erano già apparse nel progetto messo a punto dal pensatore cattolico Gustavo Bontadini (1903-1990). Tale progetto, radicalmente innovativo anche nell’ambito della tradizione filosofica di ispirazione cattolica, ha rivelato la sua potenza attraverso gli sviluppi che ne ha tratto il suo allievo Emanuele Severino (1929-2020), divenuto, a differenza del suo maestro, una figura di rilievo nel confronto filosofico contemporaneo e un critico della cultura noto anche al grande pubblico.
In effetti, l’irruzione nella scena contemporanea di una filosofia che proclama “l’eternità di ogni essente”, mentre denuncia il radicale “nichilismo” della stessa concezione cristiana-cattolica dell’eternità di Dio e della creazione del mondo, aveva di che suscitare impressione. Bontadini, pur apprezzandone l’ispirazione (come “pungolo” per il laicismo decostruttore di ogni assoluto, e ragione filosofica ospitale per la “nostalgia” dell’eterno), ha contrastato la deduzione “eternistica” del “principio di Parmenide” che imponeva la necessaria rimozione del “principio di Creazione”. Ma Bontadini non fu ascoltato, né fu presa in considerazione la questione di coerenza dell’impianto che Bontadini stesso aveva inventato.
Il dibattito, all’interno del mondo cattolico, si risolveva e si spegneva nel semplice accertamento della contrapposizione fra Severino, che negava la creazione, e la Chiesa che, ovviamente, la difendeva. In certo senso, questa semplificazione faceva torto a entrambi. Ma soprattutto, essa ha oscurato la reale portata innovativa , speculativa e culturale del progetto metafisico di Bontadini, nel quadro complessivo della contemporaneità filosofica novecentesca.
Quello che ci siamo persi nell’oscuramento della “invenzione” bontadiniana, è puntualmente e puntigliosamente narrato nel “romanzo metafisico” di Leonardo Messinese (Dopo Kant, oltre il problematicismo. Il Novecento come un ‘romanzo metafisico’, Schibboleth, pagine 428, euro 26). Messinese, narra la storia della costruzione bontadiniana, dalle origini fin dentro il dibattito con Severino, attraverso un “racconto” per eventi e attori (come Giovanni Gentile e Benedetto Croce, Ugo Spirito e Ludovico Geymonat, e molti altri), dei quali Bontadini fu interlocutore, diretto e dialogico, acuto ed esigente. Messinese è già intervenuto con molti saggi di ricostruzione critica e di approfondimento teorico dei temi implicati nel confronto fra Bontadini e Severino, sia per quanto riguarda la metafisica, sia per quanto si riferisce al cristianesimo. Il valore aggiunto di questo “romanzo” è nella esposizione della storia vissuta, oltre che teorica, della progressiva costruzione del modello metafisico di Bontadini.
Nella minuziosa ricostruzione storico-teorica di Messinese emergono infatti anche due mosse metodologiche, trascurate dalla filosofia e dalla teologia del cattolicesimo, che offrono indicazioni di intatta originalità. La prima è la proposta di essenzializzazione - che è insieme semplificazione e rigorizzazione - del paradosso metafisico, che l’ipertrofia dell’ontologia scolastica ha finito per indebolire del suo vigore e per svuotare della sua provocazione.
La seconda invenzione, anche più elegante della prima, consiste nella deduzione storica dell’approdo metafisico: inteso come inevitabile auto-superamento del problematicismo radicale, col quale si devono fare i conti ragionando metafisicamente, appunto. Il problematicismo radicale, cifra del nostro tempo, secondo Bontadini, prepara obiettivamente il ritorno inevitabile della metafisica: infatti, nel momento in cui il problematicismo radicale diventa teoria trascendentale della totalità reale, lascia spuntare un assoluto metafisico indimostrato e indimostrabile.
Il tracciato filosofico della contemporaneità, nell’ermeneutica speculativa di Bontadini, apre così obiettivamente un solco favorevole alla ripresa della metafisica come sapere essenziale e dialogico. In questo Bontadini è stato sorprendentemente innovatore - in termini di contenuto e di stile filosofico - rispetto alla postura polemica allora prevalente nella filosofia cattolica. Il genio di Bontadini si manifesta infatti proprio nella disposizione a valorizzare dialetticamente le fasi della storia della metafisica inclusa nella storia della stessa filosofia moderna.
Messinese rende giustizia a questa genialità e si impegna a esaminare e valutare il confronto polemico di Bontadini e di Severino anche in termini di reale affinamento speculativo della questione di merito (il negativo del divenire, garantito dall’eterno, è la sua accertabile finitezza processuale, ma non la sua impossibile nientificazione assoluta). Dopo la lettura di questo racconto verrebbe da aggiungere una domanda “fuori testo” (ma non ”fuori argomento”). Che cosa sarebbe successo se la teologia cattolica - che l’ha ignorata - avesse preso sul serio, almeno in Italia, l’invenzione bontadiniana? Forse c’è materia per un nuovo romanzo (che immagina il futuro, questa volta).
NOTA.
RISALIRE AL PRIMA DELLA "CADUTA" (NELL’ORBITA DI PLATONE - DI PAOLO DI TARSO):
Finché abbiamo il corpo e la nostra anima è intrisa assieme a tale malanno, non raggiungeremo mai adeguatamente ciò che desideriamo: e diciamo che questo è il vero. Innumerevoli impegni infatti ci procura il corpo per il necessario sostentamento. E ancora, se si abbattono delle malattie, impediscono la nostra ricerca della realtà. (Esso) poi ci riempie di amori e di passioni e di paure e di immaginazioni di ogni genere e di molta vanità, cosicché, come si dice, veramente in realtà per colpa sua non ci accade neppure di concepire nel pensiero mai nulla.
E infatti guerre e rivolte e battaglie null’altro le procura se non il corpo e le sue passioni. Infatti per l’acquisto dei beni materiali tutte le guerre avvengono, e i beni materiali siamo costretti a procurarceli per il corpo, servendo alla di lui servitù; e in seguito a ciò non abbiamo tempo libero per la filosofia per tutte queste ragioni. E la cosa peggiore fra tutte (è) che, se anche ci capita un qualche momento libero da esso e ci volgiamo al considerare qualcosa, nelle ricerche ancora intromettendosi dovunque procura confusione e turbamento e ci sconvolge, tanto che, per colpa sua, non possiamo scorgere la verità.
Ma in realtà a noi è dimostrato che, se intendiamo mai conoscere qualcosa puramente, dobbiamo distaccarci da esso e guardare con l’anima stessa le cose in sé: e allora, come pare, ci sarà per noi ciò che desideriamo e (di cui) diciamo di essere innamorati, la saggezza, quando saremo morti, come indica il ragionamento, ma da vivi no. (Platone, Fedone, 66 c-d).